Meir Elran: “La coperta di Gerusalemme è troppo corta. Come si può vincere inequivocabilmente una guerra con un nemico che si nasconde in mezzo alla popolazione civile rispettando le leggi internazionali? Se Ḥamās volesse mettere sul serio in difficoltà Israele, dovrebbe arrendersi in blocco e consegnargli Gaza. Allora sì che ci troveremmo tra le mani un dilemma insolubile”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: a cura di Cesare Pavoncello
Fonte: Limes

Meir Elran: “La coperta di Gerusalemme è troppo corta. Come si può vincere inequivocabilmente una guerra con un nemico che si nasconde in mezzo alla popolazione civile rispettando le leggi internazionali? Se Ḥamās volesse mettere sul serio in difficoltà Israele, dovrebbe arrendersi in blocco e consegnargli Gaza. Allora sì che ci troveremmo tra le mani un dilemma insolubile”

Conversazione con Meir Elran, ricercatore all’Institute for National Security Studies (Inss) e direttore dell’Homeland Security Program.

‘Ḥamās ha fatto un errore colossale. Ora pagherà’

LIMESIl 7 ottobre 2023 si sommerà alla lista delle date emblematiche della storia dello Stato d’Israele. Le sue conseguenze produrranno cambiamenti geopolitici nella regione?

ELRANIn questi giorni si sono incrinate molte certezze. Nessuno è attualmente in grado di predire gli sviluppi della guerra. La drammaticità di quanto è avvenuto ha il potenziale di cambiare la realtà circostante sotto molti aspetti, ma non possiamo analizzare gli eventi con i convenzionali modelli di previsione geostrategici. Occorre essere molto più creativi.

Il conflitto iniziato il 7 ottobre potrebbe estendersi con l’entrata in scena (più o meno diretta) di attori esterni. E non è chiaro se e dove questa catena si potrà arrestare. Posso provare a tracciare, in termini molto grezzi, tre possibili scenari.

Primo, non accadrà molto. amās resterà amāe il conflitto continuerà a essere gestito come in passato. I palestinesi saranno un po’ più deboli, forse sensibilmente più deboli, ma anche noi israeliani ne usciremo meno forti. Entrambe le parti dovranno dedicare le proprie capacità umane ed economiche alla ricostruzione. È uno scenario possibile. Temo non il più probabile. amās non ha capito che c’è una differenza oceanica tra trasformare la realtà strategica e conseguire un successo militare.

Secondo, siamo all’estremo opposto. Possiamo prendere come punto di riferimento gli effetti della guerra dello Yom Kippur. Non sappiamo veramente se dietro l’attacco a sorpresa congiunto di Egitto e Siria nel 1973 vi fosse soltanto la volontà di vendicare l’umiliazione subita nella guerra dei Sei giorni o anche l’intenzione di provocare un cambiamento geopolitico. In ogni caso, quel conflitto ha messo in moto dinamiche che hanno portato, non molto tempo dopo, alla pace tra Israele ed Egitto. Una pace che resiste da oltre quarant’anni ed è tenuta insieme da vincoli e interessi. Bisogna però rilevare che con i siriani è andata diversamente, nonostante le condizioni di partenza, gli sviluppi successivi e perfino la fine della guerra siano stati molto simili. Insomma, non possiamo escludere uno scenario analogo al riavvicinamento con l’Egitto, che al momento pare pura fantasia. Questa possibilità passa per la scomparsa di amās quale entità militare e politica. L’organizzazione che ha compiuto gli attacchi del 7 ottobre non ha possibilità di essere accettata come partner, come avvenne a suo tempo per Sadat e per Arafat.

Terzo, una possibilità intermedia, influenzata dalle innumerevoli variabili legate a obiettivi, sviluppi e risultati della guerra. Se Ḥamās ne uscirà vivo, per quanto malconcio, saremo di fronte a una variabile del primo scenario. Potrebbero esserci leggeri mutamenti geografici, come una zona di sicurezza fra la Striscia di Gaza e il confine israeliano. E Ḥamās dovrà probabilmente darsi nuova forma organizzativa. Poco o nulla cambierà. Occorrerebbe poi valutare la reazione delle due popolazioni.

Credo che Israele sia orientato verso la seconda opzione, quella che presupporrebbe la scomparsa di Ḥamās. Ma chi verrebbe dopo? La soluzione per la gestione di Gaza dovrà essere cercata nel mondo arabo? Forse nella cooperazione internazionale? O magari in un improbabile riaggancio della Striscia all’amministrazione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp)? O ancora qualcos’altro?


LIMESCome usciranno da questa guerra le relazioni con i paesi degli accordi di Abramo e con l’Arabia Saudita? Questi attori potrebbero contribuire a un futuro nuovo assetto di Gaza o a una mediazione tra israeliani e palestinesi?

ELRANLe relazioni con questi attori hanno ricevuto un duro colpo. È interessante notare come i paesi degli accordi di Abramo si stiano barcamenando in un difficile tentativo di mezza neutralità, ma a breve termine non faranno comunque alcun passo verso Israele, nessun gesto o iniziativa tesi a scaldare i rapporti, a meno che la guerra non produca un risultato militare e politico inequivocabile in favore di Israele.

La potenza, il prestigio e la deterrenza dello Stato ebraico nella regione hanno subìto un duro colpo. È quindi molto importante che la situazione cambi, che la realtà attuale non finisca per essere congelata. Cosa che, a mio avviso, non accadrà. Molto dipenderà dai risultati sul campo. Più Ḥamās uscirà indebolito dal conflitto, più sarà probabile un ritorno degli accordi di Abramo e della normalizzazione con i sauditi. In ogni caso, se e quando si creeranno le condizioni per un accordo fra Israele e palestinesi a Gaza (ovviamente senza Ḥamās), gli Stati arabi più moderati proveranno a dare il loro contributo. È uno scenario possibile. E spero fortemente che si realizzi con il sostegno di Washington, partner indispensabile.


LIMESTra i fattori che hanno spinto Ḥamās ad attaccare c’è anche l’accordo tra Israele e Arabia Saudita?

ELRANNon abbiamo informazioni precise al riguardo, ma mi sembra perfettamente logico. Non mi riferisco soltanto a Ḥamās, ma alla più estesa cerchia dell’asse della resistenza, di cui l’organizzazione è parte.


LIMESDietro agli eventi del 7 ottobre c’è la mano di Teheran?

ELRANSenza dubbio un coinvolgimento c’è stato, ma non dobbiamo esagerarne l’entità. Gli iraniani hanno fornito aiuto e incoraggiamento. Magari hanno persino contribuito a elaborare questo o quell’elemento del piano di attacco. Credo però che le decisioni finali siano state prese esclusivamente da Ḥamās. Insomma, il sostegno dell’Iran ai militanti di Gaza non può essere paragonato a quello garantito a izbullāh. E forse la ragione per cui quest’ultimo non si è ancora unito al conflitto è da ricercare proprio a Teheran, non a Beirut.


LIMESLa distruzione di Ḥamās è un obiettivo realizzabile?

ELRANSicuramente, ma ci sono tre ostacoli. Il primo è il costo altissimo che comporterà in termini economici e di vite umane, per Israele e ancor più per i palestinesi. Il secondo riguarda i tempi dell’operazione, molto più lunghi rispetto a tutte le precedenti azioni militari. Il terzo, e probabilmente il più importante, pertiene al futuro di Gaza. Che cosa accadrà alla Striscia dopo la guerra? L’idea di conquistarla e restarci, annettendola a Israele, è sostenuta da alcune frange radicali, ma è irrealizzabile. La sconfitta totale di Ḥamās deve avvenire senza tenere Gaza, abitata da oltre due milioni di abitanti pervasi da un profondo odio nei nostri confronti. Un odio che la guerra potrà soltanto accrescere.

Gaza è l’emblema degli obiettivi inconciliabili di Israele: combattere Ḥamās, ridurre al minimo il rischio per i propri cittadini e soldati, salvaguardare la popolazione civile dall’altro lato del confine. La coperta di Gerusalemme è troppo corta. Come si può vincere inequivocabilmente una guerra con un nemico che si nasconde in mezzo alla popolazione civile rispettando le leggi internazionali? Se Ḥamās volesse mettere sul serio in difficoltà Israele, dovrebbe arrendersi in blocco e consegnargli Gaza. Allora sì che ci troveremmo tra le mani un dilemma insolubile.


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023


LIMESUna vittoria netta restituirebbe a Israele la deterrenza perduta?

ELRANLa deterrenza è un elemento importante ma inconsistente. Ce l’hai e in un batter d’occhio qualcuno te la sfila. Senza avvertimenti. Fino al 6 ottobre nessuno avrebbe seriamente dubitato della capacità di dissuasione di Israele nei confronti di Ḥamās. Nemmeno i più aggiornati servizi d’intelligence. È bastato un giorno per far crollare i nostri presupposti. Poi, la deterrenza presenta vantaggi per entrambe le parti. Le milizie di Gaza l’hanno usata per depistarci, sfruttando le zone d’ombra per costituire la propria forza militare e pianificare un attacco complesso.

C’è però un aspetto aggiuntivo. Se Ḥamās ha seriamente preparato l’assedio per godere di un vantaggio tattico, di una vittoria di 36 ore, il suo errore di calcolo è stato colossale. Non capisco quali siano stati i veri obiettivi militari dell’operazione, ma soprattutto gli scopi del comportamento barbaro tenuto con i civili. E non sono l’unico.

I terroristi pensavano seriamente che Israele sarebbe crollato, che si sarebbe dissolto nel nulla? Probabilmente sì, poiché dicono tuttora che il piano era conquistare e tenere sotto controllo parti del territorio israeliano. La realtà è che hanno fallito miseramente e subìto perdite enormi, nonostante la sorpresa, nonostante l’incredibile fallimento di esercito, intelligence, politici, analisti. Hanno ottenuto soltanto una carneficina. Il nostro esercito non ha lasciato ricordo dei terroristi sul terreno israeliano, restano solo cadaveri e prigionieri. Alcuni potrebbero sostenere che il successo di Ḥamās riguarda la consapevolezza, la presenza, la percezione. Sul serio? E a quale prezzo: davanti al mondo, a noi israeliani, al loro stesso popolo? Mi trovo costretto a dire qualcosa che non vorrei: le menti dei capi e dei militanti di questa organizzazione sono distorte, la loro visione è barbara, deformata e malata. E per questo tutti paghiamo un prezzo altissimo. Purtroppo la popolazione di Gaza non ha ancora detto «Basta!». Non l’ha fatto a causa della sua mentalità, della sua cultura del potere, dell’odio accumulato per decenni. Il mio non vuole essere un giudizio. Ma la soluzione offerta da Ḥamās non porterà a nulla di buono, solo ad altre sofferenze e sventure. Questo è certo.

La logica convenzionale non consente di capire e tanto meno di trovare spiegazioni a quello che è accaduto. In questo momento non è possibile non essere d’accordo con la linea di Israele. E Ḥamās ha perso ogni diritto di essere considerato un partner per la pace.


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023


LIMESAl di là degli effetti militari, la guerra dello Yom Kippur ha avuto per Israele un grande impatto politico interno, portando alla dimissione dei vertici militari e politici. Sarà così anche dopo il conflitto in corso?

ELRANDifficile pensare altrimenti. I capi dell’esercito e dell’intelligence hanno già riconosciuto pubblicamente le proprie responsabilità, rimandando le dimissioni formali alla fine della guerra. Ci sarà una nuova leadership che avrà la responsabilità di studiare i gravissimi errori che hanno contribuito alla tragedia del 7 ottobre e di riorganizzare Tzahal, le nostre Forze armate. Dovranno cambiare la mentalità e il modus operandi.

Dal punto di vista politico, la situazione è meno chiara. Entrano in gioco il governo e la sua dura lotta con l’opposizione (sia politica sia popolare) per le riforme al sistema giudiziario. Tale lotta non è stata cancellata dalla guerra. È stata solo rimandata.


LIMESCome ne uscirà la società israeliana?

ELRANLa società israeliana è una luce nel buio fitto dei primi giorni di guerra. L’attacco di Ḥamās è stato sferrato contro una società provata da anni di difficoltà: il Covid-19, una crisi politica che ha portato a cinque elezioni in meno di due anni e mezzo, nove mesi di proteste contro le riforme. Una società che all’alba del 7 ottobre presentava lacerazioni interne senza precedenti, addirittura insanabili a detta di molti.

Non si può non restare affascinati e confortati da quanto è successo. Parlo dell’ondata di solidarietà e dell’unità – vera, sul campo, non a parole – di cui siamo testimoni. Parlo dell’incredibile reazione di molte delle persone evacuate dai kibbutzim e dai villaggi di confine, che vogliono tornare indietro e ricostruire le proprie case. Parlo della risposta di Tzahal, il quale ha ripreso il controllo della situazione dopo il durissimo colpo. Parlo del sostegno degli Stati Uniti, fondamentale per dissuadere altri attori (leggi izbullāh e Iran) a entrare attivamente nel conflitto.

Sarebbe sbagliato affermare che tutto va a meraviglia. Decine, forse centinaia di migliaia di cittadini israeliani hanno vissuto un trauma che dovrà essere affrontato e curato. Un trauma che sembra coinvolgere anche il governo e il primo ministro. Ci aspetta una guerra dura e snervante, anche per la soluzione del problema degli ostaggi.

Ma abbiamo vissuto momenti peggiori. La Shoah non ha impedito che nascesse Israele. Gli attacchi di tutti i paesi arabi nel corso dei decenni non ci hanno impedito di crescere, di diventare ciò che siamo oggi. Questa è la nostra sfida: trasformare la catastrofe in opportunità. Se ci riusciremo tutto andrà bene. Ma non sarà questione di settimane o mesi. Ci vorrà molto tempo.


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023

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