“Ho aderito a questo appello per il #no al referendum del 4 dicembre.
Voglio solo precisare una cosa: si vota sulla Costituzione e su quella ci si esprime, con ragioni di merito, senza alzare i toni, senza cercare lo scontro. Questo è lo spirito, queste sono le ragioni.
Buon referendum a tutti! #dopoil4vieneil5 #volerbeneallitalia” Gessica Allegni
di Serena Spinelli (FI) Gessica Allegni (FC) Cecilia Carmassi (LU) Rosa Dello Sbarba (PI) Bruna Dini (LU) Andrea Ferrante (PI) e altri 300 promotori – 19 novembre 2016
Chi firma questo messaggio vuol bene a questo Paese.
Chi firma questo messaggio è preoccupato per le condizioni di questo Paese: poco lavoro, molti poveri, la diseguaglianza a livelli mai visti, una economia che non riparte, un welfare sempre più destrutturato e incapace di dare risposte ai crescenti bisogni, un territorio compromesso e indifeso quando terra, aria, acque chiedono il conto della trascuratezza e della rapina.
Chi firma questo messaggio pensa che la ricchezza maggiore di questo paese, come stiamo vedendo di fronte alle sciagure del terremoto, sia la capacità della sua gente di organizzarsi, di reagire, di partecipare. È l’Italia che ci ha fatto crescere, quella del volontariato sociale, dei piccoli movimenti e del mutuo aiuto, dell’associazionismo politico e culturale, del sindacato dei lavoratori, delle piccole imprese e dei loro distretti, della democrazia delle autonomie locali.
Chi firma questo messaggio crede in una democrazia partecipativa, dialogante e decidente, ma che opera nella società, rispetta la società, coinvolge la società.
Chi firma questo messaggio contesta una cultura di accentramento del potere nel governo dello Stato e del discorso pubblico nelle leadership politiche.
Chi firma questo messaggio dirà No alla riforma costituzionale proposta con il referendum principalmente per questo.
Si poteva certo correggere un impianto regionalista che ha mostrato limiti e difetti, soprattutto dopo la riforma del 2001. Ma è sbagliato pensare di correggere questi difetti tornando ad una primazia dello Stato, o meglio del Governo, che disarticola e indebolisce, con la scusa dei costi della politica, una rete di poteri locali a cui i cittadini dovrebbero poter rivolgersi da sovrani e che sono da tempo essi stessi invece povere comparse di poteri che stanno altrove. Avremo con la riforma Regioni pesanti del vecchio impianto e dimensione, ma con poco da amministrare, altre invece otterranno deleghe “speciali” su materie diverse fra loro, intanto le Regioni autonome rafforzeranno l’autonomia. Ognuno si inventerà modelli diversi di coordinamento con e fra i Comuni e i loro servizi. Il contrario della semplificazione, della maggiore omogeneità del territorio.
Si poteva, forse, qualificare ancora il ruolo dell’Esecutivo nel quadro di una più effettiva efficacia ed equilibrio del sistema istituzionale.
Ma è sbagliato e pericoloso non capire che la crisi della democrazia è crisi di rappresentanza. Il progressivo divorzio dei cittadini dal voto e dalla partecipazione politica, è soprattutto una sfiducia profonda nelle capacità dei sistemi democratici di rappresentarne bisogni e progetti, di stimolare e organizzare la loro partecipazione alla determinazione degli indirizzi politici del paese. Avremo con la riforma, invece, un Senato rappresentativo della politica locale e non delle istituzioni, con funzioni forti e senatori deboli, una moltiplicazione di complicati iter legislativi fra le due Camere e la possibilità per il Governo di saltare questi intralci prevedibili occupando l’agenda del Parlamento con decreti e disegni di legge “a tempo”, che entreranno in vigore col silenzio assenso e superando i conflitti con le Regioni con l’imposizione unilaterale della “tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero dell’interesse nazionale”.
Cosa sarà, in queste condizioni, un Parlamento? Che potere potrà riuscire ad esprimere, chi potrà rappresentare?
Rischiamo solo che si aggravi l’incomunicabilità fra establishment e società più o meno organizzata; male ormai antico, ma che è stato il maggior limite dell’esperienza recente di governo che in mezzo a cose buone ha prodotto riforme sbagliate proprio perché costruite senza il popolo, in alcuni casi addirittura contro le sue organizzazioni. Il jobs act che non porta lavoro, la buona scuola che continua a soffrire.
Chi firma questo messaggio apprezza ogni tentativo di cambiare la legge elettorale. In un quadro già così sbilanciato verso il potere del Governo, l’Italicum produrrebbe un dominio di minoranza nel paese che si farebbe maggioranza forte nella Camera dei Deputati e che farebbe saltare i già precari equilibri che assicurano il pluralismo delle istituzioni e della rappresentanza, quindi la possibilità di una ricca e vivace vita democratica per il Paese.
Chi firma questo messaggio ha sostenuto l’azione della sinistra dei democratici per ottenere quella svolta politica sull’impianto delle politiche istituzionali e sociali, che avrebbe potuto aprire la strada di un nuovo centrosinistra.
Abbiamo sostenuto per questo la missione di Gianni Cuperlo sperando fino alla fine che un accordo sul superamento dell’Italicum potesse dare il via, essere il motore, di questa nuova stagione; non tanto unire sul si o sul no ma, come si è detto, “accorciare le distanze”.
Seppure grazie all’impegno di Cuperlo il documento della commissione rappresenti un primo passo avanti su un tema centrale come la legge elettorale, è chiaro però che nessuna svolta è stata compiuta. Gli argomenti della campagna referendaria, le scelte politiche e di governo che la accompagnano, la chiusura spesso brutale verso le ragioni dei democratici che si esprimono per il No, mostrano un PD e un segretario che rivendica continuità con tutta intera l’azione di governo, difende misure finanziarie che a dispetto delle polemiche europee continuano con l’era dei bonus a pioggia e del blocco degli investimenti pubblici, rinforza gli accenti populisti della sua narrazione, prosegue nella ricerca del consenso stabile dell’elettorato di centro destra.
Anzi, si alzano i toni fino a identificare il Si al Referendum come il discrimine presente e futuro dell’appartenenza al progresso e alla modernità, il recinto unico di ogni alleanza di governo per l’Italia, addirittura il recinto dell’appartenenza al PD. Si annuncia cioè la costruzione di un muro verso quella parte decisiva della sinistra della politica, del lavoro, del volontariato che esprime una critica radicale alla Riforma Costituzionale.
Chi firma questo messaggio quel muro vuole invece abbatterlo e voterà No, nel PD, insieme a quei tanti che vorrebbero una democrazia aperta e diffusa, incardinata su un parlamento plurale e rappresentativo e che soprattutto attui le indicazioni di giustizia, equità e responsabilità sociale di cui è ricca la nostra Costituzione.
Chi firma questo messaggio vuole una svolta nelle politiche del PD e cercherà di proporla nelle sedi e nei tempi giusti. Nel congresso del Partito, nella proposta del leader, del programma, delle alleanze di governo nella prossima legislatura.
Chi firma questo messaggio non chiede dunque la caduta del governo a guida PD, anzi continuerà a sostenerlo per quanto di buono farà.
Chi firma questo messaggio contesta radicalmente che si leghi il risultato di un referendum sulla Costituzione alla vita dei governi e alle carriere politiche. Il Governo governi e rispetti comunque la volontà popolare.
Chi firma questo messaggio pensa che, in caso di vittoria del No, le dimissioni del premier sarebbero un atto irresponsabile e che al contrario il PD debba rappresentare nel Parlamento e nel Paese il partito della responsabilità e della stabilità
Chi firma questo messaggio vuol bene al PD, lo ha costituito, pensa che il PD sia la forza che possa riunire culture e storie decisive per una svolta progressista per l’Italia e per l’Europa. Il nostro No vuole essere una risorsa, un punto di vista critico, radicale, ma pronto al dialogo e alla costruzione di una unità diversa, in un partito partecipativo ed inclusivo.
Con questo spirito voteremo No il 4 dicembre.
Con questo spirito continueremo dal 5 dicembre, comunque vada, a partecipare alla vita e alla crescita, nel e col PD, di un nuovo centrosinistra.
I PROMOTORI (prime firme):


