di Alfredo Morganti – 21 marzo 2017
Da un po’ di tempo la politica è sempre più preda di riti, gesti, schiocchi da prestigiatore, mantra, formule, metafore calcistiche. Non è più tempo di mediazioni, di ragionevolezza e di dibattito pubblico. Oggi ci si affida a imprese istrioniche, a follie, a scalate, alla verve degli outsider, alla botte da matti, agli incantesimi, alle ‘pallonate’. Un episodio, un colpo di magia, tipo Maradona, val più di una bella partita dove, invece, prevalgono gli schemi studiati con cura a tavolino. Seduti al tavolo verde c’è chi bara, chi bluffa, chi nasconde carte nelle maniche, chi dichiara fischio per fiasco, chi sbircia i voucher altrui. In questo bailamme post-politico anche le cose inanimate, gli arnesi, i manufatti, gli oggetti possono far comodo e acquistano un ruolo decisivo. Certo, non sono più le vecchie falci, i vecchi martelli, gli scudi, i garofani rossi. Si tratta di oggetti sobri, banali, più terra terra. Merci, più che oggetti. È il mercato, bellezza.
Oggetti anche avulsi come il trolley ad esempio potrebbero funzionare. Un trolley che, magari, scateni gli incantesimi del viaggio, quelli del tipo: ‘io non c’ero – e se c’ero dormivo’, grazie ai quali lavarsi le mani di tutto quel che accade attorno dando sempre la colpa a qualche altro, di solito la sinistra ex PD. Oggetti simbolici, astratti, ridotti a logo. Oggetti magici, metaforici, rabdomantici appunto, a cui si affida il compito prodigioso di sviare l’attenzione dell’elettore e ottenere risultati senza muovere nemmeno un dito, senza alcun risultato di governo e senza un dato effettivo di realtà da esibire. Chiacchiere, solo chiacchiere. Fumus stregonis. In latinorum, appunto, o in qualche linguaggio iniziatico o cavernoso come il fiorentino.
Un trolley, difatti, si è manifestato di recente nell’antro oscuro del Lingotto-Leopolda, emergendo da una sorta di calderone fumoso. Lo stregone che lo impugnava era lo stesso che aveva trasformato in gufi i suoi avversari, un po’ come la Maga Circe, che aveva mutato in porci i greci. Era lo stesso negromante che, un’altra volta, aveva esibito in tv una lavagna e ci aveva descritto la presunta ‘buona’ scuola, sperando che così funzionasse. Macché, l’incantesimo era sbagliato. Mesi prima, nel cortile di Palazzo Chigi, si era messo a offrire gelati che, col senno di poi, si sono mostrati essere dei coni magici, che hanno irretito i giornalisti e li hanno lasciati un po’ imbambolati. Non basta. L’uomo del trolley ha spesso usato espressioni rituali come ‘jobs act!’, o vere e proprie formule di magia nera come #enricostaisereno, nell’intento di colpire a tradimento gli avversari (un po’ come lo spillone voodoo conficcato sul pupazzo). Il suo incantesimo preferito è ‘ci metto la faccia’, che ripete instancabilmente, un po’ come Potter o Hermione ripetono i loro.
Tra queste formule potteriane, quella che l’uomo del trolley ama di più è ‘Obliviate’, ossia l’incantesimo di memoria, grazie al quale fa dimenticare agli italiani tutto le sciocchezze e le castronerie da lui dette e ripetute sino alla noia ( o alla rabbia, fate voi). Adesso, in questa fase cruciale dove ‘si gioca tutto’, in questo tempo della miseria e delle ‘Primarius’ si affida per le sue magie al logo del trolley. A dire il vero è un po’ sulla disperata. Esibire il trolley è un po’ come dire: mi tengo pronto per la fuga, non si sa mai. In virtù di questo, conserva anche un arma segreta. Se dovessero volare le monetine, difatti, ricorrerebbe a un nuovo incantesimo potteriano, il Wingardium Leviosa, grazia al quale divenire leggero come l’aria e dileguarsi al momento giusto, prima che ti prendano, prima che riacquistino la memoria quelli colpiti dall’Obliviate. Per evitare guai peggiori.


