Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Ora tutti a parlare dei bambini di Gaza
Questo interesse per i “bambini” di Gaza, che cresce nelle élite europee, non solo è fuori tempo massimo ma è anche sospetto. Ieri sul ‘manifesto’ si insinuava il dubbio (qualcosa di più, anzi) che i recenti avvertimenti a Israele di questo o quel leader e finanche della UE, fossero solo un modo per neutralizzare la rabbia crescente nella opinione pubblica internazionale e una sorta di spin per attenuare quella stessa rabbia e ricomporla. Come dire: avete ragione, poveri bambini!, ma ora tranquilli perché ci pensiamo noi. Altrimenti non si capisce, a pari condizioni, perché criticare Netanyahu fosse antisemita fino a poco fa, mentre oggi sarebbe un gesto umanitario. Cosa sarebbe successo di nuovo nel frattempo? Ne sono morti troppi? Netanyahu avrebbe esagerato? Oppure la rabbia crescente delle opinioni pubbliche rischierebbe di mettere in difficoltà, sul piano interno, i vari leader?
Oppure, ancora, il genocidio di Gaza potrebbe porre in secondo piano il conflitto ucraino, sul quale invece i volenterosi europei si giocano il riarmo presente e futuro? Ecco, io credo che questa sia una buona argomentazione. C’è il rischio effettivo che la situazione ucraina passi in secondo ordine, perda di valore, e dunque anche di potenza propagandistica, ove la macellazione in corso nella Striscia prevalesse nella narrazione generale, esibendo in piena luce, peraltro, la doppia verità delle classi dirigenti europee su Gaza e Kiev. Pensateci. La vicenda ucraina è davvero impossibile ridurla al paradigma “invasore-invaso” proprio per la storia complessa che ha alle spalle, per la guerra civile del Donbass e i suoi 14.000 morti, per l'”abbaiare” Nato ai confini russi, per l’uso che se ne fa oggi a livello propagandistico quale precondizione e spinta al riarmo. È stato possibile comprimere tutto questo nel paradigma di cui sopra, anche per lo spazio che essa ha occupato nell’immaginario politico-mediatico, e per l’assoluta padronanza che ha avuto nel dibattito pubblico e nell’articolazione egemonico-culturale di questi anni.
Dinanzi al protrarsi di un genocidio come quello palestinese, di cui sono complici gli stessi che contemporaneamente brandiscono le bandiere della libertà in Ucraina, dinanzi a quella orribile macelleria, tutto il castelletto propagandistico tenderebbe immancabilmente a incrinarsi e perderebbe, infine, di efficacia il paradigma unico dell’invasione russa a opera del cattivo Putin. Così che potrebbero emergere altre narrazioni o verità, soprattutto se venisse a mancare la giusta pressione mediatica e politica verso l’opinione pubblica. Quella stessa opinione pubblica sarebbe presto capace di fare i dovuti confronti, e capirebbe di più e meglio il senso di quel che sta accadendo sia in Ucraina sia a Gaza. E allora via alla neutralizzazione del genocidio, nel modo che vediamo, ossia nel condannare (ma piano, eh) i bombardamenti della popolazione, le crudeltà, gli “eccessi”, auspicando nello stesso tempo un’attenuazione dell’intensità del conflitto. Ovviamente sono solo parole, direbbe Noemi. Perché nei fatti non cambia nulla, se non risoluzioni UE, a cui si dà molto spazio mediatico. Le sanzioni vere restano tutte per Putin, ossia il Male, mentre a Netanyahu tocca appena qualche simpatico rimbrotto. Anzi nemmeno a Netanyahu, quanto a un generico “governo” israeliano, come se anche la vicenda mediorientale nascesse il 7 ottobre, e prima fosse stata la pace universale.


