Orlando. Dare i numeri in politica è controproducente. E lo è anche dare i numeri in generale
Non ho capito granché la storia delle tre “scissioni”, così come l’ha enunciata Orlando. Il vice segretario del PD ne fa una questione matematica, come se la politica fosse (appunto) un’espressione algebrica: ma già Aristotele diceva che, con essa, si entra nel territorio del “per lo più”, delle “somiglianze e dissomiglianze”, altro che equazioni o sommatorie. Riducendo tutto a tabellina, si perde anche il senso politico stesso delle tre “scissioni”, come dice Orlando, e il loro indispensabile insegnamento.
Se si riferisce alla scelta di Articolo Uno di lasciare il PD, dovrebbe sapere che il partito renziano non è che rendesse la vita così facile alle opposizioni interne. Il coro “fuori fuori” ce l’ho ancora nelle orecchie. E non parlo per me, che ho avuto sempre una storia laterale rispetto al PD e ho sempre schivato Renzi, a partire dal famoso 40%. Parlo per quegli amici e compagni che resistevano all’interno del partito, pensando che si trattasse comunque di una vera comunità, quando invece si rivelava tutt’altro. Più che ‘scissione’, direi che quegli amici e quei compagni sono stati scaricati, nel più agghiacciante tentativo di rottamazione umana della più recente storia politica italiana.
Non affiancherei nemmeno per scherzo, poi, le altre due “scissioni”, entrambi avvenute invece sotto la gestione Zingaretti, a quella di Articolo Uno. I renziani hanno fatto una scissione finta, lasciando all’interno del partito una testa di ponte molto nutrita. Più che scissi si sono disseminati. A dimostrazione che il renzismo non è morto, ma si è sdoppiato come un paramecio. Calenda da parte sua, dopo aver fatto con Zingaretti l’accordo ed essersi fatto eleggere in Europa da capolista, ha salutato tutti e se n’è andato. In questo simile a Renzi, che invece è uscito portandosi dietro solo un po’ dei suoi (non tutti) dopo aver pattuito posti da ministro e viceministro (poltrone, disciamo), durante la formazione del governo. Oggi il toscano è uno e trino: in Italia Viva, nel PD, nel Governo.
Ci andrei piano, dunque, con i numeretti, e non cercherei di spiegare la politica con le tabelline matematiche. Se fossi al posto dell’attuale classe dirigente del PD opererei per un rafforzamento della sinistra politica e non mi metterei a discutere di scissioni passate (anzi, cercherei di capirne la lezione). Lavorerei, inoltre, alla coalizione politica con 5stelle, e lo farei offrendo all’intera sinistra una prospettiva, senza pensare a “cartelli” di vertice. E poi: da una parte, metterei in sicurezza la leadership e, dall’altra, offrirei la prospettiva di un partito rinnovato, che operi per un salto di qualità, che rompa lacci e laccioli col renzismo, che non rincorra gli altri ma provi a fare la lepre per una volta almeno. Infine, a proposito di scissioni, non rimpiangerei Renzi e Calenda (perché questo c’è al fondo della recriminazione orlandiana), ma ringrazierei Iddio che se ne siano andati.


