Ossessione

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 6 novembre 2016

Ha ragione Stefano Folli: “Renzi forse non parla al paese ma soprattutto alla minoranza, un’ossessione”. La sinistra interna sta effettivamente diventando una vera fissazione, un chiodo fisso, una specie di fobia. Sembra quasi che il suo vero, unico obiettivo, sia normalizzarla, e nel caso ciò non fosse possibile, schiacciarla, chiamando tutti i militanti ai due minuti d’odio, come in Orwell. Non si era mai visto un leader della sinistra puntare così tutto il suo livore verso alcuni membri del suo stesso partito, la cui unica responsabilità è solo quella (legittima) di dissentire rispetto alla sua linea schiacciasassi. Quello che non dice Folli è che sin dall’inizio la strategia renziana è stata quella di rottamare, aprire una faglia, sconvolgere la tradizionale stabilità della comunità che si raccoglieva attorno al partito della sinistra e al centrosinistra. Era la sua condizione per vincere, per prendere il potere, per comandare, per puntare a Palazzo Chigi. Dividere, spezzare, aprire fratture era il dispositivo che avrebbe garantito l’ascesa. Trasformare una comunità per renderla il suo contrario e creare così le condizioni della propria affermazione, dinanzi al nulla che ne restava.

Un’ossessione, appunto. Il referendum è adesso l’occasione finale per fare piazza pulita. Una specie di apoteosi, un climax come nei film. Spiace solo che in questa operazione Renzi abbia trovato un’infinità di alleati interni in coloro che temevano probabilmente di perdere qualche treno. C’è come un senso per la cresta dell’onda, per i vertici, per il galleggiamento continuo che ha ispirato molta classe dirigente PD, convincendola che era meglio sostenere il Sì, accodarsi al Capo, essere in sintonia. Essere vincenti, insomma, secondo un rivoltante concetto di opportunità. Questo resta della comunità della sinistra. Non sono soltanto connessioni sentimentali che si perdono. No. Non ci si riconosce più, tutto appare deflagrato, con il tifo da stadio al posto del ragionamento, il ‘fuori, fuori’ chiamato in platea invece del rispetto. La cosa triste è che anche i militanti (pardon ‘volontari’, come i kamikaze giapponesi) sono andati perduti, consegnati alla curva, irreggimentati in qualche gruppo ultrà che straripa al Nazareno. E poi la chiamano politica.

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