di Alfredo Morganti – 25 settembre 2018
Insomma, la sovranità non è quella bella cosa che ti fa dire: ‘questo è il mio Paese e qui decido io’. No. La sovranità è quella cosa per cui: ‘troviamo dei soldi purchessia che debbo rimpolpare i miei elettori e saldare le mie promesse’. La sovranità è il diritto al debito, il diritto ad attingere ai ‘buffi’ per fare regalìe verso questo o quello, anche alla cieca. Parrà volgare, ma il grande dibattito si sta riducendo a questo, a questa roba che riguarda il portafoglio personale di ognuno e ignora totalmente la nostra vita sociale e la ricchezza di tutti. Cos’altro significa produrre debito pubblico per tagliare le tasse (ergo i servizi sociali e il welfare) e spingerci di conseguenza sul mercato per acquistare dai privati gli stessi servizi, forse peggiori? Significa esattamente questo. Vanno a farsi fottere i bei ragionamenti sull’Italia che deve fare il muso duro all’Europa per riconquistare il proprio ‘potere’ nazionale e ritrovare un ‘posto al sole’ dopo tante vessazioni subite dai tecnocrati di Bruxelles e dalle potenze plutocratiche. La libertà di manovra sul bilancio e la tanto auspicata ‘flessibilità’, per cui stiamo utilizzando i migranti e la loro sofferenza come esca, sono (ed erano) soltanto un marchingegno per attingere dal forziere delle cambiali, per andare ‘sovranamente’ al monte dei pegni e racimolare due lire per acquistare sul mercato politico, per le vie brevi, i consensi che mancano e che fuggirebbero se non fossero esauditi dal punto di vista dell’interesse personale.
Perché si può anche discutere sull’opportunità o meno di intaccare il già cospicuo debito pubblico nazionale, ma non si può ‘rateizzare’ con nuove cambiali un transfert di ricchezza pubblica verso mille rivoli personali, indotti in ciò da mere ragioni politiche di parte. Non si gioca con le risorse pubbliche, soprattutto se sono virtuali e richiederanno degli interessi futuri. La politica (di destra, di sinistra, di centro) a questo si è ridotta, a scambio collettivo, a dilapidazione di risorse generali a vantaggio del singolo cittadino, mentre attorno a lui la struttura sociale si sfalda e la paura vince sulla coesione sociale. Perché il debito non crescerebbe, nel caso, per realizzare opere pubbliche, per rilanciare il lavoro, per fare manutenzione al Paese, per potenziare i servizi. No. Crescerebbe per migliorare, illusoriamente, le condizioni di vita individuali di questo o quel cittadino, nella speranza che il suo atteggiamento verso il governo sia benevolo. Ed è una mossa ancor più sbagliata, perché educa gli elettori alla valutazione monetaria, allo scambio, al gioco degli interessi anche quando è in questione la polis nel suo complesso. Fa strame di quel poco di educazione civica che resta. È un danno morale ancor prima che politico o economico. Della politica oggi sappiamo questo: che se voti per chi governa, verrai premiato con la pensione anticipata, il taglio delle tasse, una paghetta, un nuovo condono fiscale, nonché qualche altro bonus e sgravio a cacchio, che tanto non guastano mai e oggi costano poco. Compri oggi e cominci a pagare, magari, a gennaio 2019, come in un emporio di gadget informatici.
La sinistra, quel che ne resta, dovrebbe capire che il suo ruolo è esattamente speculare e alternativo. Ossia, quello di rimettere al centro il bene pubblico, la ricchezza sociale, la coesione, la ridistribuzione delle risorse dal privato al pubblico (non viceversa) – con una visione storica, con uno sguardo attento, interessato verso i livelli più bassi della stratificazione sociale, con il rilancio del lavoro (non i bonus) e delle sue tutele (non il mercato selvaggio della flessibilità), la scuola, la cultura, il civismo, l’attenzione minuta al patrimonio sociale, la manutenzione e la cura, i diritti e non solo quelli civili, uno sguardo generale sul Paese per riequilibrare storture e ingiustizie storiche, una ricostruzione dettagliata del tessuto di partecipazione, associazionistico e dei comitati locali. E poi, più in alto, la difesa della Costituzione e un rafforzamento della rappresentanza, delle istituzioni democratiche, del sistema dei partiti (non più brand del leader, ma organizzazioni capillari e collettive che fanno da ‘ponte’ con lo Stato), per un rilancio complessivo della democrazia contro ogni visione autoritaria, populista, che rigetta le articolazioni dello Stato in nome di un cortocircuito tra Capo e Popolo. Non potrebbe mancare una nuova idea di Europa, ma stavolta come Europa sociale, solidale, dei cittadini, del lavoro, dei diritti e della cultura, quasi un ribaltamento dei decenni trascorsi; nella convinzione che le piccole patrie non servono a nulla, che il nazionalismo è una cattiva interpretazione dell’amore verso il proprio Paese e che scimmiottare gli avversari (da berlusconiani a salviniani) è talmente ridicolo che è quasi meglio non pensarci. Ovviamente senza un grande partito della sinistra, popolare, di governo, articolato all’interno ma unito nei valori di pace, democrazia e solidarietà, di tutto questo non se ne farà niente. Ma proprio niente.


