Fonte: Il Manifesto
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di Michele Prospero – 4 dicembre 2014
Il senso politico dell’inchiesta di Roma è piuttosto trasparente. Al di là dei risvolti penali della vicenda, affiora una radiografia impietosa delle tendenze degenerative che da tempo sconvolgono la vita politica in Italia. Nel deperimento di una politica organizzata e dal forte profilo identitario, operano nelle città degli scaltri comitati d’affare. L’elezione diretta di una carica monocratica, e la gestione di ingenti flussi di denaro ancora in dotazione alle amministrazioni, suggeriscono ai poteri occulti di investire con spregiudicatezza per decidere l’orientamento e la composizione dei ceti politici.
Il presidenzialismo municipale, congiunto allo spegnimento delle forme di una vita di base partecipata, ha approfondito il peso delle risorse private nelle carriere politiche, nella adozione delle politiche urbanistiche, ambientali, dei servizi.
Emerge la scissione tra una politica dell’apparenza, dove predominano la personalizzazione della leadership e i richiami alla mitologia della società civile, e una trama più invisibile di influenza che vede l’attivismo di comitati e cricche che gestiscono appalti, fondi, nomine.
Non solo per diventare sindaco «unto dal popolo», ma anche per conquistare un seggio in consiglio, servono denaro, sostegno mediatico, contatti strategici per vincere la grande battaglia delle preferenze. E il seggio vale come base sicura per accumulare una visibile potenza privata, utile nelle sedi della contrattazione. Il pacchetto delle tessere, e la dotazione di preferenze stabili da spostare anche in soccorso di candidati amici sono una risorsa preziosa da far valere nel momento della definizione delle liste per il parlamento o la regione.
La politica senza partiti strutturati e codici ideologici di riferimento è sempre più appannaggio di potenze private. Le primarie, inventate come rito iperdemocratico, in realtà non fanno che amplificare la rilevanza di denaro e media nella selezione delle classi politiche locali e nazionali. I gazebo impongono ruvidi calcoli di interesse che strapazzano ogni valutazione politica affidata ai militanti, agli iscritti.
I non-partiti leggeri, liquidi, estroversi, in nome dello scettro da restituire agli elettori sovrani, costruiscono in realtà dei meccanismi di opacità, se non di malaffare, che approfondiscono la subalternità della politica al denaro. Il singolo designato alla carica elettiva, ha alle spalle coalizioni di interesse che lo hanno appoggiato nelle preferenze e subito chiedono il conto. Nella sua solitudine, l’amministratore vaga in balia di potenze che lo manovrano, lo indirizzano, talvolta lo inducono in tentazione.
Rimedi facili non ce ne sono. Per cominciare, bisognerebbe restituire identità alla politica, come passione ideale. Ma ogni evocazione di una salda componente ideologica nell’impegno pubblico, subito attira addosso l’accusa di nostalgia novecentesca.
Servirebbe anche l’abolizione delle primarie aperte al passante indistinto: i gazebo sono di fatto la resa ad un partito della nazione sconfinato, privo di differenze, sordo al senso della parzialità. Dovrebbe esserci anche un preciso radicamento dei partiti nel conflitto sociale della post-modernità. Ma è difficile che ciò avvenga se il conflitto viene maledetto come una malattia e gli imprenditori sono celebrati come «gli eroi del nostro tempo». Finché i partiti sono «scalabili» con operazioni scaltre, sorrette dalle munizioni ingenti dei signori dei media e del denaro, non ci sono rimedi reali alla compenetrazione affaristica di governo, amministrazione, imprese.
Con l’abolizione del finanziamento pubblico, i soggetti politici residui diventano sempre più poveri, mentre gli eletti navigano nell’opulenza. Questa frattura tra organizzazione esangue e peones, così remunerati da sperimentare un vero mutamento di status, è una delle cause dell’elevata competizione interna ai partiti e anche del deterioramento della qualità del ceto politico.
Ogni riforma della politica diventa sterile invocazione se non percepisce quanto esteso e radicato è il male.
Dal Manifesto del 03/12/2014



1 commento
Prospero mette il coltello nella piaga. Molti iscritti (generalmente la base più politicizzata e non legata alle BANDE di affari che nei Partiti sono sempre esistite- nel PCI meno) al PD si sono opposti alle primarie aperte, e non hanno accettato passivamente che il dato sulle affluenze coprisse la falsità dell’esito scontato, voluto dalle varie cordate tipo USA. Il risultato è, che questo oggi, non ci porta più a scontri ideologi sulla società ma a lotte di potere che nulla hanno a che vedere con il Bene Comune. Se poi, vogliamo anche dircela tutta, le cordate affariste legate ai diversi Partiti, non sono completamente in contraddizione tra loro, perché gli stessi finanziatori concorrono alle spese dei diversi competitori i quali poi devono pagare per l’appoggio avuto (ed ecco, le infiltrazioni mafiose bipartisan). Che differenza di modello di Stato o di politica Sociale vi è tra l’odierno Renzi e quella dell’onnipresente Berlusconi se non portare avanti il vecchio progetto di GELLI? Solo un CRETINETTI qualsiasi, potrebbe vedere differenze e sarà lo stesso con la presenza di Salvini o di Passera che dovranno sempre obbedire agli ordini dei loro finanziatori o meglio dei loro pupari. Proprio per questo, oggi, che il vaso dell’indecenza politica sta traboccando, che dobbiamo essere capaci di riportare la politica al suo ruolo essenziale che è quello dell’INTERESSE del Paese e non di queste bande criminali che saccheggiano la ricchezza del Paese e riuscire, mettendo da parte divisioni filosofiche e anche fisiologiche a rifondare una Sinistra degna del suo passato. Voglio essere positivo: CREDO CHE NONOSTANTE TUTTI CI RIUSCIREMO.
Una domanda che si porrà spero anche la Magistratura: Poletti al tavolo dove sedevano questi affaristi che ci stava a fare?