Pd e sinistra: parole vuote e discorsi inutili

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 24 gennaio 2019

La lingua morta bla bla bla

Qualche sera fa sono andato a curiosare dalle parti della casetta rossa, dove era annunciato Zingaretti ma è arrivato Cuperlo. Pensavo di non riconoscere più nessuno e invece era come a un’assemblea di Mdp. Tutta gente avanti in età e a me nota sin dall’epoca del Pci-Pds. Molti vecchi amici, e persino tenere conoscenze. Quelli ‘rimasti dentro’ per i motivi più vari. Ora adunati dietro Zingaretti, dopo lunga afasia se non una mimetica, quanto stoicasopportazione. Con un’aria stranita come fossero reduci da una prigionia o usciti dal coma. La riunione è stata introdotta dalla Fabbri e dalla Mazzoni, già giovani esponenti, a suo tempo, della scuola bersaniana.

E sono rimasto colpito dal linguaggio. Appelli alla spersonalizzazione, sebbene non sia ben chiaro in cosa Zingaretti e Martina si distinguano se non nell’aspetto fisico. Aneliti a un ritrovato pluralismo, alla condivisione, all’apertura, all’ascolto dei bisogni. Una critica al riformismo ‘dall’alto’, come se quello praticato sotto ispirazione della Morgan Stanley avesse il suo difetto nella mancata mediazione popolare. Un florilegio di buoni e mansueti proponimenti soggettivi. Un volontarismo irenico e melenso che intenderebbe retrocedere dalla stagione violenta e delirante della rottamazione ritrovando un giusto mezzo comunicativo. Come se la rottamazione fosse stato un episodio di maleducazione, un eccesso di sgarberie e intemperanze, e non la rottura linguistica e culturale necessaria a un’operazione politica che aveva come scopo, perfettamente riuscito, di fare della sinistra storica il capro espiatorio di ogni nefandezza. Consegnandola a una sorta di damnatio memoriae col risultato di abbattere le difese se non di aprire direttamente la strada a quella sub-cultura fascistoide oggi divenuta egemone nel paese.

Nessuna traccia delle categorie analitiche cui un tempo eravamo abituati per mettere a fuoco la costituzione materiale e i processi politici, con i loro correlati esortativi a sfondo polemico: la battaglia, la lotta, le alleanze, la tattica, l’organizzazione, il disegno, il progetto, il proselitismo, la missione. E neppure il linguaggio dell’ironia dolente, della sconfitta, della ritirata, dell’errore e della solitudine. Che pure sarebbe quello più consono, sebbene improduttivo, quantomeno alle sofferenze imposte dallo spirito del tempo.

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