di Fausto Anderlini – 20 maggio 2018
Visto la diretta. Udito il bel discorso di Cuperlo sulla rifondazione della sinistra e il potente applauso al seguito. Sebbene in sedicesimo mi ha ricordato quando Ingrao nel Marzo del ’90, al penunltimo congresso del Pci fu salutato da una selva di pugni alzati. Ma Martina si è guardato bene dal mettersi a piangere come fece Occhetto. Chiarissima la distinzione antropologica secante i diversi interventi: da una parte gente che parla di politica, che in qualche modo sente, o vorrebbe ancora sentire, come una missione. Dall’altra una fauna indeterminata e sconcertata assiepata dietro a un tizio.
Per certi aspetti chiassosi dell’assise il pensiero è andato anche ai congressi Dc dove le correnti se le davano di santa ragione. Ma la Dc era tenuta insieme dal potere e per questo potevano sprangarsi senza inibizione. Che non è il caso del Pd. Un partito che senza il potere come collante non ha alcuna consistenza. Contemporaneamente mi sono scorso i commenti in tempo reale a lato della diretta. Un lupanare di poveri invasati renziani posseduti da un odio implacabile. Tutto quel che resta della ‘militanza’. Il Pd non è neanche più esorcizzabile. Ormai è la sede di un litigio fra coniugi che si odiano. Si recano davanti al giudice per regolare la separazione ma poi rinviano a un’altra seduta il momento fatale. Nel nome di una ‘comunità’ coniugale nella quale peraltro nessuno di loro ha mai creduto e men che meno onorato. La verità, come dice quella canzone, è che per imparare a lasciarsi bisogna aver imparato ad amarsi.


