Psicopatologia dei Sindaci e degli amministratori locali

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Nell’avvento la fine degli eventi. Psicopatologia della classe amministrante locale.
Da un lato si ingaggiano in ossessive campagne securitarie, dall’altro si abbandono al più lascivo permessivismo. A corrente alterna e spesso in simultanea. In un perenne contenzioso nevrotico con il governo e lo Stato centrale- Perchè i governatori e i sindaci sono a tal punto ballerini da rasentare un grottesco bipolarismo ?
Il turismo è stato l’unico volano di crescita nell’epoca neo-liberista, in termini di addetti e unità locali. Assai più che nel settore high tek dei servizi avanzati. Mentre l’accumulo di ricchezza finanziaria è avvenuto con una riduzione dei ceti impiegatizi applicati al quaternario, analogamente alla strage del piccolo commercio e del piccolo artigianato vicinali ad opera dei supermarket e delle grandi catene, i settori del ricettivo e della ristorazione hanno conosciuto un rilancio imprenditoriale e occupazionale, sia pure di lavoro in larga misura precario, di grande portata.
L’occlusione delle rotte esotiche intercontinentali, a causa delle guerre, delle crisi e della stessa modernizzazione degli stati emergenti, ha riorientato i flussi turistici e il movimento degli affari verso le città e le località amene dell’occidente. Capaci di dispensare con voli alla mano e le più svariate combinazioni trasportistiche loisir, soggiorni in sicurezza e una ricca ‘offerta storico culturale ed eno-gastronomica. Un movimento accresciuto dalla produzione di massa di nuove classi medie desiderose di viaggiare verso l’occidente proprio nei paesi che un tempo si offrivano come destinazioni esotiche e occasione esplorativa di mondi tradizionali non contaminati dalla modernità.
Salvo i neri e gli amerindi (ultimi dannati della terra) chi ha subito l’umiliazione d’essere visitato come una curiosità, al pari delle bestie di uno zoo, si è risarcito come visitatore dei visitatori, tramutandosi da oggetto fotogenico in soggetto fotoamatore. Una sorta di vendetta post-coloniale che riguarda non solo il turismo ma anche il movimento dei capitali e della forza-lavoro. Con dinamiche che spesso hanno una forma duale e sovrapposta. Gli asiatici (cinesi e indo-pakistani) penetrano nelle attività commerciali nel mentre torme di nuovi milionari degli stessi visitano i musei e alloggiano nei migliori alberghi. Contrasto che si ritrova anche per le badanti dell’est e i nuovi ricchi del mondo slavo che affollano Rimini a caccia di abiti griffati.
Per corrispondere a questa nuova domanda le città, specie quelle in uscita dalla fase industriale, si sono fatte ‘guape’, cioè attraenti: con restauri conservativi, cura degli arredi e/o nuove infrastrutture ed edificazioni d’avanguardia. I centri storici hanno superato la crisi del vecchio commercio trasformandosi in outlet a cielo aperto per ninnoli e grandi catene. Ricettivo, ristorazione, intrattenimento si sono messi a servizio di folle di city users mobilitati da fiere, attrazioni museali, sagre, esposizioni, eventi culturali, sportivi, religiosi e convegni i più vari. Happy hour e movida nella ztl sono diventati i riti di massa di una perenne festività urbana. Per guadagnare queste soglie anche le città ben lungi da uno status metropolitano si impegnano in insistite azioni di lobbing per potere avere scali aeroportuali e dell’alta velocità, padiglioni fieristici, agenzie di prestigio e sedi universitarie (essendo gli atenei un volano fondamentale dell’intero processo promozionale). Con un aumento della concorrenzialità interurbana e interregionale, ma anche con attriti crescenti fra residenti e consumatori. .
Come conseguenza di queste mutazioni i milieux sociali delle aree centrali hanno subito un cambiamento che va oltre la contrapposizione fra i centri gentrificati e le periferie popolari avviatasi negli ’80 del secolo scorso. Superando la funzione di residenza pregiata I distretti centrali sono infatti diventati vere e proprie fabbriche di intrattenimento socio-culturale il cui valore aggiunto detta il classamento economico della città. Come conseguenza gli operatori del settore, dagli albergatori ai lavoratori dello spettacolo, dai ristoratori e dagli osti alle più svariate espressioni del ‘lavoro cognitivo’ hanno assunto un ruolo leader nella politica urbana. Con una capacità di lobbing ben superiore alla petulante domanda di sicurezza dei residenti anziani che residuano nelle periferie.
Di questa squilibrata compresenza fra richiesta diffusa sicurezza e movimentazione commerciale di nuova generazione ne ebbi una percezione immediata nell’epoca del mandato di Cofferati a Bologna (ovvero alla metà del primo decennio). Cofferati ottenne il top dei consensi sgomberando i romeni accampati sul Reno e liberando gli incroci dei lavavetri, ma toppò clamorosamente quando pretese di normalizzare la movida centrale con divieti alla vendita di alcoolici e chiusure anticipate. Osti e clienti, Confcommercio e sinistra radicale, percettori di rendite e occupanti abusivi di immobili ad uso ricreativo (i cosiddetti centri sociali) si unificarono in un inedito ‘blocco storico’ e diedero vita a poderosi cortei di protesta con il sostegno della stampa liberal-democratica. Sicchè la stella di Coffy declinò con la stessa rapidità con cui aveva brillato.
In effetti la capacità di mobilitazione degli ‘operatori centrali’ ha, nell’occorrenza, una efficacia straordinaria. Se non altro perchè fa da immediato contorno al palazzo del potere municipale. In passato, ancora alla metà degli ottanta, questa capacità immediata di mobilitazione era appannaggio del sindacato metalmeccanico, ovvero degli operai occupati nelle fabbriche insediate nella prima periferia. Nel giro di poche ore, se non di minuti, l’occasione di uno sciopero spontaneo poteva materializzarsi in diversi cortei capaci di riempire la piazza centrale, ‘prendendosi la città’. L’egemonia della classe operaia sulla città era un fatto fisico, prima che politico. Una cosa neppure immaginabile oggi che le manifatture sono site ben oltre la cerchia dei sobborghi residenziali. Del resto, come dimostrato dalle recenti ‘insorgenze’ nel fuoco della pandemia, la nuova costituente urbana non ha neanche bisogno di organizzarsi in corteo. Essendo che la movida stessa, cioè lo svolgersi spontaneo dello stile di vita, è un corteo ‘politico’.
Sino ad oggi questa ‘costituente’ ha avuto nella sinistra post-industriale dei bisogni ‘post-materiali’ la propria naturale rappresentanza. Ed è questa una delle ragioni della refrattarietà delle aree urbane alla penetrazione leghista, la cui capacità conviviale non va oltre le sagre paesane. Ma adesso, sotto l’incedere dei divieti della profilassi anti-covid, è proprio da diversi segmenti del milieu centrale che emanano segnali di insofferenza nel nome dell’intangibilità dei diritti individuali connessi allo stile di vita. Paradossalmente le misure anti-covid hanno colpito proprio il mondo economico-sociale della ztl, ovvero la base sociale della sinistra. Che èp quasi sempre alla base dei sindaci eletti.
Mentre i governatori sono aggiogati al carro delle categorie economiche regionali (pur essendo la loro missione prevalentemente sanitaria), i Sindaci mettono in risalto la loro intrinseca dipendenza dal milieu delle aree centrali. Da molto tempo, infatti, la loro vocazione è quella del marketing urbano, spacciata come bene comune e interesse collettivo. Essendo piuttosto i burattini degli interessi ‘centrali’. Sorta di pro-loco che ha fagocitato le città da almeno un ventennio a questa parte. E che oggi è messa in ginocchio dalla pandemia.
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