Fonte: i gessetti di Sylos
Un po’ di giorni fa ho intrattenuto uno scambio epistolare con un economista (professore, manager e editorialista) su un argomento che reputo importante. La conversazione mi pare metta bene in evidenza il modo di ragionare della maggioranza degli economisti; mi permetto allora di riportare sotto il contenuto della stessa, sottacendo, per ovvi motivi, il nome del mio interlocutore. Purtroppo devo rilevare che alla mia contro replica non è stata data risposta (da qui il titolo scherzoso del “gessetto”).
IO HO SCRITTO:
“Leggo nel suo articolo apparso … questa affermazione: ‘Il risultato è stato un crollo della redditività del capitale, oggi stimata in media al 6,50% per le banche quotate, insufficiente a remunerarlo adeguatamente’. Non le chiedo se considera ‘giusto’ che una remunerazione del capitale al 6,50% venga considerata inadeguata quando i tassi di interesse tendono allo zero, perché penso di conoscere già la sua risposta: ‘in un’economia di mercato non esiste il giusto e l’ingiusto ma la valutazione del mercato’, però se considera o meno quella valutazione del mercato foriera di distorsioni distributive e possibile causa di crisi future, come già avvenuto nel 2007, questo sì che me la sento di chiederle.”
IL PROFESSORE MI RISPONDE:
“Le giro io la domanda: lei per i suoi risparmi e della sua famiglia (o di chi gestisce la sua previdenza) sarebbe felice di ricevere il 6.5% a fronte di un investimento intrinsecamente rischioso come le azioni di una banca (che, come ricorda un editoriale del FT di oggi – allegato- che dice le stesse cose, è comunque un investimento a leva sull’andamento delle economia, quindi più rischioso di una azione normale)? La risposta degli investitori e fondi pensione nel mondo è no. In media si ritiene che 10% sia il rendimento adeguato minimo per quel tipo di rischio.”
IO CONTROREPLICO:
“Se quel rendimento serve a compensare il rischio vuol dire che dobbiamo attenderci dei crack che allineino il rendimento di lungo periodo con quello degli impieghi con rischio quasi nullo, altrimenti vorrebbe dire che quello stesso rendimento avrebbe un’altra causa, per esempio sperequazioni distributive che non hanno nulla a che fare con l’economia. In entrambi i casi si tratta della logica che porta, a mio avviso, periodicamente a crisi drastiche e improvvise. La questione possiamo vederla anche da un’altra angolazione: quei rendimenti alimentano una situazioni di saving glut, che prima o poi crolla per ristabilire l’equilibrio keynesiano S = I. Cioè, quello che voglio sostenere è che all’origine delle crisi ci sono sempre degli squilibri distributivi (anche per i riflessi sulla domanda). I salari, tanto per dire, non aumentano del 6,50% l’anno, pur essendo elevato il “rischio” di restare senza lavoro. Mi permetto di osservare che forse gli economisti come lei, che hanno l’onore e l’onere di “guidare” l’opinione pubblica, dovrebbero riflettere e soffermarsi su quest temi. Non le pare?”
Qui la conversazione non ha avuto seguito perché il mio interlocutore economista non ha più risposto. Ribadisco il concetto da me espresso, e cioè che l’investimento “rischioso” merita un rendimento più alto perché deve sopportare dei rovesci, altrimenti non sarebbe più “rischioso”. Certo l’abilità dell’investitore sta nel sapere quando “uscire”, prima del rovescio, in modo da godere solo degli aspetti positivi, ma, in generale, nel lungo periodo gli investimenti rischiosi e quelli meno rischiosi devono avere più o meno lo stesso rendimento, altrimenti ci troviamo di fronte a una distorsione distributiva che è di volta in volta la vera causa delle crisi.


