di Alfredo Morganti – 13 giugno 2016
Ricordate il famoso quadro di Magritte, ‘Ceci n’est pas une pipe’, questa non è una pipa? È un dipinto la cui visione produce una sorta di ‘spaesamento’. Nasce dal fatto che quella raffigurata è, sì, una pipa, ma non la ‘cosa’ pipa, bensì la sua semplice ‘rappresentazione’. Questa non è la ‘cosa’ pipa, voleva dire in sostanza il pittore. Voi vi chiederete che c’entra con il lanciafiamme di Renzi, perché a questo stavo pensando. C’entra invece. Perché, quando il premier ha evocato il lanciafiamme, secondo me ha immediatamente prodotto un effetto performativo, come se il lanciafiamme lo avesse GIA’ metaforicamente impugnato, come se ciò fosse concretamente avvenuto pur trattandosi solo di una minaccia per il futuro. Al contrario del quadro di Magritte, quindi, nel quadro di Renzi quello ERA un lanciafiamme (ancorché metaforico, certo), non semplicemente una ‘parola’ o un avvertimento nel contesto di una frase per quanto minacciosa.
E che quello fosse già il lanciafiamme, fosse inteso già come tale, e non un pour parler, non una avvisaglia simbolica, lo vediamo dagli effetti concreti che sta producendo. Non sempre positivi per il premier. Alessandro Di Matteo sulla Stampa ci dice, ad esempio, che crescono i malumori nel PD, e non solo nella minoranza ma anche in frange della stessa maggioranza, per esempio tra gli orfiniani e i veltroniani (Tonini, per esempio, che siede in segreteria), i quali chiedono in sostanza una “gestione più collegiale”, perché Renzi non può continuare a fare tutto da solo. Ora, voi saprete che la formula “gestione più collegiale” in politica è una specie di anticamera dell’inferno per un leader, tanto più se personalistico come Renzi. Perché da quella frase, se i risultati non sono favorevoli (e non confortano il famoso grido battaglia: ‘vincere’), diparte un disagevole percorso di guerra, cresce l’onda d’urto e così i malumori, i sassolini diventano valanghe e prima o poi scatta la necessità del tanto aborrito caminetto. Insomma il contrappasso.


