RIFLESSIONI SULLA NATURA DELL’ILLUSIONISMO* SCIENTIFICO
Immaginiamo una mattina domenicale, siamo a casa in poltrona sfogliando la rivista illustrata quando suona il cellulare, e si diffonde dalla cucina quell’odorino che scatena un precoce appetito. Il caffè appena bevuto ci ha lasciato quel grado sapore caldo, mentre sfioriamo il pelo del gatto accoccolato sul divano. Osserviamo il tutto in camera lenta. È una scena familiare dove si racchiudono i più grandi misteri della vita.
I nostri sensi sono attivi e per via immediata ci danno il contenuto del mondo. Dovremmo farci delle domande a cui tentiamo di rispondere, senza formule e con il pensiero energico.
Prendiamo conoscenza del mondo mediante percezioni. Possiamo chiederci che cosa è il nostro percepire nel formarsi di una percezione, per sapere che cosa avviene. Osserviamo anche che non percepiamo solo il mondo, ma anche noi stessi. Siamo noi ciò che permane di fronte al continuo andirivieni del mondo esterno. Di fronte a un albero ho all’inizio coscienza solo di esso, poi può sommarsi la percezione di me stesso. Sono io che vedo l’albero. Sono cosciente non solo dell’oggetto ma anche della mia personalità, che si contrappone all’albero e lo osserva. Poi, se l’albero scompare alla mia vista, nella mia coscienza rimane una traccia, un’immagine. Questa immagine durante la mia osservazione si è legata a me, il mio essere si è arricchito di un nuovo elemento, la mia rappresentazione di quell’albero. Tornando al nostro esempio domenicale, mi formo le corrispondenti rappresentazioni della voce che ascolto, delle immagini colorate, dell’odore e così via. Lo facciamo continuamente anche senza accorgercene.
Non potremmo parlare di rappresentazioni se non le sperimentassimo nel nostro sé cosciente. Le percezioni andrebbero e verrebbero, Io le lascerei passare. Solo per il fatto che percepisco il mio Io e che con ogni percezione si modifica ed arricchisce il contenuto della mia anima, mi obbliga a mettere insieme l’osservazione dell’albero col mio proprio cambiamento. Mi sento autorizzato a parlare di una mia rappresentazione. Io percepisco la rappresentazione nel mio sé allo sesso modo in cui percepisco gli altri oggetti. La rappresentazione è lì e si imprime per un tempo nella memoria.
Posso ulteriormente fare una differenza, chiamando mondo esterno gli oggetti che ho di fronte, e mondo interno il contenuto della percezione del mio sé. Fin qui i fatti. In uno studio precedente si è accennato al binomio osservazione-rappresentazione come i due punti di partenza per ogni attività umana. (Cfr. https://www.nuovatlantide.org/dalla-parte-della-liberta-un-approccio-preliminare/)
La piega che ha preso la filosofia e con essa le scienze allegate ha esaltato il mutamento che avviene in noi al rappresentare ed ha smarrito di vista l’oggetto che provoca la modificazione. Si è detto: noi non percepiamo gli oggetti ma soltanto le nostre rappresentazioni. Non posso sapere nulla dell’albero che ho di fronte come oggetto di osservazione, ma solo del mutamento che avviene in me mentre lo osservo. La visione dominante è stata quella che vuole limitare la nostra conoscenza alle nostre rappresentazioni, ritenendo che possiamo renderci conto solo di esse ma non delle cose in sé. Si è affermato nel filosofare il pregiudizio che vede come incerto ogni sapere che vada al di là delle rappresentazioni.
Scendiamo da queste altezze per fare un esempio.
Poiché fuori dal nostro organismo troviamo vibrazioni dei corpi e dell’aria che si presentano a noi come suono, i fisici e fisiologi hanno dedotto che ciò chiamiamo suono non è altro che una reazione soggettiva del nostro organismo di fronte a quelle oscillazioni del mondo esteriore. Allo stesso modo, il colore ed il calore sarebbero altre modificazioni del nostro corpo. É sorprendente che queste due percezioni vengano suscitate in noi dall’azione di processi che sono completamente diversi da ciò che è esperienza umana di colore o calore.
Luce, colore e calore sarebbero dunque…..la reazione dei nervi e dei sensi agli stimoli esterni. Da ciò sembra che i nostri sensi ci possono fornire soltanto quello che in essi si produce, ma nulla del mondo esterno. Per esempio, una azione sul nervo ottico produce una sensazione luminosa, sia se l’eccitazione del nervo provenga dalla luce, o da una azione meccanica, o elettrica.
La fisiologia poi, seguendo i processi nel nostro proprio corpo, trova che già negli organi di senso le azioni delle vibrazioni esterne vengono trasformate nel modo più vario. Si vede dunque che il processo esterno, prima di arrivare alla coscienza, subisce tutta una serie di trasformazioni per tanti passi intermedi, al punto che non si può parlare di una somiglianza tra il punto di partenza e di arrivo. Quello che alla fine il cervello trasmette alla coscienza non è più né il processo esterno né quello nell’organo di senso, ma solo quanto avviene al suo interno. Tutto appare nell’ordine più bello.
Immaginiamo di accettare la filosofia del mondo come rappresentazione soggettiva. Ora comincia l’opera del pensiero.
Avevo creduto che la percezione così come la percepivo avesse un’esistenza obiettiva. Ora vedo che essa è solo una modificazione del contenuto della mia anima, e come percezione perde il suo status, si dilegua se scompare la mia rappresentazione . D’ora in poi l’albero, che avevo creduto agisse su di me come percezione e svegliasse in me una rappresentazione, si riduce….a una rappresentazione soggettiva. Di conseguenza, sono allora puramente soggettivi gli stessi organi di senso e i relativi processi, visto che posso conoscerli solo come rappresentazioni. Non ho più diritto di parlare di un occhio reale, ma soltanto della mia rappresentazione dell’occhio. Lo stesso si dica dei processi nei nervi conduttori e quant’altro! Se io percorro ancora una volta le diverse parti del mio atto cognitivo, esso appare come una trama di rappresentazioni che, quali oggetti incorporei, mi costa fatica accettare che possano agire le une sulle altre!
Non posso dire la mia rappresentazione dell’albero agisce sulla mia rappresentazione dell’occhio, e da questa azione reciproca sorge il colore, ovvero la sua rappresentazione. D’ora in poi l’albero, che prima avevo creduto agisse su di me e suscitasse in me una rappresentazione, devo trattarlo a sua volta come rappresentazione. Allo stesso modo gli altri oggetti. Risulta evidente l’assurdità di tutto il costrutto, non appena ci si rende conto che i gli organi di senso, i nervi, la loro attività e quelli della mia anima possono venirmi incontro soltanto attraverso la percezione. Senza organo di senso è ovvio che non c’è percezione. Ma senza percezione l’organo di senso scompare, non c’è occhio senza un altro occhio che lo percepisca, e così via. Dalla percezione dell’albero passo all’occhio che lo vede e ai nervi tattili che lo toccano, ma ciò che avviene nell’occhio e nei nervi tattili io lo posso apprendere solo dalla percezione. Non faccio che passare da una percezione all’altra.
L’errore della concezione esposta nasce dal prendere come rappresentazione una percezione unica e fondamentale, quella di me stesso, sono Io ciò che è permanente di fronte al mondo. Ma è appunto una percezione che mi spinge alla rappresentazione di me. Non posso scordarmi che sono partito da una percezione. Bisogna arrivare ad afferrare il rapporto tra percezione e rappresentazione nel giusto verso. Si ritiene allora che noi siamo organizzati in modo tale da poterci render conto soltanto delle modificazioni del nostro proprio sé, non però delle cose che producono queste modificazioni. La visione che limita la nostra conoscenza del mondo alle nostre rappresentazioni ci appare d’entrata unilaterale e coerente con la nostra attuale organizzazione corporale. Vi possono essere altre cose al di là di queste rappresentazioni, ma la nostra attuale organizzazione così come è non ci permette ancora di contemplarle. Si assume la percezione del proprio sé come fatto di valore oggettivo mentre si vuole dimostrare il carattere soggettivo e rappresentativo di tutte le altre percezioni. È una contraddizione in atto. Il fatto è che le percezioni non possono essere così spogliate del loro carattere oggettivo.
Si vorrebbe sapere quanto possiamo fidarci della scienza. Sapere se l’immagine del mondo che essa indaga è giusta, se la sua conoscenza è fondata, se la sua comprensione è profonda. Vediamo “a volo d’uccello” il suo procedere metodologico dalla posizione assegnata alla sensazione, ovvero a quello che proviamo al momento di uno stimolo sensoriale.
Ora succede un fatto sconcertante, ovvero nella pratica scientifica si restituisce l’oggettività ai fenomeni esterni con una operazione astuta e funzionale.
Questa impostazione risale idealmente a Cartesio e le sue riflessioni che la Scienza ha fatto sue da tempo:
“Quando io esamino più da vicino gli oggetti corporei, vedo in essi assai scarsamente contenuti ciò che posso conoscere chiaramente e nettamente, e cioè la grandezza, ovvero l’estensione…la forma che deriva dai confini di quella estensione, la posizione che i corpi diversamente configurati hanno fra di loro, il movimento o mutamento di quella posizione, a cui si può aggiungere la sostanza, la durata e il numero. Per quanto riguarda le altre cose, come luce, colori, suoni, odori, sapori, calore, freddo, e le altre qualità sensibili al tatto esse si presentano al mio spirito con tanta oscurità e confusione, che io non so se siano vere o false, cioè se le idee che io mi faccio di tali oggetti siano effettivamente idee di cose reali o se rappresentino solamente degli esseri chimerici che non possono esistere.”
La Scienza ritiene di porre in noi umani tutte le qualità sensibili come il suono, il colore, il calore, ecc. chiamandoci “soggetto” e considera che a tali qualità sensibili corrispondano là fuori solamente dei processi di movimento di materia.
Se siete rimasti impietriti sulla sedia a queste parole, incomprensibili ai più, cerco di spiegarlo con la massima chiarezza possibile.
Questi processi e questi movimenti ondulatori a cui si allude, noi comuni mortali non li percepiamo con i sensi. Gli scienziati li hanno dedotti in base alle qualità soggettive che possediamo. Ma tale deduzione deve apparirci manchevole ed abile allo stesso tempo.
Il movimento e la velocità sono concetti che tutti noi prendiamo a prestito dal mondo dei sensi, e li scorgiamo continuamente negli oggetti del mondo esterno, come ci insegna la vita quotidiana. Il movimento è una qualità dei corpi percepita sensibilmente, ma la Scienza gli dà una forma di esistenza concepita intellettualmente e lo trasla a entità non percepibili dai sensi, quali ad esempio i componenti della materia discontinua.
Quindi si tira una linea divisoria nel bel mezzo del mondo che percepiamo con i nostri sensi: da un lato la parte soggettiva e qualitativa, dall’altro lato quella oggettiva e misurabile.
Se potessimo seguire tutta la serie di processi che si compiono durante qualunque percezione, dall’origine dello stimolo alla terminazione nervosa nell’organo fino al cervello, non giungeremmo tuttavia mai fino a quel punto in cui cessano i processi meccanici, chimici ed organici e sorge ciò che chiamiamo percezione sensoria, ovvero la sensazione del colore, del suono, dell’odore e così via. Non è rintracciabile il punto in cui il movimento dei processi spazio-temporali passa alla percezione e all’effetto. Investighiamo i fatti senza pregiudizi.
Supponiamo che nella nostra coscienza appaia una data sensazione, lo squillo del telefono, un’immagine colorata, e così via. Essa si presenta al tempo stesso da indicarci un qualunque oggetto da cui trae origine. Una volta che ho la sensazione del rosso per esempio vengo innanzitutto condotto a qualche oggetto del mondo esterno quale portatore di tale sensazione. Posso chiedermi quali processi spazio temporali si svolgono in quell’oggetto mentre esso mi appare dotato di color rosso, e allora come risposta avrò processi chimici, luminosi, meccanici. Proseguirò quindi nell’indagine e cercherò quali processi si siano svolti lungo la via da quell’oggetto fino al mio organo visivo per trasmettermi la sensazione del rosso, e poi dall’organo sensorio fino al centro cerebrale. Anche qui saranno quali intermediari processi di moto, o correnti elettriche o mutamenti chimici. Il quid che viene trasmesso lungo tutta questa via è la percezione del rosso in questione. Ma il come quella percezione si presenti in un determinato mezzo giacente sulla via che va dallo stimolo iniziale fino alla percezione, dipende dalla natura di quel mezzo. La sensazione è presente in ogni luogo, viaggiando dallo stimolo fino al cervello, però non come contenuto, ma quale corrisponde alla natura del mezzo esistente in quel luogo nel cammino. Il contenuto appare solo nella mia coscienza.
Che cosa allora si apprende investigando questo processo che nella mia coscienza si presenta quale sensazione? Si apprende solo il modo in cui quel mezzo risponde all’azione che parte dallo stimolo che vi passa. In altre parole, il modo in cui lo stimolo iniziale si estrinseca in un qualsiasi oggetto del mondo spazio-temporale. Lungi dall’essere la causa che suscita in me la sensazione, quel processo spaziale-temporale è l’effetto della sensazione in un oggetto esteso nella dimensione spazio-temporale. Sulla via tra lo stimolo e l’organo di percezione io potrei inserire tante altre cose, ma in ciascuna di esse avverrebbe solo quello che è possibile secondo la sua natura. Dunque nelle vibrazioni longitudinali dell’aria, nella trasmissione dei suoni e nelle oscillazioni elettromagnetiche e nella trasmissione della luce non dobbiamo vedere altro che il modo in cui le sensazioni in questione possono manifestarsi un un medium capace solamente, secondo la sua natura, di rarefarsi o condensarsi, di muoversi oscillando e così via. La sensazione come tale non la posso trovare in questo mondo fisico materiale, semplicemente perchè lì non può esistervi. In quei processi trovo solo una forma della loro manifestazione, solo l’aspetto materiale unilaterale, ma non trovo assolutamente come dato il loro lato obbiettivo, reale.
Andiamo allora più vicino a questi processi che trasmettono lo stimolo. Come li indaga la Scienza? Necessariamente con i nostri stessi sensi, non può fare altrimenti. Forse posso io esaminare con altri mezzi che non siano gli stessi sensi? Le circonvoluzioni del cervello, la forma dei termini periferici dei nervi, l’aspetto dell’iride, non vengono dati appunto attraverso la percezione sensoria ed estensioni strumentali?
Come detto, noi non investighiamo null’altro che il continuo trapasso da una percezione all’altra. Il mondo percepito ci appare allora come una somma di percezioni metamorfosate.
Abbiamo visto che non si può parlare di un carattere soggettivo delle percezioni.
Quando abbiamo una percezione, possiamo seguire i processi dallo stimolo fino al nostro organo centrale, ma su questa via non troveremo mai un punto dove poter indicare il salto dall’oggettività del non percepito alla soggettività della percezione. Con ciò è confutato il carattere soggettivo del mondo della percezione. Esso ci sta davanti come un contenuto poggiato su sé stesso, che non ha ancora nulla a che fare con soggetto e oggetto.
Finché gli scienziati e i filosofi sosterranno che le percezioni sensibili sono solo stati soggettivi indotti da processi obbiettivi, dovremo opporci dicendo che si attribuisce all’oggettività un contenuto preso a prestito dal mondo dell’esperienza che essi in una altra istanza dichiarano soggettivo. I processi materiali spazio-temporali possono essere importantissimi per il prodursi delle percezioni, ma non hanno nulla a che fare con l’essenza delle stesse. Naturalmente, non si vuole negare che mentre a noi appare il rosso nello spazio intermedio avvenga un processo ondulatorio. Ma ciò che propaga materialmente una percezione non ha nulla a che fare con l’essenza del contenuto.
Vediamolo con il seguente esempio. Se qualcuno da Roma mi spedisce un telegramma mentre io risiedo a Milano, ciò che giunge nelle mie mani è originato totalmente in Milano. È in Milano il telegrafista, il quale scrive sopra un foglio di carta e con un inchiostro che non sono mai stati a Roma, egli stesso non è mai stato a Roma, insomma nel telegramma cartaceo che mi arriva nulla proviene da Roma. Eppure, tutto quanto proviene da Milano è del tutto indifferente per l’essenza del messaggio. Quello che per me importa è stato soltanto trasmesso da Milano. Se io voglio spiegare l’essenza del telegramma devo totalmente prescindere da quanto proviene da Milano.
Nelle parole di Cartesio si è basata la concezione moderna della Natura. Credono gli scienziati che tutto il mondo sensibile resterà spiegato non appena si sarà riusciti a ricondurre tutte le percezioni a rapporti esprimibili in formule matematiche e a movimenti di materia. Ma va detto ancora una volta che grandezza, figura, posizione, movimento, forza, ecc. sono percezioni proprio nell’identico senso come la luce, i colori, i suoni, gli odori, i sapori, le sensazioni termiche, e così via.
Chi separa la grandezza di un oggetto dalle sue altre qualità e la considera per sé e a sé stante, non ha più a che fare con un oggetto reale ma solo con una astrazione dell’intelletto. È un grande controsenso attribuire ad una astrazione che è stata isolata dalla percezione sensibile un grado di realtà diverso che non ad un oggetto della percezione sensibile. I rapporti di spazio, tempo e numero non hanno altro vantaggio su le altre percezioni sensibili che quello di essere più semplici e più abbordabili. Ciò si deve al fatto che dato lo sviluppo attuale del pensiero la matematica e la meccanica sono più facili da adoperare. E il pensiero umano ama la comodità.
Anche il ricondurre tutto il percepibile a una unica sua qualità di manifestazione energetica è un ricorrere ad un concetto astratto. Il nostro bisogno di causalità è così appagato quando ricorriamo all’energia e risolviamo tutti i processi della natura in manifestazioni energetiche. Così procedendo non si fa altro che distogliere l’attenzione dal contenuto del mondo reale dei sensi per rivolgerla a una astrazione irreale. Ancora una volta diciamo che non si può spiegare uno dei gruppi di qualità del mondo dei sensi come: luce, colore, suoni, odori, sapori, condizioni di calore, ecc. dissolvendolo nell’altro gruppo di qualità del medesimo mondo sensibile, ovvero grandezza, forma, posizione, movimento, numero, energia.
Il dissolversi dei processi sensibilmente percettibili in movimenti meccanici impercettibili è divenuto talmente un’abitudine per i fisici moderni che essi sembrano non accorgersi minimamente di porre un’astrazione al posto della realtà.
L’illusione contenuta nel programma cartesiano di avere rappresentazioni chiare e nette è divenuta la visione generale della fisica. In definitiva, si attribuisce all’oggettività un contenuto preso a prestito dal mondo dell’esperienza umana che viene dichiarato soggettivo. È un paradosso.
È impossibile collegare con un ponte i due seguenti dati di fatto. Che in un dato punto dello spazio domini un determinato processo di movimento di materia e che in quel punto l’essere umano veda il rosso. Dal movimento può essere dedotto solo movimento, e dal fatto che un movimento agisca sugli organi del senso e da qui sul cervello, segue soltanto che secondo il metodo meccanico matematico che il cervello viene indotto a certi processi di movimenti, ma non che esso percepisca nell’anima i fenomeni di suono, colore e così via.
Movimento può generare solo movimento. Quale legame esiste tra dati movimenti nel cervello, da un lato, e dall’altro con i fatti innegabili si sente dolore, si assapora dolce, si odora profumo di rose, si ode suono di organo, si vede rosso?
Ora, se l’immagine percepita del mondo quale si presenta ai nostri sensi fosse tale da presentarsi chiara e nitida secondo il proprio essere, cioè se tutto quanto si manifesta fosse un’espressione perfetta dell’essenza interiore delle cose, la Scienza sarebbe l’attività più inutile al mondo. Poiché in tal caso il compito della conoscenza sarebbe già pienamente e totalmente adempiuto dalla percezione. In tal caso non potremmo affatto distinguere tra essenza e manifestazione, perché entrambe coinciderebbero pienamente. Dato che siamo ancora lontani dallo sviluppare le nostre capacità cognitive superiori, ovvero l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione, la Scienza è assolutamente necessaria in questa fase evolutiva come metodologia capace di sviluppare al massimo le capacità di astrazione e intellettuali, fermo restando che ci fornisce solo un aspetto unilaterale del mondo, quello della manifestazione sensoriale.
Rimane come ideale e meta finale della Scienza elevare il valore dell’esistenza umana. Ciò che conferisce vero valore alla Scienza è solo l’indagine filosofica del significato umano del suo metodo e dei suoi risultati.
Si ripropone sempre alla nostra coscienza il duplice aspetto del dilemma, se cioè nella concezione del mondo che la Scienza ci presenta si stia descrivendo il vivente come un agglomerato meccanico di singole cose, o si stia in aggiunta considerando realmente il vivente come un meccanismo. Diciamo che sono due diverse sfumature di materialismo da cogliere attentamente. Nel primo caso, siamo solo incapaci di conoscere la vita alla sua radice, nel secondo si tratta di un dogma che uccide la vita stessa.
FILOTEO NICOLINI
Studio basato sull’Antroposofia e l’Opera di Rudolf Steiner.
IMMAGINE: Amor che move il sol et l’altre stelle, LEONOR CARRINGTON
*Operazione diretta a suscitare nello spettatore l’impressione di trovarsi a contatto diretto con la realtà e non con una raffigurazione.


