di Fausto Anderlini – 2 giugno 2019
La classe è come il popolo. Una invenzione dello spirito.
In una intervista recente accattivante come sempre, Massimo D’Alema ha consigliato al Pd di fare istruire i suoi quadri da Landini per andare a parlare agli operai davanti alle fabbriche. Idea giusta, possibile, necessaria, dalla via che è la Lega il partito più votato dagli operai, ma con esito altamente improbabile. Bisogna rassegnarsi, o comunque prepararsi a una lunghissima attesa, se non dare persa per sempre questa parte della società. Come hanno fatto i democratici americani una volta persa, già attorno ai ’60, la classe operaia del mondo country.
L’errore di D’Alema, così come di molti a sinistra, è di ‘idealismo’, cioè di pensare agli operai come a una classe, e per di più ancora nei termini dell’epoca fordista. Ovvero a un aggregato sociale omogeneo di estrazione contadina concentrato nelle grandi fabbriche delle polarità urbane. Mentre larga parte dei lavoratori dell’industria ha oggi un carattere territoriale. Non risiede nelle periferie metropolitane, dove pure è insediato quel che resta delle grandi imprese, e men che meno nei quartieri periferici cittadini, ma nei piccoli centri della provincia. Nelle corone metropolitane non risiedono gli operai che lavorano nelle imprese ivi ubicate ma gli impiegati che pendolano verso le attività terziarie dei centri. Sono luoghi di smistamento funzionale.
La più gran parte dei lavoratori manuali è inoltre occupata in piccolissime imprese, che sono oltre il 90% dell’ossatura imprenditoriale. Il tasso di istruzione dei lavoratori autonomi è al di sotto della media nazionale e larga parte degli stessi è di estrazione operaia. Operai e imprenditori partecipano di uno stesso senso comune che involve indistintamente le località territoriali diffuse. Mettersi in proprio, lavorando duro e pagando poche tasse, è l’aspirazione di tutti. Infine una buona fetta di questo pezzo dell’economia lavora per il mercato interno, ed è quindi funzionalmente ‘sovranista’. La Lega per prima ha fatto proprio questo mondo territoriale post-country emerso con forza nella fase diffusiva dello sviluppo, per sua intrinseca natura alieno al mondo grande-urbano, facendosi interprete della sua immediata istintualità.
Fui tra i primi a studiare, su sollecitazione di Cesco Chinello (Operai e scelte politiche, Franco Angeli) la penetrazione della Lega nei distretti veneti. Un modello di rappresentanza che ha fatto da retroterra alla Lega anche nelle fasi di riflusso e che oggi trionfa in tutto il centro-nord, regioni ex-rosse comprese. Sino a che la sinistra ha conservato i suoi presidi territroriali e il legame ancestrale con le radici rurali del comunismo la sub-cultura rossa ha fatto da diga. Operai territoriali e diversi piccoli imporenditori si ritrovavano nelle case del popolo. Poi è crollata tanto più rapidamente in quanto il Pd ha fatto scelte politiche devastanti. Alleandosi al grande management e alla finanza, colpendo quel che restava della classe operaia sindacalzzata e i ceti istituzionali. E appoggiandosi, nelle province, ai ceti più antipatici: gli intermediari e gli affaristi residuati dal mondo democristiano minore (la vera culla genealogico-sociale del renzismo). E comunque larga parte del mondo sociale del centro-sinistra è transitata non alla Lega, ma all’astensionismo o ai 5S.
Nel vuoto lasciato dalla sinistra degenerata il ‘modello veneto’ a base leghista ha trionfato, espnandendosi sino all’Italia cventrale e trovando un limite nel sud, dove il terrfitorio ha diversi ingredienti sociali (dei quali i 5S restano, pur nel rinculo, l’interprete immediato. E nel modello veneto gli operai si sono adattati da tempo a una presenza duale. Il sindacato nei luoghi di lavoro adatti al suo scopo, la Lega come sindacato territoriale aggressivo e proeizione culturale politica. Sarà così anche altrove e per molto tempo. Non bisogna farsi illusioni. Nell’immediato la sinistra dovrebbe quantomeno trovare una struttura nella rappresentanza del mondo proletario infra-metropolitano* e nella piccola classe media urbana. Evitando di leccare i piedi alla grande borghesia. Altrimenti perderà anche questa parte del suo target. L’unica peraltro interessata a un discorso sull’eguaglianza al di là delle ristrettezza del mondo locale.
* Ossia tutti quegli strati che popolano la marginalità metropolitana, sovente come derivato della proletarizzazione delle piccole classi medie.


