Se l’establishment si rivolta a Netanyahu

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Foa
Fonte: La Stampa

Se l’establishment si rivolta a Netanyahu

I capi militari hanno un peso enorme e Bibi non può accusarli di antisemitismo

La notizia è clamorosa: seicento ex alti funzionari dei servizi segreti e dell’esercito israeliano – fra loro 19 ex capi del Mossad e dello Shin Bet , i servizi di sicurezza israeliani – hanno lanciato un appello pubblico rivolto a Trump in cui gli si chiede di convincere Netanyahu a fermare la guerra, definita «la guerra degli ingannati», e a riportare a casa gli ostaggi. Sono personaggi carismatici, e alcuni di loro hanno levato individualmente la loro voce, prima del 7 ottobre, durante le manifestazioni che si sono susseguite nel 2023 contro la riforma giudiziaria di Netanyahu, per ammonire che la politica del governo rischiava di minare la sicurezza del Paese. Il fatto che oggi si ritrovino tutti insieme a lanciare al Paese un appello tanto drammatico rappresenta evidentemente un segnale positivo del fatto che esiste un’opposizione anche ai massimi livelli, ma indica al tempo stesso che il tempo è ormai scaduto, che ciò che si apre di fronte a Israele è il disastro se non si «sostituisce una macchina del veleno con una macchina della speranza». La notizia quindi offre conforto e suscita al tempo stesso angoscia,

 

Che cosa sta succedendo perché personaggi dell’establishment così prestigiosi si muovano con tanta forza contro il governo? Cominciamo da quanto è successo ieri, quando nella ricorrenza di Tisha be Av, il giorno di digiuno che commemora la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., il ministro Ben Gvir con centinaia di seguaci si è recato nella spianata del Tempio, dove si ergono le grandi moschee, per pregarvi. Ricordiamo che la gestione della spianata è regolata da una serie di accordi con la Giordania, per cui i musulmani hanno il diritto di pregarvi, gli ebrei di visitarla. La Giordania ha già elevato le sue proteste per questa violazione, che non è del resto la prima. Ma in questo delicato e terribile momento il governo israeliano ha proprio bisogno di entrare in rotta di collisione anche con i Paesi arabi con cui ha firmato la pace? Crede davvero di essere invulnerabile?

E ancora, c’è il cambiamento dell’opinione pubblica di tanta parte del mondo, e in particolare dell’Unione Europea, molti dei cui Stati hanno finalmente deciso di riconoscere lo Stato di Palestina. «Tutti fautori di Hamas!», grida Netanyahu. E non ultimo, c’è un forte cambiamento dell’opinione pubblica anche in Israele, soprattutto dopo la sottrazione alla gestione dell’Onu degli aiuti umanitari e l’inizio della carestia e delle uccisioni dei palestinesi affamati. Le manifestazioni si moltiplicano, i giovani bruciano le cartoline precetto, gli attivisti vanno nel West Bank a proteggere i palestinesi dai coloni in armi, intellettuali di prestigio invitano all’obiezione di coscienza o parlano di “genocidio”, un termine sempre più presente sulla bocca degli israeliani che si oppongono alla guerra. E intanto negli Stati Uniti il leader di J Street, la maggiore organizzazione ebraica liberal, Jeremy Ben Ami, dopo essere sempre stato contrario all’uso del termine “genocidio”, ha dichiarato di non potervisi più opporre.

 

Segnali certo meno importanti dell’appello dei capi dei servizi, ma che fanno crescere l’opinione pubblica contro il governo e aumentano l’isolamento internazionale di Netanyahu. Questo appello però, che viene non dall’opposizione di sinistra ma dai più autorevoli membri dell’establishment militare, non può non avere un peso enorme nel Paese. Un Paese in cui i capi dell’esercito e dei servizi hanno sempre rappresentato per i più un forte punto di riferimento.

 

 

L’esercito, gli stessi servizi segreti, hanno avuto a lungo grande prestigio nel Paese, un prestigio certo oggi molto calato dopo che negli ultimi anni il governo di Netanyahu ne ha decapitato i vertici, sostituendoli con personaggi politicamente e anche professionalmente inaffidabili. Quelle dei firmatari di questo appello sono voci che nessun membro del governo, nemmeno i più estremisti, possono accusare di antisemitismo. Se nemmeno loro, con le loro dure parole, riusciranno a salvare Israele, e con Israele, aggiungo, i palestinesi di Gaza e della West Bank, allora sarà proprio segno che ogni speranza è perduta.

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