di Alfredo Morganti – 22 marzo 2017
Si fa un grande uso della parola ‘populismo’, quasi un abuso. Lo si fa con riferimento a uno stuolo di grassi e volgari politici che vorrebbero affossare l’Europa e circondare di mura nazionalistiche ed etniche le democrazie occidentali. Sono ‘populisti’, quindi, Marine Le Pen, Farage, Salvini, Wilders, ma lo è anche Grillo, così come lo è Orban e quant’altri ancora. Una massa indifferenziata di leader politici e di raggruppamenti, che nessuno si preoccupa di differenziare al loro interno. Tant’è che li si dipinge come fossero un’unica cosa, un’unica falange. Anche analisti politici raffinati su questo punto sbracano, sospinti dalla lotta politica e dalla bassa propaganda a perdere di vista i propri strumenti di analisi, lasciando che dinanzi si erga una massa di cose spaiate ma tutte affastellate e racchiuse da un unico termine (populista, appunto) e da un’unica finalità (la distruzione della nostra modernità politica, la fine della civiltà cosmopolita).
In nome di questo abuso del termine, ci si lancia di getto nella proposta di costituire dei fronti antipopulisti che andrebbero dalla destra liberale e tecnocratica sino alla sinistra riformista, nell’obiettivo comune di fermare l’odioso distruttore di civiltà. Insomma, un coacervo di forze diverse destinato a battere i nemici della democrazia. Ma stanno così le cose? Davvero Grillo è uguale a Orban? O a Salvini? Davvero gli elettori di Grillo ex PD sono uguali a quelli della Meloni? Perché dalla risposta a queste domande e da questo giudizio ne deriva la strategia successiva. E soprattutto il suo carattere vincente o perdente. La cosa certa è che “se tutto si mischia, non lamentiamoci poi dell’avanzata dei populismi”, come ha detto Bersani, che è poi quel che successe con il Governo Monti, o in altre casi con il prevalere delle larghe intese. L’ipotetico rassemblement dei liberal-democratici-europeisti dà forza ai populisti, spinge il vento verso di loro e, soprattutto, non fa vincere la sinistra, ma ci porta, paradossalmente, a esultare se, contro il populista di turno, vincesse un leader di destra (però europeista! Magari anche tecnocrate!).
Non bisogna mai ‘mischiare’ tutto, insomma. Né in termini analitici, ammucchiando indecentemente le mele con le pere, e quindi Salvini con M5S – né in termini politici, assemblando fronti europeisti che producono e produrrebbero un unico effetto, quello di motivare ancor più il voto a destra e verso i populisti medesimi. D’altronde, la grande tradizione politica della sinistra ha mostrato che si amplia il proprio spazio politico e si acquista forza se si sa distinguere, se si fa leva su una parte del fronte avversario contro l’altra parte. Se insomma si differenzia e si ragiona, con una strategia di mediazione e assieme di conflitto mirato. In questi tre anni Renzi, in realtà, ha solo fatto una grande caciara, sparando balle mediatiche alzo zero contro Grillo e Salvini, e conferendo così un’identità a quel fronte avverso, più di quanto già non ne disponesse. Tant’è che oggi i sondaggi per il M5S sono sontuosi. La verità è che, quelle sponde grilline, gli servivano per poter giocare con la destra e i moderati, costruirci dei governi, e farci ingoiare il rospo della grande intesa moderata-europeista contro i beceri populisti. Ecco perché mantenerli sul piedistallo gli interessa, ecco perché gli servono, perché così può alzare polverone propagandistico e nascondere la pessima prova di governo, i fiaschi, nonché soprattutto i patti segreti. Ai grillini e ai Salvini Renzi tiene molto, sennò come potrebbe ‘mischiarsi’ felicemente con Berlusconi e con tutto quel mondo?


