di Alfredo Morganti – 15 marzo 2018
Lo dico senza polemica e senza particolare risentimento. Ma a me questa idea di una ‘sinistra anno zero’ non piace affatto. Che vuol dire? Che si riparte da niente? Che si cancella il passato? Che il buono sta solo nel futuro, ammesso che vi sia? Che il male c’è già tutto stato? Che una ‘sconfitta’, anche la peggiore, implica la cancellazione delle basi, del lavoro di tanti, delle passioni e delle speranze coltivate in tutti questi anni? Che il risultato conta più dell’impegno? Che alla fine c’è solo ground zero, o forse ci si illude che vi sia solo quello? A me pare una risposta renziana al renzismo, ecco. Mi pare lo stesso desiderio di novitas, secondo lo stile dell’ex segretario. La stessa fretta, lo stesso spasimo, lo stesso desiderio di cortocircuitare tutto in un battibaleno. Tentando di liberarsi di quella che è ritenuta, la ‘zavorra del pensiero’. È un po’ come ‘rottamare’ la storia, un po’ come ‘azzerare’ appunto l’esistente in nome di un non-esistente, la tradizione in nome di chissà che slancio vitale. Una specie di giudizio manicheo sul bene e sul male. Un colpo di gomma radicale, senza discernimento, senza discrimine, un taglio netto, un movimento di falce senza nemmeno prendere un po’ la mira.
Dietro l’invocazione di un anno zero scorgo in realtà, paradossalmente, proprio ciò che andrebbe ‘azzerato’: questa idea vana e sciocca di palingenesi, questa ambizione alla piazza pulita, questa convinzione mediatica che vi sia un nuovo più nuovo di altri, questa presunzione di giudicare direttamente la totalità, non le singole pieghe della realtà, senza nemmeno passare per una pur modesta autocritica. Scorgo, poi, anche l’idea titanica della distruzione-rigenerazione. Che a me mette paura. Più umilmente dico: e se ripartissimo dal poco che c’è, secondo l’ottica di Massimo Troisi? Pronti a ‘ricominciare da tre’, in fondo, perché qualcosa di buono c’è sempre anche nell’angustia cieca e affannata di queste ore? Il gesto distruttivo, azzerante, rottamante, è sempre, in fondo, una forma di nichilismo passivo senza futuro. Una religione del ‘nuovo’ tal quale a quella che ha dominato in questi anni terribili della sinistra. Occuparsi del ‘vecchio’, di ciò che siamo, invece, metterci le mani, salvare il buono, discernervi una via percorribile, sperimentarla, misurarla con gli attuali bisogni materiali e immateriali, è l’unico vero compito che abbiamo davanti. Ben più faticoso che tirare una linea per convincere a ricominciare da niente. E, nel niente, perdersi, come in parte è già avvenuto nel corso di questi anni.


