Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Su Italiani Europei
Prima che la cosa evapori vorrei fissare alcune mie impressioni sull’iniziativa di Italiani Europei. Perchè son convinto che l’evento rinserri una certa storicità. Per punti. Spaziando per noticine dal testo al contesto.
1. Il ritorno del trattino
Si torna al trattino, d’onde venimmo. Prima del Pd, e persino dell’Ulivo. C’è una convergenza obiettiva fra Bettini e d’Alema (post-veltroniano l’uno, anti l’altro) circa la riorganizzazione del campo del centro-sinistra dopo il vicolo cieco del maggioritarismo. Re-immaginato come una realtà tripartita, con una sinistra rifondata, a partire dal Pd, in termini di identità ed organizzazione, posta nel medio di un trilatero coalizionale i cui estremi si articolano, da un canto, in un M5S e dall’altro in un centro ‘moderato’. Il disegno sconta ampi margini di imponderabilità: l’evoluzione dei 5S è tutt’altro che preventivabile tanto quanto lo è la galassia delle micro-formazioni centriste che spaziano da Italia Viva a Fi. Confidare nelle capacità federative del fu ‘rottamatore’ è un azzardo (e uno speranzoso bluff). La preoccupazione sembra piuttosto quella di preservarsi da altri danni sperando si impegni in una missione alla larga. Ammansimento di Renzi a parte c’è comunque una contraddizione in termini nell’ipotizzare la ricostruzione di un ‘centro’ politico, per quanto mignon, nel momento in cui (D’Alema dixit) se ne dichiara l’eclisse sociale. Tuttavia è più che sensato pensare che molto dipenderà dalla capacità della sinistra di rifondarsi come tale. Intanto provvedendo a una adunata delle forze residuate dal fallimento del Pd maggioritario e liberista e dei tentativi di creare alternative a sinistra.
1. Sentinella, quanto resta della notte ?
Il tempo urge. Quando aprire il cantiere ? Al quesito avrebbe dovuto rispondere Zingaretti. Che però ha elegantemente glissato con quei suoi discorsi che si perdono nel vago e nei difetti di pronuncia. Sicchè tutto incalza ma si resta consegnati nell’immobilismo del mastro di porta. Che la tiene ben chiusa. Malgrado sia stato eletto anche con il soccorso rosso dei militanti di Articolo Uno si è ben guardato dall’invitarli al rientro. Sfidato dai falsi amici ha retto la prova delle regionali al meglio. Cionondimeno una felpata e lubrificata immobilità resta il suo tratto. Come del Pd del resto, che se dà segni di vita è solo per seguire le tracce di Renzi issando il vessillo del Mes. Non più il partito del Ma anche, ma il partito del Mes e del Poi. Nei fatti Zingaretti (e il Pd con lui) resta prigioniero delle granitiche circostanze che definiscono la fatuità della sua leadership. Un equilibrio di forze (persino intra-psichiche, non bastasse lo strazio del gruppo parlamentare) nel quale le componenti residue della vocazione centrista pesano assai. Non è solo il fatto che il Pd stenta per sua stessa costituzione a sentirsi un partito di sinistra. E’ lo stesso spirito di autoconservazione che lo determina a non muovere nulla. Nel terrore che anche la minima perturbazione del suo equilibrio dissipativo provochi uno sconquasso. Inoltre va considerato che lo stare al governo non è la situazione ideale per i cambiamenti identitari, organizzativi e di gruppo dirigente. Come dimostrano i casi della caduta del governo Letta, ma anche del Prodi due all’atto del varo del Pd, e come ancora si vede con gli stati generali dei 5S, tali cambiamenti hanno sempre effetti nefasti sulla stabilità del governo. Sicchè vien da pensare che la risposta alla domanda posta da Isaia 21/11 sia la seguente: quando l’esperienza del governo Conte sarà chiusa. Tra due anni se tutto va bene. anche prima (e forse subito) se la cupio dissolvi e la dabbenaggine prenderanno il sopravvento.
3. Il ritorno dell’uomo come animale ideologico
E’ stata la parte più intrigante e allo stesso tempo sorprendente degli interventi di Amato, Bettini e D’Alema (anche in questo convergenti). Una sinistra ricostituita, e tanto più come corpo solido, dovrà armarsi di una sua ideologia. Non si dà partito senza una identità forte e sistematica capace di penetrare, unificandola, la complessità di un mondo sociale frammentario. Non sarà con la pratica del dubbio, della congettura e con la melassa dei buoni sentimenti, ovvero col minimalismo del ‘pensiero debole’, che si potrà fronteggiare una destra ideologicamente ribalda e dogmaticamente spregiudicata. Ispessire dunque la politica come lotta ideologica. Qualcosa di molto più impegnativo di una ritrovata ‘connessione sentimentale’. Anzi la premessa per poterla guadagnare. Soprattutto nelle parole di D’Alema il richiamo è così forte da bypassare la stessa visione gramsciana dell’egemonia. E’ una vera e propria evocazione dell’ideologia come principio d’ordine e condizione necessaria dell’azione in termini paretiani. Ovvero, marxianamente, come ‘falsa coscienza’ utile allo scopo. La sistematizzazione di elementi irrazionali come organizzazione di pensiero che fa da weltanschauung e guida dell’azione, Cioè come teologia. Laddove il post-ideologismo veltroniano del Pd è stato null’altro che un cascame eclettico di generici afflati umanitaristici. Un surrogato ideologico liquido, lasco e indeterminato (e del resto giù Pareto trattava l’umanitarismo come un surrogato secolare della religione, tipico delle fasi di decadenza e incapace di svolgere la funzione di integrazione sociale). Vaste programme. Perchè la costruzione di una ideologia capace di prefigurare un modello di società e di innervarsi in una cultura politica, non si risolve in una semplice ‘narrazione’ (D’Alema avrebbe fatto bene, anche solo per questione di stile, a non ricorrere a questo mantra storitellaro del vendolismo…). Ci vuole elaborazione, ma anche e soprattutto esempi che la incarnino: se non martiri ed eroi, certo individui capaci di incarnare nella coerenza di vita i postulati ideologico-morali. Inoltre perchè l’ottimo paretiano funzioni bisogna ignorare che esista. Nelle ideologie, per essere efficaci, bisogna credere a prescindere.
4. Dal marxismo-leninismo al socialismo-anabattismo
D’Alema, ma anche Bettini, non sono andati esenti dall’accenno alle culture del socialismo e del personalismo cattolico a sfondo sociale. E anche questo è un ritorno all’incipit del Pd. Il disgraziato partito doveva essere questa sintesi. Quello che è accaduto è noto: le due culture invece di sintetizzarsi si sono rinfacciate come aggregati innominabili, sorta di elementi biografico-personali da tenere per sè. Per essere infine rimosse e sostituite (estremo vituperio delle premesse) da un liberalismo all’acqua di rose estraneo alla storia di entrambe. Il nulla democratico come comune denominatore, ben al sotto di qualsivoglia terza via giddensiana. Sperando che una nuova generazione di millennial ignoranti e smemorati (i cd. nativi del Pd) arrivasse finalmente a rompere definitivamente i ponti col passato (come poi è avvenuto con Renzi e i suoi bambini, guarda caso tutti figli di maneggiari democristiani…. ). Ma se adesso si torna a quel mancato nuovo inizio per impostare una nuova critica del capitalismo non basterà un generico pastrocchio con spruzzate di gramscismo-togliattismo e popolarismo sturziano. Ardua impresa. Essendo impossibile affidare per intero la missione al Papa non basterebbe uno Scoppola redivivo. Ci vorrebbe qualcuno con la statura di Ernst Bloch, o anche solo di Napoleoni. E comunque bisognerebbe mettersi sul tema di buzzo buono.
5. Civitas antiqua rupta
A fronte dell’ironica battuta della Shlein (ancora adusa, un limite che dovrà superare, alla voga civatiana delle villette chiavi in mano e altri irrilevanti condomini a la page) mi è piaciuta la precisazione di D’Alema sul ‘cantiere’. Da aprire non su un lotto a sè stante (come una nuova edificazione) ma su una cava di rovine e palazzi pericolanti o in disarmo. Piuttosto un’opera di riqualificazione generale, con tanto di restauro conservativo e nuove periferie funzionali, ma soprattutto con un buon piano regolatore come guida (come nella grande esperienza del piano bolognese del ’69, omaggio doveroso al grande Campos Venuti detto Bubi….). Di nuovo una tematica paretiana: il trattamento dei residui, la composizione adeguata di ‘combinazioni’ e ‘aggregati’. Trovo la metafora dalemiana del cantiere particolarmente consona. E del resto mi onoro d’averla esaustivamente anticipata con l’editazione nel 2013n del mio “Il voto, la terra, i detriti”. Opera somma della mia vita che però nessuno ha letto. Perchè nulla è stato più fuorviante che la lettura della società post-moderna all’insegna della liquidità. Ignorando Harvey e prendendo Baumann molto alla mano. Essendo essa piuttosto un insieme di frammenti, detriti e altri corpi solidi (anche le idee lo sono) in caotica costellazione. In questo contesto una nuova città non può che sorgere seguendo il lascito degli insediamenti precedenti e prelevando da essi gli inerti. Come facevano i mastri edili d’epoca tardo medioevale, all’alba della fioritura delle città e dei comuni. Anche in questo il Pd imboccò un vicolo cieco, traendo ispirazione nella sua pretesa di ‘novità’, da un mondo (gli Usa) dove queste sub-stratificazioni edilizie sono assenti.
6. Curatori fallimentari
Nel trattare tutte le esperienze di questi tempi come ‘fallimentari’ D’Alema è stato anche troppo spietato. Ricondurre tutto agli insuccessi elettorali è limitativo e insieme eccessivo. A mio parere il vero fallimento non è quando si manca lo scopo, ma quando non si deposita nulla, anche d’imprevisto. Nel bene come nel male. Tutta la storia, infatti, nel suo alternarsi di slanci, decadenze e crisi, non è altro che un cimitero di fallimenti ben riusciti. Dove si è veramente fallito, venendo a noi, è in materia di organizzazione, proprio nel senso aziendale del termine. Nella vasta e variegata fauna di un ceto politico pletorico sono mancati gli ‘organizzatori’. Molti strateghi, glossatori, analisti, spigolatori e altri cacciatori di cariche. Molto di rado politici-organizzatori, militanti-imprenditori e ufficiali di collegamento. Cioè quelli che s’ingegnano a reperire risorse, che aprono sedi, siti, domini, affidano compiti, tengono in esercizio le unità, si presentano sui luoghi del conflitto con manifestini, libelli, programmi, e prendono nomi e indirizzi, consegnano tessere e altro materiale. Nel vecchio Pci, insuperato esperimento in oggetto, l’organizzazione era tutto, e chi ne reggeva le fila godeva di grande potere e reputazione. Questo lavoro è del resto il correlato necessario di ogni ideologia rispettabile. E’ la weberiana ascesi intramondana che incarna le idee di salvezza nella vita sociale. Senza ideologia niente asceti, ma senza asceti dell’organizzazione nessuna ideologia dotata di efficacia. Non verbo ma chiacchera e pindarica esteriorità. Il Pd fu una iconoclasi. Rottamò l’organizzazione e scelse la forma ‘liquida’. Col risultato di sostituire gli asceti coi cacciatori di cariche. Più in generale i ‘costruttori’, asceti e mastri d’ascia, han cominciato a scarseggiare dai ’90, dal momento che ogni forma ‘solida’ della politica è stata percepita come una zavorra. Il tono dominante di diverse generazioni politiche è stato la dissipazione e comunque una vita da rentier rispetto ai costrutti in essere ereditati dal passato. E allora (diciamocelo !) anche questo è stato il limite fallimentare di Leu e Articolo 1. Nessuno dei giovani leader sui quali si confidava ha rivelato di possedere questo fuoco dell’ascesi organizzativa.
7. Le pantofole di Kautsky
Impossibile, infine non soffermarsi sul dettaglio scenico. Anche perchè è il segno di un’epoca. Quella del distanziamento e del coronavirus. Con la conseguenza di simposi che si svolgono in video-chat con gli interpreti seduti nelle loro dimore, anche desabillè, con felpe, camicie, e forse le pantofole ai piedi. Quel particolare che colpì la Luxemburg in visita da Kautsky che la ricevette in vestaglia e ciabatte restituendole una immagine non proprio consona a quella del rivoluzionario. Così qui gli spettatori possono osservare gli attori nella loro intimità domestica: studi con ponderose biblioteche alle spalle, ma anche stanzini rifugio, mansarde e salotti. L’impressione è che D’Alema fosse in cucina, avendo alle spalle una vecchia vetrinetta. Il politico, il leader, lo studioso avulso da ogni aura pubblica e rituale, sia una piazza, un teatro, un aula, una sala convegni: senza podio, senza dignitari al seguito, senza masse nè uditori sui quali registrare toni e accenti oratori. Una condizione totalmente inedita. Il leader quarantenato, solitario, domestico, esiliato nella quotidianità. Il personaggio in smart working. In remoto. Scovato anzichè calato dall’alto come un deus ex machina E tuttavia proprio per questo assai più vicino alla vita comune e nello stesso tempo restituito senza veli alle sue intrinseche qualità comunicative. E’ stato un piacere ascoltare Bettini, sembrava Orson Wells o il Tino Buazzelli della Vita di Galileo di Brecth. Un piacere ascoltare la retorica suadente e colta di Amato. Un piacere la mia cara Urbinati. che pure è politologa ma non è detto debba restarlo, E sommo interesse un D’Alema forse un po’ triste e malinconico e per questo mondato delle sue taglienti asprezze ironiche. Tutti grandi attori recitanti (non me ne vogliano i non citati, ma la ragione della loro esclusione è evidente). Perchè se non si è portati alla rappresentazione, facendo di essa una coltivata maestria, non si può pretendere di rappresentare alcunchè. Ci fosse stato anche il Bersa si sarebbe fatto l’en plein. Peccato che questi tempi eccezionali debbano finire.,Ci pensate ? Convocare il primo congresso del partito della sinistra in remoto…Un partito clandestino…..Ma anche questo all’insaputa di tutti l’avevo già anticipato nei miei congressi segreti nella cripta del teatro Navile….


