Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Sinistra, fine di una speranza
Mi convinco sempre più che quell’11 giugno 1984 con la morte di Berlinguer si sia chiusa una fase della storia della sinistra. O meglio, si sia chiusa “la” fase. Niente è stato più come prima. Il resto è venuto a cascata: lo scioglimento del PCI, l’ubriacatura liberista del nostro ceto politico, il veltronismo, il partito americano, le vocazioni maggioritarie, le riforme costituzionali, il parlamento svuotato, la politica ridotta a comunicazione, la democrazia ridotta a esecutivo, il renzismo, i governi tecnici, il draghismo, il bellicismo. E poi la ricerca della vittoria che si tramutava immediatamente in sconfitta, ma non per questo pregiudicava la partecipazione ai governi più stravaganti, anzi.
Un 11 giugno di 39 anni dopo, quasi a sugello, Articolo Uno cessa di essere un partito e rientra nel PD, anzi nel “nuovo” PD. Nuovo perché? Perché le primarie (cioè non il partito) hanno eletto Elly Schlein alla segreteria? Nuovo solo per questo? Penso spesso a questa ragazza messa a capo di una cosa che non si capisce bene cosa sia, quasi a fare da foglia di fico a quel sordido tramestio che ancora oggi viene definito politica. Ve lo dico, sono umanamente dalla sua parte, capisco le difficoltà in cui si muove, la palude in cui rischia di affondare, e spero che il suo tentativo (fare un nuovo PD?) vada in porto. Nutro però i miei dubbi. Perché “nuovo” PD non dovrebbe significare lo stesso partito di prima ma con un’altra persona al comando, piuttosto dovrebbe significare “nuovo” a tutti gli effetti, senza più vocazione maggioritaria, primarie, infatuazione per le riforme costituzionali ed elettorali. Senza più quel DNA insomma. E invece di questo nemmeno si parla. Anzi. Bonaccini che si fa una corrente solida e organizzata la dice lunga sulla presente e futura contesa interna.
Dicevo: Articolo Uno rientra nel “nuovo” PD dopo una circumnavigazione durata 6 anni. Per conto mio, peggio di così non poteva finire. Ho accolto la notizia con una tristezza infinita, più tristezza che delusione (nel mio animo non c’è più spazio per le delusioni, sono saturo). Sarebbe stato più giusto “narrare” questo ritorno con le parole giuste. Non: “torniamo nel nuovo PD”, ma: “è fallito l’esperimento, dopo un po’ avevamo capito l’errore, e così abbiamo solo atteso il momento propizio per rientrare”. Tanto di cappello dinanzi a tanta onestà. E invece si continua nell’equivoco, si vive di equivoci, si punta tutto sugli equivoci, anche se questo non paga.
Siamo talmente ai titoli di coda, che ormai è palese, è chiaro, è evidente a tutti, che a un certo punto non sono stati gli elettori ad andare nel bosco, ma siamo stati noi, la sinistra, a piombarci dentro e a giocare a nascondino col nostro elettorato. Siamo noi che dovevamo uscire dal bosco, e invece ci siamo addentrati sempre di più nel folto e adesso chissà come uscirne. E forse non se ne uscirà affatto, a meno di miracoli.
Commento:
Gian Franco Ferraris: condivido le conclusioni, non penso tuttavia che con la morte di Berlinguer si sia conclusa “la fase”: profonde trasformazioni nella società italiana erano già iniziate – a partire dal lavoro, e la sinistra non ha saputo essere lungimirante, all’università nel 1979 ero allievo di Claudio Napoleoni e un giorno ci raccontò come stava cambiando il rapporto tra l’uomo, il lavoro e il tempo libero e si rammaricava dei ritardi della sinistra e del sindacato legati a un mondo che stava tramontando. Dopo la morte di Berlinguer è stata apprezzabile la segreteria di Natta nel PCI e di Bruno Trentin nel sindacato, ma la capacità delle persone singole possono poco rispetto ai moti profondi della società. L’imbecillità poi è arrivata con Occhetto e Veltroni e Fassino e c. Occorre poi ricordare che la crisi della sinistra ha colpito tutto l’Occidente dopo la caduta del muro di Berlino – ahimè