di Fabio Belli – 8 maggio 2018
Qual’è il motivo di questa ingarbugliata crisi di inizio legislatura?
Per comprendere la complessa situazione politica italiana attuale non bisogna solo fare riferimento a quello che è successo dal 4 di marzo ad oggi, periodo in cui abbiamo assistito alla successione di ben 5 giri di consultazione al Quirinale senza alcun esito.
La situazione era già delineata prima delle elezioni con l’esistenza di 3 poli che avrebbero avuto scarsissima possibilità di ottenere la maggioranza assoluta per formare un governo.
Ma un risultato di frammentazione delle varie forze politiche è una realtà anche in altri paesi. Si pensi alle recenti elezioni austriache dove due poli su tre hanno successivamente trovato l’accordo per un esecutivo. Anche in Germania è capitata una situazione analoga e ci sono voluti ben sei mesi per trovare una maggioranza, tra l’altro giova ricordare che la cancelliera Merkel, al suo quarto governo consecutivo, non ha mai ottenuto la maggioranza per governare da sola con i voti del suo partito. Perfino in Francia l’elezione del presidente Macron è stata possibile grazie al dispositivo del doppio turno previsto dall’impianto costituzionale transalpino sia con il ballottaggio delle presidenziali che con il doppio turno di collegio alle politiche.
L’entrata in vigore del Rosatellum, la nuova legge elettorale approvata l’ottobre scorso, ha incentivato una situazione di ingovernabilità irreversibile, ma facendo un’analisi delle proiezioni post-voto si evince che nessuna regola alternativa di ripartizione dei seggi in parlamento avrebbe garantito la maggioranza assoluta ad una sola forza politica.
Pensare di avere la governabilità certa cambiando la legge elettorale è come pensare di vincere una partita di calcio variando solo il modulo. Il problema sta nella qualità e la competenza delle forze in gioco.
Tuttavia le leggi elettorali approvate fino ad ora avrebbero potuto garantire una migliore rappresentatività dei cittadini attraverso una piena scelta in sede di espressione del voto. Questa peculiarità avrebbe dovuto esserci già da molti anni, ma purtroppo la tendenza costante del legislatore è stata quella di assegnare gli scranni di Camera e Senato mediante nomina imposta dall’alto delle dirigenze dei partiti o movimenti.
Se in questi giorni abbiamo assistito ad un teatrino dei rappresentanti delle forze parlamentari, che hanno sfilato davanti ai corazzieri del Quirinale mantenendo le proprie posizioni a salvaguardia dei propri interessi, lo dobbiamo ad una incapacità della classe politica che è ben lontana dall’essere responsabile come quella tedesca o austriaca citata negli esempi sopra.
Ad ogni modo una variazione della legge elettorale esistente, lungi dall’essere una ricetta magica per garantire la certezza di una maggioranza, potrebbe essere almeno un piccolo segnale verso il rispetto della sovranità popolare che è alla base dei nostri principi costituzionali.
Sarà difficilissimo, se non utopistico, trovare una convergenza su nuove regole elettorali, tuttavia potrebbe essere utile togliere alcune storture che questa legge ha già evidenziato in fase di applicazione e che erano già evidenti al momento della sua approvazione in parlamento.
Prima di tutto, per garantire l’efficacia e la rappresentatività degli elettori, dovremmo fare in modo che le loro scelte contino davvero. Quindi, senza addentrarci nei tecnicismi del Rosatellum, sarebbe opportuno introdurre il voto disgiunto tra uninominale e proporzionale ed eliminare le liste bloccate, le multicandidature e i cosiddetti “paracaduti” e ripescaggi.
Inoltre bisognerebbe rivedere se non abolire le coalizioni pre-elettorali che in questa tornata hanno determinato un incognita sul risultato delle urne: il vincitore è la coalizione sommatoria di tre partiti o il partito che ha avuto più consensi? Ma l’aspetto più orrendo di queste accozzaglie di forze politiche è stata la spudorata possibilità di inserire le cosiddette liste civetta a cui è data parzialmente la facoltà di aggirare la regola dello sbarramento del 3%.
Nuove regole elettorali non inietteranno automaticamente un senso di responsabilità all’interno del circuito parlamentare, ma da qualche parte bisognerà iniziare per favorire un senso di appartenenza alle istituzioni dove forze politiche di idee differenti possano mettersi d’accordo su alcuni temi per il bene del paese, proprio come succede in altri paesi non lontani da noi, scongiurando il ricorso a governi di garanzia o tecnici che sono l’antitesi della volontà popolare senza considerare che queste lentezze ed empasse sono totalmente incompatibili con la velocità in cui il mondo intorno a noi si sta muovendo, sia da un punto di vista economico che geopolitico.


