Stati Generali e organizzazioni di interessi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Andrea Mignone
Stati Generali e organizzazioni di interessi
L’affievolirsi dello sferragliare prodotto dalla locomotiva degli “Stati generali” voluti dal Presidente del Consiglio, suggerisce qualche riflessione più meditata sul tema della rappresentanza degli interessi.
Al di là della bontà della scelta del nome da dare alla kermesse, nome che rievoca meccanismi di rappresentanza che hanno segnato un lungo periodo dal Medioevo (pensiamo al ruolo delle gilde o delle Cortes spagnole consultate dai monarchi) alla Rivoluzione francese (e magari ripresi dalla camera delle corporazioni), l’iniziativa rinnova la questione dei rapporti tra rappresentanza politica e rappresentanza funzionale.
Nell’immediato, questa scelta pone alcuni interrogativi (elencati in ordine sparso, e mi scuso):
1) non abbiamo già il CNEL, Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro (organismo pletorico con Presidente, due vicepresidenti, un consiglio di indirizzo, una giunta per il regolamento, quattro commissioni, sette organismi vari e una settantina di consiglieri) a fare da “legame” tra larappresentanza politico/parlamentare e la varietà degli interessi presenti nella società?;
2) i pentastellati ora esaltano la settimana degli Stati generali, ma tale scelta politica si concilia con i principi di rousseuviana memoria, assunti a pietra miliare, della volontà “generale” che non tollera intermediazioni tra popolo e rappresentanti?;
3) i partecipanti al confronto sono rappresentanti scelti con trasparenza e con metodo democratico all’interno delle rispettive organizzazioni, oppure sono il prodotto della “legge ferrea dell’oligarchia” che da sempre attanaglia la vita di strutture organizzate?
4) l’iniziativa non mette piuttosto in luce il problema, oggi, del ruolo indebolito delle organizzazioni “intermedie” di rappresentanza sia politica (massime i partiti) sia degli interessi (associazioni di categoria, sindacati, ecc:), facendo venire meno il loro ruolo di “controllori del traffico” nel rapporto tra società e politica e producendo quindi una “indigestione” di istanze nelle istituzioni?
5) come ricondurre a sintesi la pluralità delle istanze senza un quadro di riferimento, un disegno strategico posto a premessa delle eterogenee spinte settoriali? Esiste oggi un vero “imprenditore di policy” in grado di cogliere le “finestre di opportunità” che questo cataclisma sanitario ha comunque attivato?
6) più in generale, questa occasione ripropone il tema della disciplina della rappresentanza degli interessi (dell’attività di lobbying) nel nostro paese, della trasparenza della loro azione, come già accade in molti paesi anche europei e nella stessa Unione, e persino in alcune Regioni italiane.
Insomma, gli Stati Generali sono stati anche una occasione per ripensare al ruolo della politica e al modo di condurre spinte particolari entro un disegno strategico. Bisogna segnalare almeno due questioni, tuttavia: la possibilità per tutti di farsi sentire, a prescindere dal peso economico, per evitare la soppressione anticipata delle decisioni “sgradite” (per cui tanti problemi non entrano neanche nell’agenda politica), e impedire che l’elogio al tanto parlare da parte degli interessi, oltre a produrre cacofonia, nasconda il fatto che il coro celestiale dei pluralisti (che sostengono essere tutti gli interessi ugualmente in grado di farsi sentire) canta invece con il forte accento dei quartieri alti, secondo l’icastica immagine di un politologo americano.
 
 
Andrea Mignone
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