Fonte: Il Fatto Quotidiano
Trump/Biden: intervista a Lucio Caracciolo Elezioni sulle elezioni Usa: “Vincerà Trump. Biden è il leader del declino”
Lucio Caracciolo, direttore di Limes, ha appena mandato in edicola un numero dedicato alla Svizzera, “la potenza nascosta”: “È un Paese molto importante, vicino e pochissimo conosciuto, una risorsa che dovremmo imparare a utilizzare”. In questa intervista parleremo però di Stati Uniti, e non di Svizzera, dopo il primo round di primarie repubblicane che hanno visto il trionfo di Donald Trump.
Sembra un candidato imbattibile?
Se il buongiorno si vede dai curiosi caucus dell’Iowa direi di sì, ma non prenderei per oro colato queste strane assemblee che contribuiscono all’elezione presidenziale. Tutto cospira, a oggi, e lo sottolineo, a immaginare una candidatura Trump per la Casa Bianca che significherebbe la sua vittoria, visto che dall’altra parte Biden è il presidente più impopolare di sempre.
Secondo il New York Times il legame tra Trump e il suo elettorato rappresenta “l’unica forza politica durevole”.
Il problema è che Trump sembra a una buona parte di americani non soddisfatti per il proprio status, inteso in senso ampio, l’unico che possa rappresentarli in funzione anti-élite, anti-Washington, anti-sistema. Dall’altra parte non si riesce a immaginare un candidato che possa opporre a questa narrazione una contronarrazione efficace. Chiunque sia, verrà sempre visto come il classico esponente di quella Washington tanto odiata.
La campagna di Biden sembra basarsi sull’auspicio che Trump venga arrestato e che comunque rappresenti un pericolo per la democrazia.
Ma questa sembra quasi propaganda trumpiana. Sostenere che il tuo avversario non è legittimato a concorrere in una competizione in cui sei candidato, perché contro la democrazia, è un assist a Trump.
Che bilancio può vantare Biden?
Un bilancio relativamente positivo, che nel contesto di crisi strutturale identitaria degli Stati Uniti non è sufficiente. Biden, o meglio coloro che sono nelle stanze dei bottoni, hanno amministrato una crisi che poteva diventare esplosiva e non lo è stata. Ma è stata una cura omeopatica, non risolutiva.
Che vuol dire attraversare una crisi identitaria?
Lo riassumo nei titoli di due libri di inizio secolo: il primo è di Samuel Huntington, Who are we? ‘Chi siamo?’. Se l’America deve porsi questa domanda vuol dire che ha problemi molto seri e non può esercitare grande influenza. L’altro libro è di Fareed Zakaria, L’era post americana: esiste una letteratura declinista che si è manifestata dopo l’11 settembre e che si sta acutizzando. È un processo profondo che viene dalla fine della Guerra fredda quando l’America ha dovuto confrontarsi con un mondo, una volta nell’orbita sovietica, cioè un mondo post-coloniale, chiamato paradossalmente Global South, che vuole soprattutto emanciparsi dall’egemonia occidentale ed è disposto a seguire Paesi come Russia o Cina.
Quanto peserà la politica estera?
Questa Amministrazione è nata su un documento programmatico ispirato dal Consigliere alla Sicurezza, Jake Sullivan, titolato Geopolitica per le classi medie che è una contraddizione in termini. La classe media, infatti, osservando i suoi problemi interni considera quello che è esterno come secondario. Ricordo una battuta di un importante dirigente dell’Amministrazione secondo cui le priorità Usa di politica estera sarebbero state ‘Stati Uniti, Stati Uniti e Cina’. Ma un conflitto tra Usa e Cina, se non la fine del mondo, porterebbe al crollo dell’economia globale.
Biden insiste sulla centralità della politica estera.
Ma non ha ottenuto particolari successi. Né in Ucraina, dove la parte più estremista dell’Amministrazione scommetteva sul collasso russo e invece si rischia ora il collasso ucraino, né nei confronti della Cina dove si è arrivati a un compromesso limitato. E in Israele tutti pensano – ecco la novità – di poter fare a meno dei consigli americani, anche se non dei suoi armamenti. L’America non è più quella potenza che immaginava di essere.
Gli Usa si impegneranno per concludere i conflitti di Ucraina e Gaza prima delle elezioni?
Possono esserci tutte le pressioni che vogliono, ma non dipende da loro. Gli Usa non sono in grado di imporre soluzioni.