Fonte: Limes
Trump o Musk? Rissa al vertice americano
Il presidente americano e l’uomo più ricco del mondo si scontrano a colpi di tweet. The Donald toglie gli sgravi per le auto elettriche e Tesla crolla del 13%, Elon minaccia di ritirare i servizi spaziali. Ma i due non possono fare a meno l’uno dell’altro. Dietro la faida si muove il dossier cinese.
Dopo essere stato accompagnato alle porte del Doge e aver perso il suo uomo alla Nasa – ovvero Jared Isaacman, accusato di simpatie democratiche – Musk ha trasformato il suo account X in uno sfogatoio. Elon ha accusato Trump di essere un ingrato e ha bollato la nuova legge finanziaria un “abominio disgustoso”, “pork-filled” e destinata a “portare l’America alla bancarotta” a causa dell’aumento di debito pubblico.
Trump, interrogato giovedì dalla stampa, ha affermato che lui e Elon non avranno più una grande relazione, e che il fondatore di Tesla aveva in realtà già visionato e approvato il “big beautiful bill”. Almeno fino a quando non si è reso conto che esso avrebbe tagliato gli sgravi fiscali per gli acquisti di auto elettriche. Sintesi trumpiana: Musk voleva semplicemente approfittarsi del governo per i suoi affari personali. In pratica, il presidente degli Stati Uniti accusa di conflitto d’interesse il suo principale finanziatore, che fino a una settimana fa faceva parte del governo.
Queste accuse hanno fatto perdere la testa a Musk, che ha iniziato a postare compulsivamente su X vecchie affermazioni di Trump riguardanti la necessità di contenere il debito pubblico e ad accusare il presidente di essere un bugiardo, dato che, a suo dire, il “big ugly bill” era stato imposto dal presidente nel cuore della notte.
A questo punto, gli argini si sono rotti. Trump posta su Truth: “Elon si stava ‘esaurendo’. Gli ho chiesto di andarsene, ho tolto la norma sui veicoli elettrici che obbligava tutti ad acquistare auto elettriche che nessun altro voleva (lo sapeva da mesi che l’avrei fatto!), e lui è semplicemente impazzito”. Dopo qualche decina di minuti, Tesla crolla del 13%. Danno stimato: 34 miliardi di dollari. Elon non ci sta e va sul personale, alludendo alla partecipazione di Trump ai festini organizzati da Epstein: “È il momento di sganciare la vera grande bomba. Trump è nei file di Epstein. Questo è il motivo per cui non vengono resi pubblici. Buona giornata, Donald!”.
Fin qui, insulti. Ma l’escalation vera e propria non è ancora iniziata. Il primo colpo lo spara Trump su Truth. Stanco dei suggerimenti non più richiesti del suo ex “consigliere” (così aveva definito Elon nello Studio Ovale quando lo aveva licenziato dal Doge), il presidente scrive: “Il modo più facile per risparmiare soldi nel nostro bilancio, miliardi e miliardi di dollari, è fermare i sussidi e i contratti governativi di Elon. Sono sempre rimasto sorpreso del fatto che Biden non l’abbia fatto!”.
La risposta di Musk su X non si è fatta attendere: “Alla luce delle affermazioni del presidente riguardo la cancellazione dei miei contratti governativi, SpaceX inizierà immediatamente a ritirare il servizio offerto dall’astronave Dragon”, da cui la Nasa è dipendente per trasportare cibo e esseri umani sulla stazione spaziale internazionale. Soprattutto, però, Elon ha ripostato un tweet di un utente che chiedeva l’impeachment di Trump, proponendo di sostituirlo con J.D. Vance.
Questi i fatti, che oscillano tra il surrealismo politico e il grottesco. Perché non capita tutti i giorni che l’uomo più ricco del mondo e il presidente della massima superpotenza d’ogni tempo si sfidino a colpi di tweet ricattandosi a vicenda. Ma dietro alla bagarre, condita dagli interventi non esattamente imperdibili di Steve Bannon e Kanye West, si nascondono tutte le contraddizioni della nuova America. Per punti.
Primo. Musk si è sentito sedotto e abbandonato da Trump. Pensava di essere il tecnovassallo massimo, ma la sua esclusione dal progetto Stargate e il potere, anche politico, accumulato dai suoi concorrenti l’hanno convinto del contrario. Beffa massima: pochi giorni dopo la sua uscita/cacciata dal Doge, Elon ha visto i dati raccolti dai suoi uomini essere gentilmente offerti a Peter Thiel, cui è stato affidato il compito – da portare avanti tramite Foundry, un prodotto di Palantir – di creare dei profili psicologici dei cittadini americani sulla base delle informazioni raccolte dal Doge. Mossa già preparata da Trump, che – all’inizio del suo mandato – aveva designato Greg Barbaccia (una vita a Palantir) chief information officer del governo. Insomma: Musk fa il lavoro sporco e si impegna politicamente, facendosi odiare, mentre Thiel strappa contratti governativi.
Secondo. Trump non è un sovrano assoluto. La sua maggioranza, specie in Senato, è risicata. Musk lo sa e lo fa notare su X, condendo i suoi calcoli degni di Cencelli con una boutade: è il momento di creare un partito che rappresenti i centristi americani, da Elon stimati essere l’80% della popolazione. Minaccia seria, date le elezioni di metà termine che si svolgeranno l’anno prossimo. Per perdere la maggioranza in uno dei due rami del parlamento basta poco, non serve l’80%. Musk lo sa e poggia la lingua dove il dente duole, anche perché è il Congresso ad approvare le spese e gli aumenti di bilancio.
Terzo. Donald Trump è ancora dipendente da Elon Musk. Tagliare i contratti a SpaceX equivale a spararsi sui piedi. Nessuno, in America e nel mondo, è in grado di fare quello che sa fare Elon. Né Bezos né la Nasa. Il budget di quest’ultima, come prontamente ricordato da Musk su X, è di 15 volte inferiore al fatturato di SpaceX. E di certo non possiede il know how necessario per produrre razzi riutilizzabili a un ritmo paragonabile a quello dell’azienda di Musk. I satelliti Starlink, gioiello della raccolta informazioni americana, non sono sostituibili in massa e di certo non potranno essere abbattuti.
Se le parole di Trump dovessero realmente portare all’interruzione della collaborazione con le aziende di Musk, il presidente si troverà probabilmente a fronteggiare – oltre ai problemi materiali – una levata di scudi da buona parte dell’apparato militare-industriale. Perché il capo di Tesla può essere antipatico, ma continua a essere un attore inaggirabile. A meno che Trump non segua il folle consiglio di Bannon: “Nazionalizzare SpaceX prima di subito”. Nella confusione di Washington vale Niall Ferguson: “We are all soviets now!”
Quarto. Anche Musk è dipendente da Trump. I contratti governativi sono essenziali per la tenuta dell’impero economico e non solo del capo di Tesla. SpaceX è un’azienda strutturalmente parte del complesso militare-industriale americano. Non può esistere senza farne parte. Con l’eccezione della connessione wi-fi offerta da Starlink, l’azienda spaziale dell’imprenditore sudafricano non produce nulla che sia diretto al consumatore medio. Il che, al momento, è vero anche per tutte le altre aziende di Musk, con la notevole eccezione di X. Neuralink ha infatti problemi di scalabilità, mentre Tesla vive una crisi che Trump sta acuendo più che risolvendo. Tenere SpaceX nel complesso militare-industriale è dunque essenziale per Musk, anche perché è l’unica leva reale che possiede nei confronti del tycoon.
Quinto. Nascosto dietro lo scontro frontale c’è il dossier cinese. Non è un caso che i toni si siano alzati dopo la conversazione tra Trump e Xi Jinping. L’America – come sancito dalle parole di Pete Hegseth, secondo cui l’invasione di Taiwan potrebbe essere “imminente” – sta alzando la voce nei confronti della Repubblica Popolare. Tutti i tecnovassalli lo sanno e si stanno comportando di conseguenza. Musk no. Anzi, dinnanzi al lancio del progetto Golden Dome – pensato proprio in funzione anticinese – ha preferito assumere un “ruolo esterno”. Forse, nella telefonata Trump-Xi, si è parlato anche dell’imprenditore sudafricano. E, se Elon veramente diffondesse informazioni circa la partecipazione del tycoon agli eventi di Epstein, Trump potrebbe rispondere spiegando al mondo per quale motivo il capo di SpaceX non può avere accesso ai dati riservati riguardanti i lanci spaziali della sua azienda. Ufficialmente, ciò dipende dai legami di Musk con potenze esterne. Quali potenze? Legami di che tipo? Dato che siamo tutti sovietici, nulla di meglio che bollare Elon controrivoluzionario venduto a Pechino.

Epperò, nonostante tutte queste contraddizioni, a nessuno dei due attori conviene veramente arrivare allo scontro finale. Ammettiamo pure che Musk si riveli una spia cinese. Come ne uscirebbe Trump, che si è fatto dare 250 milioni di dollari da Elon per poi inserirlo nei gangli della burocrazia federale? Non bene. Al meglio come un ingenuo che si è fatto circuire da un emissario del Partito comunista cinese. Immagine non esattamente congruente con l’idea che Trump ha di sé stesso.
Per non parlare poi della clamorosa dipendenza che lega i due miliardari. Come si è visto, slegare Stato e SpaceX non conviene a nessuno. Trump perderebbe qualsiasi prospettiva spaziale, mentre Elon rischierebbe di rimanere con i razzi ancorati al suolo.
Ma Trump e Musk sono due persone particolari. Incline alla vendetta e al delirio d’onnipotenza il primo, lunatico e spesso alterato il secondo. Non sempre le loro azioni sono razionali. In questo delirio, Trump ha tuttavia una responsabilità immensa. Deve e vuole essere il presidente della resurrezione americana, da raggiungere tramite la ricostruzione del paese e il raggiungimento del primato tecnologico. Tutti obiettivi che non sono raggiungibili senza Elon. Il quale non può salvare l’umanità dalla neonata città anarchica di Starbase.
Il punto, però, è che Musk ha bisogno dell’America. Non necessariamente di Trump. Indebolirlo, magari facendogli perdere le elezioni di metà mandato, non danneggerebbe in maniera eccessiva il patron di SpaceX. Potrebbe anzi essere un avvertimento, rivolto sia a Trump sia a chi lo sostituirà. Del resto, è così che ragiona la nuova élite americana. “Peace through strength” non vale solo per l’Ucraina, ma anche per i loro rapporti interni e interpersonali. Almeno fino a quando non si distruggeranno a vicenda.


