Autore originale del testo: Alfredo Morganti
I profughi
Cambiano le fasi e cambiano i momenti. Quello che oggi è oro, domani è piombo. Vale per tutto. Vale anche per la guerra in Ucraina, e vale per i profughi che ha prodotto e per le loro storie, apparse subito ai media come preziosa merce di scambio comunicativa. Le loro storie hanno strappato empatia e lacrime dai tg, hanno mosso i sentimenti e hanno ancor più indirizzato il rancore verso Putin. Si parla di milioni di profughi, che in gran parte si sono riversati in Polonia, stato confinante. Tutti a battere le mani e tutti a proporsi per l’accoglienza, almeno nella prima fase della guerra (non tutti, a dire il vero, l’UK pare non abbia brillato granch’é nonostante Johnson sia un falco che fa proseliti per la NATO).
Dopo di che, come dicevo, le fasi passano, e cambiano le urgenze. Alla fine, i profughi iniziano a essere un peso, un problema, l’occasione per chiedere soldi. Una potentissima arma di ricatto, stavolta non più solo “mediatica”, a uso dei falchi, una vera e propria vena d’oro. L’ambasciatore ucraino in Polonia, così, oggi batte cassa e chiede all’UE un tot di miliardi di euro destinati a sostenere proprio la Polonia nel suo sforzo di accoglienza. Attenzione, dice, che se venisse a mancare questo sostegno, potrebbe anche darsi che la situazione dell’ordine pubblico degeneri e che i profughi ucraini si riversino in altri stati dell’Unione Europea. È un messaggio chiaro, un monito per l’Europa che, in termini di accoglienza (vedi immigrazione), solitamente non brilla granché.
Una bomba sociale, insomma, è quella che si sta paventando. L’Ucraina pur di agevolare la confinante Polonia nell’accoglienza dei suoi cittadini in fuga, batte cassa all’Unione Europea, con la nemmeno troppo velata e minacciosa previsione che i flussi dei profughi possano dirottarsi altrove. Una bomba sociale, appunto, e un uso di questo poveri fuggiaschi come se fossero mere pedine dello scacchiere bellico e non donne e uomini in carne e ossa, vere (uniche?) vittime della guerra e senza alcuna responsabilità per la danza mortale che si sta combattendo (anche conto terzi) dentro le loro case. Verrà un momento in cui i profughi diverranno un ingombro, e ci sarà da gestire un flusso di milioni di persone in fuga. Più la guerra sarà lunga, più queste vite fuggiasche ne saranno colpite. Più la guerra sarà lunga, più i civili continuerranno a fuggire e a morire.
Lo scontro bellico non si gioca in uno spazio virtuale, immaginifico, muovendo sagome su una mappa geografica, ma sulla terra devastata dalle esplosioni, dove vivono milioni di persone che ne subiscono gli effetti nefasti. Sono queste persone, non i potenti che muovono le armate del risiko, a sentire sulla carne gli sfregi. Sono queste donne e questi uomini i veri perdenti, comunque vada il conflitto. Finita la sarabanda della propaganda, queste donne e questi uomini diverranno ospiti ingombranti (e già un po’ lo sono), oggetti di ricatto, massa di manovra. Un negoziato che metta sul tavolo tutte le ragioni in gioco, tutte le ragioni possibili, senza scuse, senza alibi, senza infingimenti, è la sola salvezza per tutti, a partire dagli ultimi. il resto è geopolitica da salotto.


