Ucraina, Rosy Bindi: “La pace non si fa con le armi” – Ucraina e Russia insieme alla Via Crucis di Papa Francesco

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Rosi Bindi
“Purtroppo temo che questa richiesta continua di armi servirà a continuare la guerra sempre più cruenta, continueremo a vedere le scene strazianti nelle quali ogni giorno ci soffermiamo con grande dolore. Le armi non servono per la tregua, servono per continuare la guerra e anche il diritto alla difesa non può entrare nella logica di chi vince e chi perde.
Io credo che serva la costruzione delle condizioni della tregua, che ci si debba sedere intorno a un tavolo.
Io non ho dubbi su chi ha iniziato questa guerra e non ho dubbi da che parte stare, io ho dubbi su come ci siamo stando dalla parte giusta e soprattutto credo siano in troppi a non volerla terminare, ma a volerla continuare questa guerra.
Tutti hanno interessi a farla continuare, ma certamente non le vittime, non il popolo che sta soffrendo, e tutti coloro che ne stanno già pagando le conseguenze. Non soltanto l’Europa e il nostro Paese, ma anche altre parti del mondo, penso ad esempio all’Africa.
Questa guerra, oltre alle vittime , sta producendo sconquassi ovunque.
Sicuramente c’è anche chi si sta avvantaggiando o chi ha in testa non tanto di finire la guerra, quanto di ottenere altri risultati.
La diplomazia non sta lavorando, non vediamo passi avanti e probabilmente non ci saranno fino a quando non si entrerà nella logica che una volta iniziata una guerra, pur avendo chiaro il quadro delle responsabilità, se non si arriva a costruire un compromesso, purtroppo continueremo a vedere le macerie di questi giorni.
Io ero parlamentare europea quando è caduto il muro di Berlino e alcune di quelle speranze che avevamo si sono concretizzate, penso all’allargamento della UE ai tanti Paesi dell’ex-URSS che ormai sono parti della Comunità. Io credo però che in quegli anni forse noi avremmo dovuto evitare di sentirci vincitori e di umiliare chi di fatto era perdente, indubbiamente lo era per la storia, ma forse, oltre ad avere rapporti di natura commerciale , e creare anche una dipendenza con la Russia dal punto di vista energetico come oggi stiamo verificando, potevamo avere un atteggiamento più dialogante perchè noi confiniamo con la Russia, l’America no ma noi sì ,è la stessa terra.
Forse qualche tentativo è stato fatto, ma penso anche alle tante guerre che sono state fatte in questi anni, perchè adesso questa noi la vediamo in diretta, mentre la Siria e l’Iraq le abbiamo viste meno, ma le guerre sono tutte uguali, tutte tragiche come quella che vediamo in questi giorni.
Io penso che noi avremmo dovuto evitare che il mondo diventasse un’unica potenza.
L’Europa, che è dentro alla Nato e dentro l’Occidente, deve ricordarsi di essere Europa, con la sua storia e il suo percorso, con la sua identità. Purtroppo in questi anni questo non è accaduto e anche adesso io penso che sono Biden e Putin che devono mettersi d’accordo. Certamente l’EU deve fare la sua parte, ma deve spingere in questo senso, non si può essere subalterni e soprattutto in questo momento, bisognerebbe già a incominciare a pensare a come organizzarci, o ci limitiamo a fare la corsa agli armamenti?
Io ho promosso un appello perchè sono contraria che aumentino le spese militari italiane e vorrei che finalmente ci fosse una politica estera di sicurezza europea e che l’EU avesse una sua soggettività anche dentro la Nato.
Un’altra nostra responsabilità: l’istituzione degli Stati cosiddetti “cuscinetto”, e l’Ucraina doveva essere questo dopo il 1989.
Noi non siamo stati capaci di fare questa operazione, come non siamo stati capaci di farla in Siria e nello Yemen.
Queste responsabilità sono nostre.
Naturalmente questo non solleva Putin dai disastri che sta compiendo, però vorrei che in questa situazione ci stessimo con un senso del limite, perchè è l’unico modo, scoprendo i nostri limiti, di superarli e portare le parti a sedersi a un tavolo. Porte aperte nella UE all’Ucraina, mai stato discussione questo aspetto, ma non l’ingresso nella Nato. In Europa e nella Nato son due questioni molto diverse. Gli stati “cuscinetto” come vengono chiamati debbono avere una sorta di neutralità.
La Chiesa cattolica non è equidistante in questa guerra, è semplicemente per la pace. E’ inutile usare le categorie di quelli che continuano a mandare le armi.
Il Papa ha chiesto una tregua per Pasqua, ma ha spiegato che la tregua non deve essere per armarci ancora di più e per tornare poi a sparare, la tregua deve servire a sedersi a un tavolo.
Questo non è solo un messaggio evangelico e spirituale, è una strada politica che è alternativa all’altra e che si può seguire.
E quando il Papa dice:” Che vittoria sarà quella di chi pianterà la bandiera sulle macerie?” intende che le macerie non debbano aumentare.
Se tutto questo si trasforma in un tifo da una parte o dall’altra non aiutiamo neanche l’Ucraina ed è quello il Paese che viene distrutto.
ROSY BINDI a “otto e mezzo” ieri sera. trascrizione di Giovanna Ponti

da Avvenire

Colosseo. Ucraina e Russia insieme alla Via Crucis: la preghiera silenziosa per la pace

Tutte le famiglie del mondo sotto la croce. Famiglie alle prese con i drammi del quotidiano e le tragedie della storia. Famiglie che però vogliono andare oltre la sofferenza. Perché sanno che dopo il Venerdì Santo viene la Risurrezione. O perché ha toccato con mano il dolore dei loro popoli dilaniati dalla guerra, ma neanche questo può scalfire la loro amicizia. Così è per Irina (ucraina) e Albina (russa), che portano la croce alla XIII stazione, guardandosi con le lacrime negli occhi. È la stazione del grido di Gesù, poco prima di morire: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Nei giorni scorsi, da Kiev, voci contrarie a questa iniziativa si sono levate non senza suscitare sorpresa e sconcerto, al punto che i media ucraini (anche cattolici) non hanno trasmesso la Via Crucis. Un’ulteriore ferita. Ma a vederle lì, lungo il sentiero della croce disegnato intorno al Colosseo, le due donne sono la personificazione della ricerca di una pace difficile sì, ma non impossibile. Perché nulla è impossibile a Dio e perché sotto la croce non c’è – e non ci può essere più – né giudeo né greco, come direbbe san Paolo. Viene mutata la meditazione che accompagna questo momento: «Di fronte alla morte il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo pertanto in un silenzio orante e ciascuno nel proprio cuore preghi per la pace nel mondo». Così si prega. E il silenzio si protrae per lunghi secondi.

Sentimenti che verranno ripresi nella preghiera finale del Papa, che non tiene il discorso finale, ma invoca: «Tienici per mano, come un Padre, perché non ci allontaniamo da Te; converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti di pace; porta gli avversari a stringersi la mano, perché gustino il perdono reciproco; disarma la mano alzata del fratello contro il fratello, perché dove c’è l’odio fiorisca la concordia. Fa’ che non ci comportiamo da nemici della croce di Cristo, per partecipare alla gloria della sua risurrezione».

Sono immagini, parole, suggestioni della via Crucis del Venerdì Santo tornata nella sua sede naturale, dopo l’interruzione dovuta al Covid. Francesco è là, segue il percorso in profondo raccoglimento dal terrapieno di fronte al Colosseo. E sono là, insieme con oltre 10mila fedeli, anche le famiglie scelte, in questo anno dedicato al nucleo fondamentale della società, per portare la croce nelle quattordici stazioni.

Una coppia di giovani sposi, una famiglia in missione, sposi anziani senza figli, una famiglia numerosa, una famiglia con un figlio disabile, una famiglia che gestisce una casa famiglia, una famiglia con un genitore malato, una coppia di nonni, una famiglia adottiva, una vedova con figli, una famiglia con un figlio consacrato, una famiglia che ha perso una figlia e una famiglia di migranti, oltre alle due donne, una russa e una ucraina, di cui si è già detto.

Nelle meditazioni viene declinata la sofferenza. Ma soprattutto la speranza. La guerra in Ucraina, emerge in tutta la sua tragedia. Nella meditazione poi sostituita c’erano domande che comunque risuonano nei cuori di tutti: «Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?».

Ma non c’è solo la guerra. Anche la quotidianità può fare paura. Per i giovani sposi è «la paura di una separazione, perché a tanti coniugi è accaduto». Per la famiglia in missione «il dolore e la sofferenza di una madre che muore di parto e per di più sotto le bombe». Per chi non è riuscito ad avere figli, la paura di restare soli. Per chi ha un figlio disabile (gli era stato consigliato di abortire: «Sarà un peso per voi e per la società») il dover affrontare il giudizio degli altri. Per chi ha perso il marito o addirittura un figlio il confrontarsi con l’ombra della morte. Persino a chi all’inizio ha avversato l’idea che il proprio figlio potesse diventare prete, la croce può fare paura. Così come alla famiglia dei migranti: «Siamo qui, sopravvissuti. Percepiti come un peso. Numeri, categorie, semplificazioni. Eppure siamo persone». Ma sono loro in fondo a dire l’ultima parola. La più importante. «Se non ci rassegniamo è perché sappiamo che la grande pietra sulla porta del sepolcro un giorno verrà rotolata via». È il senso del dolore che salva. La grande certezza di chi crede.

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