di Andrea Colli 11 febbraio 2015
Dodici mesi fa, quando prese il potere, oltre al semestre europeo (ce ne siamo occupati ieri, nell’analisi della politica economica del governo), l’altro tema che Renzi citava più spesso erano le riforme costituzionali. Il quadro non era ancora chiaro, ma nei mesi lo è diventato fin troppo: si consegna nelle mani del capo del partito che vince le elezioni l’intera filiera delle istituzioni repubblicane. I mezzi: premio di maggioranza abnorme alla lista che vince il ballottaggio; il 70% del Parlamento che continuerà ad essere nominato da Roma grazie ai capilista bloccati (e tanti saluti al potere legislativo diverso dall’esecutivo); il Senato ridotto a dopolavoro per consiglieri regionali; platea per l’elezione del presidente della Repubblica che sostanzialmente coincide con la maggioranza politica (nominata, come detto). Il Fatto Quotidiano ha denunciato il rischio della creazione di una sorta di “democrazia autoritaria”, ma finora non ha trovato molti alleati: Italicum e riforme costituzionali sono il provvedimento qualificante di questo primo anno di Granducato toscano e solo la recente rottura (?) del patto con Silvio Berlusconi sembra poter rallentare la corsa del treno renziano. Il resto, come si vede in questa pagina, è un bilancio non positivo: cose annunciate e mai fatte (diritti civili, auto blu), irrilevanza in politica estera, confusione e anche peggio su giustizia e riforma della P.A. (quest’ultima, peraltro, sarà operativa tra un paio d’anni, se va bene).Una buona notizia? L’assunzione dei precari della scuola. (a cura di Salvatore Cannavò, Virginia Della Sala, Stefano Feltri, Antonella Mascali e Marco Palombi)
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