Un tram chiamato Tempa Rossa

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 5 aprile 2016

All’inizio, quando i Giovani Leoni presero d’assalto il Palazzo d’Inverno del PD e parlarono di ‘primato della politica’, io per un attimo (ma solo per un attimo) pensai che si trattasse di un’affermazione di primato, appunto, verso le oligarchie economiche, le pressioni della lobby, le variegate pulsioni e interessi sociali che sono facile preda del populismo. Niente affatto. Che cosa significhi e cosa voglia dire quel ‘primato’ oggi è più chiaro. Siamo lontani da quella idea iniziale e, tanto più, dall’idea di Togliatti, che la politica dovesse esercitare una ‘direzione’ (egemonica, culturale) nei confronti della società civile. No. Oggi, dopo le parole di Renzi in Direzione, appare chiarissimo invece il senso di quella formula. Leggete cosa scrive esplicativamente Goffredo De Marchis su “Repubblica”: il premier-segretario ha mandato “il segnale di un primato della politica sulle indagini”, sollecitando tra l’altro il ministro Orlando al “completamento delle riforme nel campo della giustizia”. La politica deve insomma essere salvaguardata dalle indagini della Magistratura e deve anzi fissare ‘nuove regole’ perché ciò sia reso possibile. La capacità di indirizzo della politica (leggi: esecutivo, leggi: Renzi) non deve essere sottoposta a ‘vidimazione’ da parte dei giudici. I quali, dice il premier, andassero a cercare i ladri ma non mettessero le mani sui marchingegni architettati dal governo, né tentassero di smontarli, a partire da opere ‘strategiche’ come Tempa Rossa.

Eccolo il ‘primato’ renziano: non c’è alcuna nobiltà, né uno svolo alto della politica-politica dinanzi alle bassure della politica-politicata, soprattutto locale o in prossimità di grumi di interesse economico e sociale forti (ancora Tempa Rossa). La richiesta di Renzi è solo una: non disturbate il manovratore; e se qualche utente del tram borseggia o aggredisce gli utenti mettetelo rapidamente in carcere, ma nulla più, perché il tram non si ferma e la sua direzione non si tocca. Tanto meno si tocca chi ha in mano la leva di guida. Ma qual è il vizio di questo ragionamento? Questo: che non è possibile separare nettamente la direzione del tram dal borseggiatore, che le scelte del governo non sono astratta ‘filosofia’, ma mettono le mani nella carne e nel sangue dell’economia e della società, compresa quella locale. Che gli indirizzi non sono ‘neutrali’ rispetto alla gestione delle opere, ed entrambi (indirizzo e gestione) si contaminano a vicenda. E se qualcuno decide di effettuare una scelta “strategica” laddove ci sono interessi pressanti, spinte lobbistiche, inchieste in corso, competizione locale, un coacervo di interessi operanti nemmeno tutti puliti, per di più con emendamenti che spuntano come funghi nottetempo, in una cornice composta da conflitti di interessi, familismo e crude esigenze di potere locale, se qualcuno decide insomma di agevolare fortemente investimenti privati in ambiti fortemente ‘sensibili’, per di più soffrendone la ‘spinta’, come si fa a dire: “si arrestino i ladri, ma si lasci intatta l’opera”? Come si fa, se poi la ‘decisione’ appare (almeno a colpo d’occhio) inestricabilmente connessa con tutto il resto, e si è incapaci di sbrogliare la matassa? Come si fa a invocare la ‘neutralità’ della decisione, la sua ‘tutela, se quella decisione comunque (almeno obiettivamente) aggiunge nuovo aggrovigliamento, e alimenta di fatto il lavoro dei giudici? Come si fa a pensare che la ‘decisione’, per sua esatta natura (quella di essere una ‘decisione’, appunto), non possa ‘decidere’ e condizionare anche tutto il resto, e dunque ingenerare altre conseguenze nefaste a uso della magistratura?

Insomma, se insisti su Tempa Rossa, se ti muovi in terreno contaminato, visto il po’ po’ di indagini che ci sono attorno, e le pressioni anche internazionali, e la spinta delle lobby, come non puoi aspettarti che intercettino anche un tuo ministro, non scattino interrogatori di garanzia, non ti entrino i giudici nel Palazzo, non si avviino ulteriori indagini, non scendano in campo i tutori della legge? Tutto ciò anche in presenza della massima buonafede del ‘decisore’. Non è il “primato” il problema, ma il ‘tipo’ di primato che viene richiesto, e l’uso che poi se ne fa. E quindi anche la qualità e la natura delle decisioni che si prendono. Inutile prendersela con la magistratura in tal caso.

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