di Claudio Bazzocchi – 6 agosto 2018
Papa Francesco sembra perdere qualche punto nei sondaggi di popolarità degli italiani a causa della posizione sugli emigranti. Insomma, la Chiesa dice la sua verità cristiana a costo di perdere consenso politico.
Marco ci racconta di come un giorno Gesù stesse insegnando agli Apostoli che «il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere». A quel punto, Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo, «ma egli, voltato e guardando i suoi discepoli rimproverò Pietro e disse: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”» (Mc, 8. 31-33).
La verità, insegna Gesù ai suoi, va sempre seguita, anche a costo della vita. Infatti, chi vuole salvare la vita la perderà, ma chi la perderà a causa del Vangelo la salverà (Mc, 8-35-38).
Ora, è evidente che qui ci troviamo di fronte al tema del rapporto tra verità e politica e già immagino chi dirà che la politica è una cosa e la verità religiosa un’altra, che nella politica non si può raggiungere la verità ma solo un compromesso, che alle persone comuni non si può chiedere il martirio.
Sono obiezioni tutto sommato giuste, ma il problema è chiedersi se la verità richieda il martirio o una santità irraggiungibile dalle persone comuni o nella difficile contingenza storica sempre irta di difficoltà, egoismi e opposizioni. È lo stesso Gesù a dire che chi perde la vita, in realtà la salverà. Ed è una cosa che Dio dice agli uomini a partire dalla Genesi, nel famoso episodio della cacciata dall’Eden. Adamo ed Eva non muoiono, ma perdono la vita a immagine e somiglianza di Dio, quella che si arresta al rispetto dell’Altro, al mistero della sua non conoscibilità totale. Se, infatti, noi potessimo conoscere tutto, allora smetteremmo di amare, di essere degli umani. Saremmo oggetti misurabili scientificamente, di cui ci si può appropriare come per tutte le cose che conosciamo con il metro della scienza o dell’appropriazione tramite semplice consumo. Dio, chiese ad Adamo ed Eva di non mangiare dall’albero del bene e del male per continuare a conoscere bene, per imparare una forma di conoscenza che si ferma al rispetto dell’Altro, perché non tutto può essere detto di lui, pena la sua trasformazione in mero oggetto da mangiare (come una mela).
Mangiare la mela significa morire, ma non tanto fisicamente, quanto morire come uomini e donne che si accordano rispetto reciproco, un margine di inconoscibilità e, allo stesso tempo, proprio in virtù di quella inconoscibilità, cominciano ad amarsi per sopportare il dolore di una condizione esistenziale che ci vuole liberi e a immagine di Dio, a patto di non poter conoscere tutto. Dio chiede insomma agli uomini di non conoscere tutto, di lasciare un margine di mistero alla vita per essere veramente liberi e non trasformarsi in un mero oggetto da conoscere o da consumare. È il grande paradosso dell’esistenza umana che sempre più fatichiamo ad accettare nella società attuale: vorremmo essere come Dio, conoscere tutto e allo stesso tempo essere ancora umani, dotati di sentimenti, emozioni, poesia, cultura, amore. Le due cose, purtroppo, non si tengono e sempre più ci incattiviamo risentiti e spaventati da una condizione che ci innalza in qualche modo a Dio e, allo stesso tempo, ci allontana sempre più da qualsiasi umanità piena.
Per resistere a tale difficoltà, allo sbigottimento di essere come Dio e sempre meno umani, cominciamo a costruirci tanti nemici immaginari, dagli immigrati alla casta, dai Rom che sono tutti ladri d’appartamento (come ho sentito dire qualche giorno fa in TV a Sallusti) agli ebrei che saranno di nuovo tutti banchieri e strozzini, magari in combutta con le ONG e la finanzia mondiale per far venire gli immigrati in Italia e distruggere la sua sovranità.
La Chiesa tiene ferma la sua verità che non è quella del buonismo, del dover voler bene agli altri. La sua verità è quella per cui senza il rispetto dell’Altro, senza un margine di inconoscibilità dell’Altro, non può esserci una vita veramente umana. Infatti, con Gesù ci dice che siamo già morti anche da vivi se non manteniamo quel margine di rispetto, di “non-tutto” (che è il “non-tutto” del mistero che fa nascere la poesia, il pensiero, la parola, le istituzioni e gli stessi compromessi della storia come le politica e le sue istituzioni). E ci dice che proprio quando sembriamo morti, magari con pochi voti alle elezioni e poco consenso nel mondo, forse possiamo essere davvero vivi. Ci invita insomma a non avere paura della mancanza di consenso, perché nel cuore dell’uomo rimane scolpito un inesauribile bisogno di senso che porta allo sbigottimento, al risentimento, al disorientamento del nostro tempo quando ad esso non si dà risposta. Ci invita cioè a lavorare su quello (con altri gruppi dirigenti, altra umanità, altra profondità spirituale e politica).
Potremmo allora scoprire un’altra nozione di popolo, quella per cui è popolare il cuore dell’uomo, quella domanda inesauribile e perlopiù inevasa che agita tutti noi dall’inizio alla fine dei nostri giorni e ci fa essere veramente dotati di pietà, solidali con tutti gli altri portatori di domanda, come si conviene ad ogni popolo – anche il meno colto e istruito – che conosce comunque le parole della fratellanza e della comunione (popoli risentiti composti da egoisti incattiviti che credono che il male stia nei negri o nelle multinazionali che fanno i vaccini non sono veri popoli).


