L’algoritmo politico italiano

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 10 febbraio 2015

L’Italicum ce lo presentano come una specie di panacea, come la ‘forma’ elettorale che dovrà tradurre senza riserve la ‘frammentazione’ politica in governo istituzionale (addirittura “dalla sera stessa del voto!”). Si tratta, anche stavolta, dell’illusione che i numeri siano tutto e che le maggioranze politiche dipendano esclusivamente da una schiacciante e ultramaggioritaria superiorità matematica. Ma la democrazia in forma aritmetica è solo l’ultima trovata di chi non ne capisce il senso profondo: che la democrazia stessa è partecipazione, rappresentanza e decisione esattamente nell’ordine, non viceversa come oggi ci fanno apparire. Certo, affinché quel percorso funzioni servono i partiti, c’è poco da fare. Che sono un anello ineliminabile di una democrazia rappresentativa. Perché le rappresentanze non si costruiscono grazie a una pattuglia affidabile di capolista. E non è che basti un leader magnetico. Peraltro lo scenario attuale è tutto meno che composto di partiti-partiti: l’unico, il più grande di tutti, è pure un ‘partito aperto’, dal quale si entra e si esce come in albergo. Nel quale nei momenti topici votano tutti, interni, esterni, magari a loro insaputa.

Il punto è che, senza i partiti veri, tutto si ridurrà (vedrete), persino in un Parlamento ultra determinato a priori da maggioranze d’acciaio, a un andirivieni di sconfitti che diventano vincenti, di peones che si smarcano, di rendite di posizione che si annidano nei partiti e non più nelle coalizioni, di ‘responsabili’, di ‘collaboratori’, di ‘consapevoli’, di aspiranti ministri o sottosegretari o ghostwriters, che certo non rinunciano alla celebrità e al tornaconto solo perché costretti in una opposizione al lumicino. In più mettiamoci i patti, gli accordi, gli assi di ferro, le amicizie, i clan, quelli che vanno a braccetto e quegli altri che stanno in partiti diversi ma chissenefrega, perché in fondo abbiamo gli stessi interessi. Senza i partiti vince la fluidità, vincono i cambi casacca, il giro dei tornaconti. Il trasformismo. Anche in una Camera unica blindata e feudalizzata dall’Italicum. E i partiti, purtroppo, non risorgono grazie al 55% in omaggio. Al contrario. I partiti rinascono con una politica che non subisca la supremazia dei media e degli storytelling. Né l’egemonia della matematica pura. Né il ricatto dei ‘patti’ o dei cerchi di gesso.

D’altronde a dimostrarlo c’è già l’attuale PD ( o ‘nuovo PD’ come dice la new entry Giannini). Vi sembra un partito? Eppure Renzi ha una maggioranza schiacciante di fedelissimi in Direzione. Vi sembra che questo leader ultramaggioritario possa tranquillamente contare sul suo partito? Vi sembra che il ‘contenitore’ PD sia neutro, risponda matematicamente e linearmente agli input e agli annunci mediali del Capo? E come potrebbe? La politica è più complicata di quanto ritenga l’illusione matematica. L’opposizione ha ancora (e meno male) un senso che non sia soltanto parlare in streaming, votare e poi zitti e mosca. Tra un po’ serviranno algoritmi molto sofisticati per gestire le tre maggioranze, i loro feedback, i percorsi i istituzionali, le alleanze politiche multiformi e multiverso, i clan extraparlamentari, quelli parlamentari, le amicizie d’infanzia, quelle di interesse, i legami trasversali, il filo rosso tra destra e sinistra, i patti segreti, quelli meno, i cerchi magici e i regionalismi di ogni tipo. Senza i partiti mancano i confini (labili ma sempre confini), le differenze, le identità, le appartenenze, le squadre, i collettivi, i gruppi, e tutto si riduce a un intreccio pazzesco di linee di forza e di fluide convenienze reciproche. Un tale magma, un tale casino che nemmeno se approvi la legge dell’asso-piglia-tutto (100% a chi ha un voto in più) riesci a governare come vorresti un catino di deputati alla deriva qual è oggi il Parlamento, e un Paese in declino com’è l’Italia.

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