di Alfredo Morganti – 12 giugno 2015
A chiusura dell’anno scolastico è tempo di saggi e spettacolini finali, soprattutto nella scuola primaria. Giovanna, mia moglie, è un’insegnante, ha una laurea in scienze della educazione, lavora da decenni in una scuola di borgata, convive con problemi e disagi di ogni genere, cerca faticosamente di rendere le ‘differenze’ (sociali, culturali, etniche) una risorsa e non un impedimento. Insomma, per due soldi di stipendio, dinanzi a grandi difficoltà, ogni anno si impegna nel suo lavoro con una passione e una dedizione che le invidio. Qualche giorno fa ho assistito al saggio finale che i suoi alunni hanno realizzato in felice collaborazione con un’altra classe. Il tema dell’amicizia è stato declinato in molti modi, canzoni, piccole drammatizzazioni, recital di poesie e filastrocche, danze. L’amicizia è un ‘ponte’ di affetti e di cura gettato verso l’altro, questo l’insegnamento dello spettacolo, che è frutto di un lavoro collegiale, di una ‘visione’ scolastica aperta e collaborativa lontana anni luce dal modello autoritario, competitivo e darwiniano della ‘buona scuola’ di Renzi. Nel ringraziamento finale Gianna ha spiegato che solo questa è per lei e per le sue colleghe la ‘buona scuola’: un impegno forte per la didattica, una cura minuta delle esigenze di ogni singolo alunno, dei quali si conoscono storie, bisogni, mancanze, e poi la collaborazione, la collegialità, la socialità, un impegno che va oltre gli stipendi bassi e bloccati da anni.
La scuola italiana, di cui la primaria resta per me una risorsa nazionale fondamentale, si regge su questi semplici principi che la rendono unica al mondo. Eppure invece di considerarla tale, nel corso di questi anni le sono state sottratte un’infinità di risorse, indebolendola sempre più. Proprio ieri Felice Roberto Pizzuti sul ‘manifesto’ ha descritto efficacemente questi ‘tagli’. La spesa pubblica per l’istruzione in Italia è scesa al 4,2% del PIL, contro il 5,3% della media europea. Siamo al penultimo posto dell’EU15. Dal 2008 al 2011, la spesa per studente è scesa del 12%. Gli abbandoni scolastici, nel 2013, erano al 17%, contro il 12% europeo. Lo stipendio dei docenti è l’83% della media UE. I quali, peraltro, guadagnano solo il 60% dello stipendio medio di un qualsiasi altro laureato. Siamo sicuri, allora, che la scuola diverrebbe ‘buona’ solo dando più potere ai dirigenti scolastici, mettendo in competizione i docenti tra loro, darwinianamente, aumentando lo stipendio solo al 5% di essi, quale ‘premio’, creando una ‘corte’ di fedelissimi del Preside, uno staff di supporter nominati direttamente da lui, liberati dalla necessità di un’abilitazione specifica (basta una laurea), e magari pronti (perché no?) ad anteporre il sodalizio di vertice alle necessità urgenti, concrete, effettive dell’istituto, e in più la necessità di garantire l’autonomia con la ‘caccia’ aperta ai fondi privati? Io dico di no.
La scuola non è un’azienda malata di efficientismo, ma l’agenzia che deve produrre istruzione di base (leggere, scrivere, far di conto nelle varie declinazioni possibili), socialità, coesione,unificazione culturale e, nei suoi segmenti alti, preparazione specialistica da spendere nel mondo del lavoro. Per questo ci vogliono risorse, collegialità, personale motivato, metodo didattico, progetto formativo, spirito di sacrificio e di aperta collaborazione tra i soggetti scolastici e politici. Tutto questo nella ‘buona scuola’ di Renzi non c’è affatto. Cancelliamo questa legge e ricominciano daccapo, allora, mettendo alla base del nuovo disegno di legge un grande dialogo nazionale e l’ascolto vero di chi la scuola la conosce meglio dei burocrati di governo. Assumendo i precari, finalmente, in base a un progetto di riforma, non quale arma di ricatto verso il parlamento e i sindacati che si oppongono al disegno dell’esecutivo.


