di Alfredo Morganti – 22 novembre 2016
Nella loro furia iconoclasta anticostituzionale, i referendari hanno dimenticato quello che Polito ieri sul Corriere (in uno splendido editoriale) ha chiamato “patriottismo costituzionale”, inteso come il desiderio diffuso di cogliere nella Carta una garanzia di fondo contro le avventure istituzionali, contro la cattiva qualità degli ‘odierni’ partiti (non dei partiti in genere, visto che ci sono – c’erano – anche quelli che hanno approvato 70 anni fa questo testo) e persino contro il ‘decisionismo’ (dopo le pessime prove offerte in questi anni: ultima quella sull’Italicum, approvato a forza e rivelatosi un indecoroso pasticcio generato dalla fretta e da una cattiva lettura, perché precipitosa e superficiale, della realtà italiana). Per molti italiani, in tempi di instabilità e crisi, la Carta resta la base di coesione nazionale e sociale da cui ripartire, confidando contestualmente nel buon operato della Presidenza della Repubblica.
Mi pare che questo ragionamento ripristini almeno una base di credibilità, dopo la sbornia decisionistica che, periodicamente, qualche leader ‘forte’ propone al Paese, facendosi promotore delle solite retoriche innovative e ‘riformiste’. Senza una forte base coesiva, sulla quale innestare i conflitti di ogni ordine e grado, le decisioni sono soltanto un duello all’ok corral, uno strappo, una lacerazione da cui non sortisce alcunché di stabile ed efficace. Ed è normale che, dinanzi a questo scenario di finta innovazione (ma di sostanziale caos e disorientamento), una parte consistente dell’elettorato desideri salvaguardare il testo costituzionale quale base condivisa dell’etica e della politica nazionale. Che non vuol dire mutare la Costituzione stessa in un idolo, bensì ritenere che ogni suo mutamento debba essere progettato nella salvaguardia dello spirito costituzionale, senza forzature, fratture, voti a maggioranza, plebisciti governativi, o addirittura personalizzazione di una materia, la Costituzione Italiana appunto, che è tutto meno che spirito di fazione o norma ‘personale’.
Il renzismo, al contrario, è soprattutto spirito di scissione. Nasce fratturando, aprendo crepe, frastagliando il panorama nazionale. Galleggia sulla superficie di una crisi della politica e di una crisi della sinistra che viene da lontano, ma che trova nell’attuale premier (e nelle sue spallate) l’utilizzatore finale, secondo una locuzione di era berlusconiana. Sotto questo aspetto, nulla di più distante dallo spirito repubblicano che aveva informato il lavoro dei vecchi costituenti. Al contrario, l’applicazione del metodo Renzi anche al tessuto della legge fondamentale ha spinto il Paese alla frattura completa, alla scissione 50 e 50, alla spaccatura anche trasversale. È sotto gli occhi di tutti. Con l’effetto di consegnarci comunque un’Italia meno coesa di prima, meno unita, meno consapevole del proprio senso di comunità nazionale. Già provato duramente dalla crisi, al Paese è stata somministrata viepiù una specie di cura omeopatica: crisi su crisi, scissione su scissione, spaccatura su spaccatura. Siamo percorsi dalle disuguaglianze e dalle fratture come fossero una specie di faglia nazionale, ma il governo ha pensato bene di allargarla ancor di più, interponendo un cric e girando la manovella divaricatrice referendaria. E ti credo che poi scatta il patriottismo costituzionale. È il minimo sindacale. Votare No è un modo sicuro per fermare questo scempio.


