Il potere logora chi non ce l’ha (più)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti- 12 dicembre 2016

 Più passano i giorni e più, a mio parere, prende forma la sconfitta di Renzi. Il No è stato davvero un pugno in faccia, con evidenti, palesi conseguenze. La sua fuoriuscita da Palazzo Chigi è un segnale forte. È vero che aveva dato le dimissioni già agli exit poll, ma nelle ore e nei giorni successivi più di qualcuno gli ha fatto intendere (‘dammi retta, è meglio così’) che era meglio lasciasse, dedicandosi al partito e al prossimo congresso. Nelle trattativa, certo, lui ha ottenuto la possibilità che ‘i suoi’ potessero continuare a presidiare Palazzo Chigi (Gentiloni, Lotti). Ma come diceva De Marchis ieri, su Repubblica: “Fuori da Palazzo Chigi, però, tutto è meno controllabile”. Compresi gli ‘amici’.

La situazione si è rimessa in movimento anche nel partito democratico. Non fosse altro perché Franceschini non è uno che sta con le mani in mano. Ed è sempre prontissimo ad annusare (e produrre) nuovi equilibri politici. Ora l’ex premier spacca tutto dovrà ricominciare daccapo. Dal Congresso, dalle primarie, dalla ricandidatura. Come scendere, per lui, in serie B dopo la Champions League. Dovrà percorrere un terreno molto insidioso da qui a giugno (sempre che si voti a giugno, e poi con quale legge?). Renzi non avrà più dalla sua parte l’immagine di ‘novità’, né un’identità da outsider, tanto meno l’effetto sorpresa. Chi sia, ormai lo sappiamo tutti. Molte chiacchiere, molto distintivo e molti bonus. E questo non lo aiuta.

Il PD è ridotto a un cencio. Un comitato elettorale che viene ridestato solo a ridosso delle scadenze elettorali. Fa quasi tenerezza pensarlo a Congresso, stretto dalle primarie, eppure anche in questa circostanza si giocherà una partita cruciale, cruenta, perché la geografia interna è mutata, è in corso una balcanizzazione, tutto appare più fluido di prima. Lo schiaffo del No ha sparigliato, ha ridotto le certezze di chi deteneva il bastone, ha sviluppato appetiti prima sopiti all’ombra del giglio magico. Cosa sia il PD oggi lo sappiamo – cosa diventerà è invece tutto da vedere, perché la politica resta ancora una volta l’arte del possibile.

Fuori da certa cartapesta politica, la società bussa con tutto il suo carico di problemi. Dinanzi a questo corposissimo spettro, il renzismo appare inadeguato. Renzi poteva andar bene ai tempi di Blair, ai tempi delle vacche grasse, delle rincorse al centro, delle presunte magnifiche sorti. Oggi no, oggi è un tempo da duri, è il tempo dei politici di razza, di chi punta sugli ‘ultimi’ e più disagiati e non di chi si nasconde dietro le eccellenze e si fa vanto dei ‘primi’. Oggi viviamo insopportabili e immorali diseguaglianze sociali, e non vanno affatto bene e non possono funzionare i tweet o le sfide mediatiche o i rilanci del giocatore d’azzardo che implode su di sé e non ha un’idea adeguata della società attorno. È tempo di chi fa autocritica e si interroga, di chi discute e fa discutere.

La grande politica alimenta l’arte del dubbio, non le spacconate. Punta a raccordare popolo e istituzioni, ad animarle reciprocamente. Vuole l’unità del Paese e non divisioni o sparigliamenti casuali, dovuti a ragioni tattiche. Vuole rappresentare, approssimarsi, stare accanto. Ecco perché la vita di Renzi si è fatta dura. Ecco perché la sua proposta politica è più vecchia delle altre, già sopravanzata dai tempi, e ci voleva un referendum a dimostrarlo. Un No davvero plebiscitario, ma in senso contrario rispetto a quanto si aspettava l’ex premier. Ora sarà difficile per lui tornare in groppa a un cavallo scosso dalla gravità delle prospettive sociali. E chi lo ha voluto lì, sta già pensando ad altro. La fiera è aperta, ma Renzi lo hanno reindirizzato a Pontassieve a pacche sulle spalle. È proprio vero, il potere logora chi non ce l’ha (più).

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