La sinistra disunita e il capro espiatorio di turno

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 16 luglio 2017

Da quando Giuliano Pisapia ha deciso (tirato per la giacchetta o no) di assumersi il compito di ‘unificatore’ del centrosinistra, le opinioni personali, com’è giusto che sia, sono divampate. Una quota consistente di esse spiegava che Pisapia in sé non dovesse o potesse unificare proprio un bel niente, con le motivazioni più svariate, tra cui quella che la sua iniziativa fosse addirittura contro la sinistra. Soprattutto a sinistra-sinistra questo timore e questo antipisapiismo sono parsi molto forti, terribilmente forti, con giudizi pesanti anche sulla persona. A un certo punto, recentemente, è parso che Pisapia fosse addirittura diventato l’ostacolo all’unità della sinistra, che cioè la sua iniziativa ‘unitaria’ fosse paradossalmente l’opposto di quel apparentemente sembrasse. Talché le sue dichiarazioni, per le quali l’ex Sindaco di Milano non ambirebbe affatto a entrare in Parlamento (e lasciamo stare le polemiche che hanno sollevato, in massima parte fondate) sono state persino accolte con sollievo. Alcuni hanno detto: Pisapia finalmente si è sfilato, i pisapiisti sono serviti, adesso si può tornare a parlare ‘tra noi’, senza ingombri né tentativi spuri. A parte che Pisapia aveva già detto di non sentirsi leader di alcunché, ma di voler solo dare una mano a ricucire. A parte che ‘leader’ non vuol dire necessariamente punta di diamante personale di uno schieramento votato a lui, ma anche indicare un compito ‘dirigente’ in generale. A parte ciò, è palpabilissima la soddisfazione di molti per il presunto passo indietro della presunta pietra d’inciampo della sinistra unitaria. Che adesso, senza Pisapia potrà marciare unita, finalmente, verso la vittoria.

Togliamoci dalla testa subito un’idea balzana, quella per cui la sinistra unita sarebbe disunita per colpa del ‘federatore’ Pisapia. La sinistra non è unita per svariate ragioni, ma non per colpa di Pisapia (che semmai l’ha unita vittoriosamente a Milano!). Provo qui a elencare sinteticamente queste ragioni: 1) la sinistra italiana è stata sconfitta, anche pesantemente, e oggi è confinata all’interno di percentuali risibili; 2) la sinistra non ha, in questa fase, una propria cultura politica unificante e degna di questo nome; 3) Inoltre viene da un ventennio terribile, dove il tentativo che è stato fatto (sin troppo ottimistico) è stato quello di gestire la globalizzazione confidando sul suo lato ‘chiaro’, quando invece era quello ‘oscuro’ a dominare e a fare legge; 4) Nonostante ciò ha tenuto testa alla destra, offrendo (in mezzo a molti errori di valutazione, o tout court politici) quel che era possibile offrire in una fase caratterizzata dall’ascesa montante della destra stessa (liberista e cosmopolita prima – almeno in apparenza; protezionista e razzista oggi); 5) la sinistra non è unita anche per ragioni endemiche, per la sua storica tendenza (in assenza di veri partiti e di effettivi strumenti di unificazione) a produrre differenze e distinzioni anche capziose, nonché a generare una miriade di opinioni personali cangianti, ma tutte fiere di sé e della propria originalità e/o ‘autenticità’ di sinistra; 6) l’egemonia culturale berlusconiano-renziana si è insinuata tra noi, producendo effetti personalizzanti e leaderistici, e un’attenzione molto forte verso le persone, i ‘leader’, i capi e verso la punta di una piramide sempre più alta e sottile, rispetto a tutto il resto (fase storica, contesto politico, culture, programmi, vincoli, contenuti, idee, valori, ecc).

Detto ciò, ripeto, diventa quasi intuitivo affermare che non è (e non può essere) Pisapia il problema. E che semmai lui offre una soluzione possibile al problema (d’accordo o meno con essa). Si fa presto a dire: sgombriamo il campo dai federatori e sediamoci attorno a un tavolo a discutere di contenuti, perché è sui contenuti che si costruisce l’unità. Giusto. Ma qui casca l’asino. Oggi non c’è nulla che divide di più la sinistra (larga, plurale, differente) che i contenuti. Altro che Pisapia. Il tavolo rischia di tessere un dialogo tra sordi. Faccio degli esempi. Europa: rinnovare i trattati, allinearsi con la Merkel o ribaltare il tavolo? Politiche dello sviluppo: crescita, decrescita? Mercato o nazionalizzazioni? Costituzione: si tocca o non si tocca? Legge elettorale: proporzionale o maggioritario? Welfare: riforma o difesa dell’esistente? Cosmopolitismo o sovranismo? Internazionalismo o nazionalismo? Partiti o movimenti? Società civile o apparati? Governo o Parlamento? Dico di più: immigrazione sì o no, aiutiamoli qui o a casa loro, sicurezza ai confini o accoglienza etica? Tutti questi temi, a sinistra, oggi sono divisivi, la tagliano trasversalmente, persino all’interno degli stessi raggruppamenti. Senza contare la distinzione che vede i fautori di una sinistra larga, plurale, contaminata, contro i fautori di una sinistra-sinistra autentica, ben confinata, doc (distinzioni anche interne ai movimenti e partiti, altro che). E vice versa.

Le ragioni della sinistra, oggi, sono più che altro le ragioni della divisione. Lo sport di tirare ai dirigenti è ormai diventato abitudine quotidiana, come sparare all’orsetto nei luna park per vincere sciocchezze. Senza contare che pur ‘affondato’, nel caso, Pisapia e avviato un ‘tavolo’ della sinistra, molti di quelli che hanno contribuito ad affondarlo con grande soddisfazione non per questo saranno disponibili a chissà quale progetto di riunificazione. Anzi, è possibile il contrario. La politica, lo dico sempre, è un lavoro difficile: non è studio, non è la risultante di un dibattito per quanto ampio, non è la sommatoria di svariate opinioni personali, non è il prodotto di un’arguzia intellettuale, né la derivante di diffuso orgoglio politico. La politica è una cosa complessa, un lavoro appunto, e oggi, visto questo quadro, lo è ancora di più. Ai compagni che lavorano generosamente per l’unità anche rinunciando a molte idee personali, nonché al proprio orgoglio e alle proprie convinzioni – agli eroi che ogni giorno tentano di ricucire le innumerevoli smagliature (se non gli evidenti strappi), va tutta la mia solidarietà e tutta la mia stima (Bersani e D’Alema su tutti, ma non solo loro ovviamente). Il rischio è che, in assenza di contenuti comuni, si scivoli verso il semplice listone elettorale, ben ‘dosato’ tra le componenti e con un programma stracolmo di ma-anche: Europa ma-anche no euro, accoglienza ma-anche sovranità, crescita ma-anche decrescita, buonismo ma anche severità, proporzionale ma-anche maggioritario. Un bel casino insomma, che sarebbe proprio il contrario dell’unità (magari orientata verso il partito del lavoro!), ma solo l’espressione della crisi dei partiti, della sinistra, della nostra cultura, delle nostre élite, del nostro popolo. Questo per dire che il futuro, per adesso, ci è ancora avverso. E che il barometro segna cattivo tempo.

 

PS: scusate il pippone e la prolissità, ma è domenica, si ha più tempo, e scrivere è una cosa bellissima nonostante il caldo che ci assedia 🙂

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