La politica: liquidare od organizzare?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

 di Alfredo Morganti – 4 agosto 2017

A me l’intervista di Laura Boldrini oggi sul Corsera non è piaciuta granché. Accanto al continuo richiamo alla ‘discontinuità’, che va bene, il tono dell’intervista è sembrato suscitare molto un’idea di partito leggero, della Rete, “capace di emozionare” più che organizzare. Anche il riferimento alla ‘consultazione pubblica’ per scegliere il programma, web compreso, mi ha lasciato perplesso. Una liquidità che non mi piace e non mi è mai piaciuta, a cui preferisco una strutturazione nei quartieri, nei luoghi di lavoro, e alla quale contrappongo una concretezza che oggi sarebbe davvero innovativa rispetto ai belletti della comunicazione mediale e social. Che è poi la strada già intrapresa da Articolo 1, con l’apertura di sedi, le iniziative locali e le feste.

L’intervista alla Presidente della Camera non mi è sembrata una buona premessa, e ho come la convinzione che questo sia il vero puncutm dolens del processo di costruzione di un nuovo centrosinistra, ben più che le photo opportunity o il tasso di antirenzismo di questo o quello. Il ‘peso’ strutturale di Articolo 1 (per quanto ancora minimo, ma destinato ad aumentare) è interpretato più come una ‘zavorra’ che come una risorsa. Il timore vero di taluni è di subirne l’egemonia. La leggerezza ‘politicista’ e digitale si presenta, di fatto, come un’alternativa ‘concreta’ all’idea, invece, di un partito ‘nuovo’, del lavoro, di popolo, strutturato e fisicamente incasellato nel Paese.

Sembra un deja vu. Sono decenni che la sinistra storica fa paura, che se ne teme l’egemonia, se ne cerca la ‘liquidazione’, la si vorrebbe solo come truppa acefala. Ed è un timore, nonché uno ‘stile’, che si è ‘viralizzato’ lungo l’intero arco politico. Persino SEL adottò una forma leggera, comunicativa, quasi extrapolitica, piuttosto che confrontarsi con la ‘profondità’ del sociale e la densità istituzionale, per le quali bisognerebbe invece resistere alle sirene delle scorciatoie comunicative. Della sinistra storica si stima la forza culturale, l’impatto sociale, l’abilità organizzativa, la capacità di mobilitare, ma nello stesso tempo la si teme per le medesime ragioni. Anche il PD nacque come estremo tentativo di ‘alleggerimento’ di quel patrimonio (con il loft, l’americanizzazione, il partito elettorale, la comunicazione più che la partecipazione, gli avatar invece della gente reale). Tentativo riuscito, a dire il vero, tant’è che la Margherita fece banco o quasi, un leader come Rutelli divenne candidato di un grande partito e le vecchie strutture e culture politiche post-comuniste si sciolsero come neve al sole. Un patrimonio morale, intellettuale e pure ‘infrastrutturale’ che oggi manca non solo alla sinistra, ma a tutta la politica italiana, ‘politicista’, mediale e liquefatta come mai nella sua storia.

Anche stavolta, più in piccolo, il rischio è lo stesso. Che, sull’altare dell’unità e del centrosinistra (che io ritengo una via obbligata, nel senso che la sinistra in termini di governo in questo Paese non è affatto autosufficiente), si chieda la testa di ciò che resta del post-comunismo e della sinistra storica, se ne proponga l’ennesimo autoscioglimento, perché necessario alla causa progressista, e si pretenda sempre dai soliti di fare truppa, di portare acqua, di riempire le piazze. Io credo che la ricetta debba essere un’altra, invece: partecipazione reale, non solo ‘digitale’; un’organizzazione che si riveli nei quartieri e nei luoghi di lavoro, laddove il disagio è più forte; assoluto rispetto per i compagni e gli amici più bravi e generosi (Bersani e D’Alema per primi) senza chiedere sempre ‘passi indietro’ (sinonimo eufemistico di ‘rottamare’); apertura a SI e Possibile, nella misura in cui siano effettivamente interessati al progetto e intendano prendervi parte unitariamente e con proprie proposte.

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, e la situazione attuale del Paese lo dimostra, che sciogliere le culture politiche è una vera jattura, un gesto insano, controproducente, perché esse sono essenziali e non un ‘inciampo’ ad alcunché. E dovrebbe essere chiaro che non si ‘rottamano’ le persone, e non si pretendono loro ‘passi indietro’, ma le si rispetta e le si ascolta, siano esse compagni di lungo corso o, viceversa, gli ultimi degli ultimi tra tutti noi.

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