di Fausto Anderlini – 5 agosto 2017
Pensierino di una notte liquida e insonne di mezza estate con temperature africane. I saprofiti
Solo dopo pochi mesi di gestazione il Camelloporco, animale scafato, informe, ma altero e di nobile lignaggio si trova alle prese con un ambiente infestato di creature partorite da un lungo periodo di saprofitismo. Non può fare a meno di legarsi ad esse ma nello stesso tempo deve evitare in ogni modo di uscirne smangiucchiato e svigorito. Diventando, come suggerisce la Mauthe, con le sue sapienti metafore avicunicole da lince cumana, becchime per Pisapia.
Ha ragione Morganti, Camelloporco pur raffinato e paziente, quando a leggere certe interviste, come l’ultima rilasciata dalla Boldrini, si sente cascare le zampe.
Diciamoci la verità. Questa inostenibile leggerezza di argomenti, questa litania di robe di ovvia digestione, questo generico ottimismo emozionale, questa dichiarata ‘discontinuità’ che danza, o meglio, galleggia, fra invocate reti, agorà, officine programmatiche, volontariato, ong, civismo e altri liquidi substrati salmodianti… demoralizza. Un volatile sfarfallio di foglie morte, senza propellenti: una analisi degna del nome, chiari referenti sociali, orgoglio, identità, progetto politico …
Il big bang del Pd a trazione renziana non ha solo liberato depositandolo inerme sull’aia il nucleo più solido della cultura post-comunista, ha anche immesso nel vortice della diaspora razzolante gli elementi diversi e talvolta in aperta polemica di un unico blocco socio-culturale. Un blocco che potremmo sintetizzare con orrido neologismo esperantista come il veltrovendoprodismo. Cioè la politica post-moderna, fluida e leggera. Soprattutto abile nello sfruttare i varchi nell’accesso al ceto politico lasciati aperti dalla decadenza delle formazioni solide di antico radicamento. Di qui il saprofitismo. Succhiare linfa dal permafrost a suo tempo generato dagli avi del camelloporco. I grandi animali giurassici.
Prevalenza delle classi medie intellettualizzate urbane, ostilità alla politica socialmente insediata ed organizzata, ostentazione valoriale come surrogato post-ideologico, sentimentalismo e gestione softcarismatica del sè …. questa la cifra comune malgrado la diversità delle declinazioni: radicali o moderate. Un dolce globalismo di élites caritatevoli che dal loro attico si ergono a tutela degli ‘ultimi’ destinato a inorridire chi sta nel mezzo. I penultimi, ovvero le masse popolari sulle quali si regge la democrazia. Sociale e politica.
Gran parte se non tutti gli interlocutori di Mdp vengono dal brodo primordiale del veltrovendoprodismo, prima trasversalmente unificato dentro e fuori il Pd. Vendola, con la creazione di Sel, fu abilissimo in un certo periodo a fornire appiglio agli umori disassati dall’avvento della segreteria bersaniana. Col suo verboso narrativismo tentò una sorta di scalata del Pd dall’esterno. Un’Opa veltrosinistra, insinuandosi nelle difficoltà del Pd rese evidenti proprio dall’avvento alla guida della ditta post-comunista. Da cui i successi di Milano (con Pisapia), di Genova (con Doria) e di Cagliari (con Zedda) sfruttando le primarie di coalizione. Tentativo alla fine rientrato e confluito nella coalizione Italia bene comune, ma destinato ad essere ripreso con forza ben più devastante da Renzi. Invertendone il dispositivo dinamico. Una scalata dall’interno ma avvalendosi di forze di manovra esterne.
In ultima analisi il vendolismo è stata una variante radico-sinistra del veltronismo, così come il veltronismo è stato il tentativo di trascendere in modo sistematico, cioè nel nulla, gli ingredienti più prosaici del prodismo. Tutti elementi di una stessa corrente di pensiero (e per un certo periodo della storia dei Ds, per un attimo avvicinati in uno stesso ‘correntone’). Che ora Pisapia e Vendola siano divisi da una fiera inimicizia e diversità di stile – il primo evoluto nel segno del moderatismo milanese, il secondo perso nelle vaghezze radico-civili – non toglie nulla alla simiglianza. Il brodo di coltura è lo stesso e Vendola dovrebbe rivendicare quantomeno il copyright sulle imprese dell’imitatore. La stessa opa sul Pd dall’esterno. Questa volta nel nome della salvezza nazionale.
Ora la storia si ripete, seppure in formato mignon e con la turbolenza generata dal convergere delle diaspore. Di nuovo la pretesa della cultura ‘leggera’, occasionalista e post-ideologica di vedersi riconosciute l’egemonia e la leadership per una sorta di ‘diritto naturale’. Una eventualità che a mio parere allontanerà più forze sane di quante ne attragga. Quelle disposte a un ingaggio di lunga durata.
Il tentativo di ‘risolvere’ la diaspora a forza di diluente generico non raggiungerà il suo scopo. Semmai farà danno. Bisogna trovare il modo di stare ‘insieme’ elettoralmente senza saprofitarsi vicendevolmente. Schiacciati fra imperativi divergenti, l’ingiunzione a sciogliersi facendo nel contempo da galoppini, molti militanti di Mdp sono preda del disorientamento. Con questi Dei in campo essere trattati come i soliti figli del Dio minore rompe le scatole.