di Fausto Anderlini – 8 settembre 2017
Un commento tra il letame e i Diamanti. Donde si evince l’imponderabile solidità del camelloporco
La ripresa settembrina potrebbe essere così figurata. Il più piccolo e acciaccato della mandria che scende (o sale) dai pascoli estivi in bassura, desolati e solitari, si siede al bar sotto casa e si sciroppa il sondaggio dell’amico Ilvo. Da ciò deducendone:
1. Che i sondaggi in generale lasciano il tempo che trovano. Troppo alti i rifiuti e le sostituzioni, troppo remoto e inaffidabile il riferimento per attribuire i pesi (le europee del 2014), troppo alta la quota dei non rispondenti e, di norma, troppo ristretti i campioni nazionali. Sicchè l’unico dato certo che si evince da tutto il sondaggiame in circolo è la perdurante opacità e lo straniamento che caratterizzano l’espressività politica dell’elettorato. Comunque i sondaggi di Diamanti hanno il pregio di una assiduità lungitudinale che se nulla garantisce sull’entità degli stok offre almeno qualche lume sul trend.
2. Diamanti segnala la persistenza di una ambivalenza: l’orientamento ostile alla politica istituzionale e, insieme, una richiesta di stabilità. Duplicità testimoniata dagli elevati e perduranti consensi alle formazioni ‘anti-sistema’, però contraddetti dai buon indici di gradimento del governo e dall’ascesa della stima per Gentiloni e Minniti, personalità emblematiche della rassicurazione governante. In realtà questo aspetto double face è intrinseco alla comune psicologia elettorale e tende a rafforzarsi proprio nelle situazioni di instabilità. Come fu quella che dalla caduta del governo Berlusconi si protrasse sino alla crisi della rielezione di Napolitano. Me ne accorsi nei sondaggi che io stesso svolsi nel biennio 2013-2014. Anche gli elettori che avevano opzionato la rivolta contro la ‘casta’ non ne volevano sapere di tornare alle urne. Chiedevano piuttosto d’essere governati. Letta non godette di alcuna luna di miele, ma fu beneficiato da questa forma scettica, ma non meno solida, di rendita di governabilità. Non v’era alcuno che ne chiedesse la testa Salvo Renzi, che giustappunto aveva colto la situazione e fece di tutto (riuscendovi) per avocare a sè quella rendita. Coadiuvato dalla stupidità e dall’impazienza della sinistra cuperliana verso il moderatismo lettiano. Senonchè Renzi perse rapidamente la lucidità dimostrata nel corso della congiura dando alla governabilità finalmente cascata nelle sue mani una piega strumentale e ipercinetica, avventurosa e plebiscitaristica. Coi risultati che tutti conosciamo. Se oggi Gentiloni e Minniti salgono nelle quotazione è perchè stanno interpretando quella rendita come secondo il copione corretto. Rappezzando gli sbraghi dell’epoca renziana, stabilizzando, rassicurando, destreggiandosi nella manovra di governance. A ben vedere questa accoppiata è l’unica offerta di premiership che alle prossime elezioni potrebbe reggere il confronto con qualche chance. Ma il Pd di Renzi (che aveva capito il pericolo ma non era riuscito a sventarlo) si guarderà bene dall’avanzarla. Il colpo di partito delle primarie renziane con l’avvenuta ratifica del partito a base personale si erge come uno scoglio insuperabile e ciò che resta del Pd è troppo debole e stupido per tornare sui passi. Si ingaggeranno e immoleranno inutilmente (loro – quelli che disprezzano la politica testimoniale) in una grottesca quanto fallimentare difesa identitaria del loro conducador.
3. Ma i dati generali di Diamanti sulla personalizzazione politica sono ancora più eloquenti. I diversi leader ‘tardo-populisti’ in campo non riescono neppure a fare il pieno nei partiti che hanno creato o fagocitato. Vale per Salvini, per Berlusconi, e (ancor più) per Renzi. Gli stessi Grillo e Di Maio (pure anomali) non ne vanno esenti. Ma non solo. Nessuno di loro (salvo, appunto, Gentiloni e Minniti, che però non sono leader di partito) esprime una minima trasversalità, ovvero la capacità di integrare elettori al di fuori del ristretto recinto dei rispettivi partiti personali. Appare in tutta la sua evidenza la devastazione della politica pseudo-cesaristica post-democratica. Piccoli ‘capi’ deliranti con i loro seguiti vieppiù ristretti, partiti pseudocarismatici esangui, disorganizzati, senza radici, memoria, profondità sociale, senza ideologia nè progetto.
4. Sempre da Diamanti, a parte il resto che non commento, ovvero i numeri del neo-tripolarismo all’italiana, riceviamo le stime sulla diaspora della sinistra. Con Mdp sul 4 %, Si sul 2,5, Campo progressista sul 2. D’onde, per quel che valgono questi numeri, assai prossimi all’errore statistico standard, due considerazioni. La prima è che nella parte espressiva dell’elettorato il campo a sinistra del Pd tutto considerato tende a persistere, pur nella sua caotica e frammentaria esistenza, attorno a un 10 % circa che lascia intravedere potenzialità che opportunamente colte potrebbero produrre risultati di tutta consistenza. La seconda è che nel mazzo Mdp svetta comunque, stabilmente, come la forza pivotale: l’unica in grado di integrare, mediare e unificare la sinistra in una massa critica di rilievo. Dopo mesi di pompaggio mediatico debenedettiano e di giravolte il campo progressita resta il più sguarnito e lo stesso Pisapia ampiamente al di sotto del gradimento riservato a Bersani e altri. Segno che il ‘federatore’ è avvertito come una figura debole e sbiadita. I dati sono logici e aderenti alla realtà. Solo il nucelo post-comunista è in grado di sopraelevarsi in quella che, a ben vedere, non è altro che la diaspora post-vendoliana, post-bertinottiana e post-prodiana. Mdp è un partito in progress attualmente costituito da dirigenti e quadri. Senza ancora un popolo (essendo quello di riferimento ancora sotterrato nella deriva astensionista, oppure congelato e frammentato al seguito della sinistra residuata nel Pd, ed essendo quello ‘nuovo’ ancor meno definito). Ma con un vantaggio strategico su tutti gli altri consistente nel fatto che tale nucleo è dotato di una comune cultura politica aggregante oltre che dei necessari elementi di professionalità. Al di là delle opzioni sull’agenda che possono essere diversificate (come ad esempio in materia di immigrazione) il perimetro culturale è comune, come il linguaggio e il sentimento. In più la parlata comune è camelloporca, ovvero di natura empatica e comprensiva, gente di mondo aliena al radicalismo giacobino e moralista, cioè al settarismo e al disprezzo ideologista come allo pseudo intransigentismo e al gigantismo narcisista che è proprio dell’estremismo politico di matrice piccolo borghese.
Basta andare a qualche riunione di Mdp in giro per l’Italia (perchè questo è un’altro dei vantaggi di Mdp: ancora piccolo ma distribuito su tutto il territorio) per rendersene conto.
Sono ottimista. E tutti vi esorto ad esserlo. Non fatevi pietrificare dai numeri spogli. Leggetevi piuttosto quel che c’è dentro. Difettano l’arco e persino la faretra per lanciare il progetto di una rinnovata sinistra italiana. Ma, contrariamente a quanto pensano menagrami e salaci criticoni, non siamo privi di qualche buona freccia.


