La doppia semantica. 1. Centro-sinistra e moto-cicletta

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 13 aprile 2018

Su Italiani europei D’Alema ha fatto una analisi lucida. Come sempre. Ha richiamato i limiti di Leu e invitato a fare comunque del milione e rotti dei suoi voti lo stimolo organizzato per una ricostruzione del ‘centro-sinistra’. Alla quale ultima indicazione molti sono inorriditi. Il termine da qualche tempo non gode di buona reputazione e per alcuni è diventato un vero e proprio tabu. Chi lo pronuncia esce dal novero delle persone da ascoltare, se non diventa tout court un nemico del popolo, un doppio-giochista, un traviatore.

Questa riluttanza ha qualche ragione. Rinvia infatti a una topologia politica che nell’attuale contesto ha perso il significato obiettivo valevole sino a un lustro orsono. Sebbene è vero che molti elettori, in interiore homine e quale che sia la scelta di voto, Pd, Leu, 5S o Lega, e persino Fd’I, continuano ad autoconsiderarsi come di ‘sinistra’ o di ‘centro-sinistra’, cioè uni e doppi. Nelle mie rilevazioni demoscopiche almeno un quarto degli elettori che hanno scelto il M5S e la Lega si dichiarano in questo modo.

Credo sia per questa ragione che D’Alema abbia scelto di farne uso. E comunque l’intento allusivo è abbastanza evidente. Se il piccolo capitale deve fruttare qualcosa nello spazio delle forze in gioco dovrà cercare/creare un campo a sè prossimo dove fare politica. Se non piace centro-sinistra possiamo chiamare questo luogo come meglio desideriamo: democratico-progressista, socialista-democratico, di classe e popolare, social-costituzionale, di lotta e di governo…. Oppure Pippo e Pluto, e già a suo tempo io azzardai l’evocazione di strani animali anfibi come il mammufante e il camelloporco. Essendo entrati in un’era di bestialità.

La vaghezza che si riflette nelle biciclette semantiche è tanto più necessitata, quanto penosamente denunciata, durante transizioni nelle quali non è chiaro il corso delle cose. E dove stare nel vago delle aggettivazioni allusive e non meglio definibili è una cautela imposta dalle cose. Valeva anche in passato, sebbene almeno era chiaro il sostantivo che dava origine alla coppia: comunista e italiano, socialista e democratico, persino marxista e leninista. Cosa che in effetti adesso non è. Giacchè il sostantivo difetta, o quantomeno è confuso, al punto da presentarsi esso stesso come una bicicletta (vedasi Liberi e Uguali, Sinistra e italiana, persino a tre ruote come in Movimento democratico e progressista….mentre Articolo Uno era già un bel progresso….).

Del resto D’Alema, vero togliattiano, si è sempre attenuto al lato buono della ‘doppiezza’, se essa non è furbizia e infingardaggine ma consapevolezza della complessità delle circostanze in cui ci si muove e coscienza del limite di sè. Per dirla alla Luhmann, distinzione fra sistema e ambiente. Per esempio egli ha sempre praticato (e persino teorizzato) la ‘doppia leadership’, se non addirittura multipla. Un sano rispetto della complessità, peraltro alternativo al modello della leadership monadica e pseudo-carismatica.

Sotto questo profilo il M5S ha subito una evoluzione sicuramente intelligente, tanto da configurarlo, almeno per questo aspetto, quanto di più prossimo a un ‘gruppo dirigente’ di matrice classica, come nei partiti democratici di massa dei quali il Pci fu la massima espressione. Se non nella sostanza almeno nel gioco delle parti, la qual cosa costituisce comunque rispetto a tutti gli altri attori in campo un decisivo vantaggio comparato. Infatti a ognuna delle sue cinque stelle corrisponde una diversa figura di leadership funzionale e stratarchica. Un leader-premier che tiene il campo istituzionale (Di Maio), un capo-popolo agitatore dell’esterno (Di Battista), un rappresentante costituzionale elettivo (Fico), un guru carismatico delle origini e grande timoniere catartico (Bebbe Grillo), e persino un leader organizzativo occulto (il figlio di Casaleggio). Ognuno di essi, in qualche misura, autonomo nel proprio campo funzionale. Un sistema di leadership articolato e differenziato. Una dimostrazione di professionalità politica coi fiocchi, laddove di norma si suole vedere solo un arruffato dilettantismo. Mentre invece ciò che si osserva è il felice superamento dello scoglio a fior d’acqua contro il quale si è incagliata e infine ridotta a fasciame la sinistra. L’investitura monocratica e diretta della leadership. Come antidoto alla sedizione oligarchica. Un falso problema.

Quando anche nella ‘sinistra’ (per così dire) si sarà costituito qualcosa di simile, trasformando il magma anarcoide del suo pluralismo personalizzato, in una coerente articolazione funzionale di gruppo dirigente, vorrà dire che ha risolto almeno un problema. Dove D’Alema ha sbagliato non è nell’aver evocato un vecchio tricolo, ma nell’ottimistica speranza che ciò che restava della ‘sinistra’ potesse davvero fare del suo pluralismo una virtù invece che un sintomo nevrotico. E qui torna in gioco un’altro concetto anfibio proposto dal comandante Massimo: l’elettore-militante. Ma su questo torneremo in seguito.

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