I 101 – Colpa di D’Alema e di Renzi ? No, la colpa è di Nando

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 17 aprile 2018

La carissima Chiara Geloni gioisce per la ricostruzione di Damilano sulle idi di Prodi. Che sembra filare ragionevole salvo la surrettizia evocazione fra i cesaricidi di D’Alema, nella parte di Cassio, dando per scontato il rilievo di Renzi nelle parti di Bruto. Ma che poi a leggere bene tanto ragionevole non è. Non solo perchè quella su D’Alema resta un’illazione (non era neppure deputato). Ma perchè il vero accoltellato fu Bersani e sulla mission convergeva un vasto arco di forze, ivi compreso il ‘partito’ debenedettiano. Inoltre perchè Bersani stesso, in evidente stato di stress, congiurò a proprio sfavore.

Ma più a fondo lo scopo di queste ‘verosimili’ ricostruzioni risponde a un deja vu: bypassare la corresponsabilità avuta nel sostegno al renzismo e consegnare D’Alema a una sorta di damnatio memoriae a rovescio. Non all’oblio ma a una perenne maledizione mnemonica. Ripristinando il mito fondativo (sorta di epica via crucis) del Prodi tradito. Aberrazione malefica senza la quale l’intera storia della sinistra avrebbe preso un’altra strada.

Il vero problema per l’ala azionista del partito di Repubblica essendo lo smaltimento del renzismo senza correre il rischio d’essere intaccati dalle scorie. Cioè l’eventualità che vada inibita ogni riverginazione nel nome di quell’innocenza ulivista di cui il Damilano si propone come tardo epigono, come a suo tempo furono (e ancora oggi insistono) i Curzio Maltese, le Concite De Gregorio, i Michele Serra, i micromeghiani di Flores D’Arcais e tutto il resto della compagnia. Quell’azionismo de noantri che da Occhetto a Renzi è stata la vera forza culturalmente egemone nel centro-sinistra italico. Una energia spocchiosa e insopportabile ma inistente, pervasiva, soprattutto perchè mediaticamente vincente. In un corto circuito stampa-televisione che ha ridotto il dibattito pubblico a un’unico format: irridente, satirico, quanto moralistico e sprezzante.

Non a caso troviamo oggi questo Damilano a sciorinare le sue prediche dalle pagine di Repubblica e dell’espresso come nei talk show a sfondo comico de la 7. Di lui giustamente D’Alema ha detto che è un ‘cretino’. Magra consolazione, ma realistica. Eppure a pensarci bene il grande padre di questa ‘dittatura ‘ideologica’, la vera responsabile ultima dell’otto settembre in cui siamo incorsi, non è stato Prodi, non è stato Veltroni e neppure Scalfari. Ma Ferdinando Adornato, colui che gli amici (anch’io ne fui intimo all’epoca di ‘Città Futura’) chiamavano Nando. Tutto era già stato concepito nell’esperimento, hailoro troppo precoce, di ‘Alleanza democratica’, ivi compreso l’approdo al ‘liberalismo’ forzitalico. Ed è tempo di ridare a Nando quel che gli è dovuto, revocando, qui sì, la damnatio memoriae e l’interdetto che lo ha colpito. Se le cose sono andate come sono andate è tutta colpa di Nando. Lui è stato il genio malefico, il creatore teorico prefiguratore, donde sono poi discesi Veltroni, Renzi, e infine Damilano. Sebbene, salvo il felice creatore di quel motivetto che recitava ‘anvedi come balla Nando’, tutti l’hanno misconosciuto.

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