Quali misteri si celano dietro le rovine del Centro di Studi Scientifici e Ricerca di Damasco?

per Giacomo

di Robert Fisk Independent,  maggio 2018

Traduzione di Giacomo Piacentini

Noi crediamo che tutti i dittatori arabi mentano regolarmente, mentre noi gente occidentale dovremmo rendere conto di ciò che dicono i nostri leader – e assicurarci che dicano la verità quando affermano di agire a nome nostro.

Il poeta iracheno Abu Tayyib al-Mutanabbi, vissuto nel X secolo d.C., abitò un tempo nell’Emirato di Aleppo, “o città dal futuro prescritto dal Fato”. Guidò anche una rivolta in Siria che – cosa familiare, questa – fu sconfitta con momenti di grande crudeltà. Al-Mutannabi passò poi due anni in prigione prima di riconciliarsi con la propria sconfitta e fu poi rilasciato. La maggior parte dei bambini arabi in Siria sanno citare il poeta a memoria e uno dei suoi poemi preferiti inizia con queste parole: “ Quando vedi i denti di un leone, non pensare che il leone ti stia sorridendo”.

Mi è venuto in mente questo leone mentre mi districavo tra le rovine del Centro di Studi Scientifici e Ricerca a Barzeh, quartiere periferico di Damasco, la scorsa settimana. Questo luogo, ora famoso per le molte immagini satellitari, era il centro distrutto dai missili di Donald Trump quando hanno colpito “il cuore del programma di armi chimiche siriano”. Lo hanno davvero fatto? Qualunque cosa abbia un nome alla Dottor Stranamore come il “Dipartimento della Ricerca Chimica Farmaceutica e Civile” – quella parte del complesso colpita da ben 13 missili – necessita di vedere il proprio contesto analizzato con attenzione. Mi è stato impedito di visitare l’istituzione siriana per tre giorni. Se era tutta in rovina – e assurdamente lo è in un modo molto più tragico di quanto le immagini lascino intendere – perché ritardare la visita?

E ciò ha importanza? Ebbene, sì. Mi fa tornare in mente la molto più famosa “azienda che produceva latte per bambini” irachena bombardata dagli Americani nel 1991 che il generale Colin Powell chiamò “una fabbrica di armi chimiche, di questo siamo sicuri”. Il mio collega Patrick Cockburn ha scritto sull’argomento la scorsa settimana, ripensando alla sua visita a quella fabbrica poche ore dopo il bombardamento. Dopo la fine della guerra, venne fuori che probabilmente l’edificio era davvero un’azienda di prodotti per bambini – d’altra parte, cosa non si può fare con un bicchiere di latte?

Il problema è che mentre noi crediamo che tutti i dittatori arabi mentano regolarmente, noi gente occidentale dovremmo rendere conto di ciò che dicono i nostri leader – e assicurarci che dicano la verità quando affermano di agire a nome nostro. Ecco perché l’attacco a Douma deve essere chiarito completamente, ed ecco perché volevo sapere se questa devastazione a Barzeh (la risposta diretta a Douma, anche se ovviamente nessuno è stato ucciso a Barzeh) fosse ciò che dicevamo essere, oppure se fosse ciò che i Siriani affermavano essere – un centro di ricerca medica. Il leone mi stava sorridendo? Oppure ero io a interpretare male il significato della sua espressione?

Certamente il dottor Said al-Said, a capo del dipartimento polimeri del centro di ricerca, era tutto un gran sorridere, e, per quel che vale, non assomigliava affatto al Dottor Stranamore. Le macerie del suo centro di ricerca bombardato, quando l’ho incontrato senza guardie del corpo o militari, mi hanno consegnato ben poche prove del fatto che fosse davvero un centro di ricerca sulle armi chimiche, come sostengono gli Americani. Sembrava molto, difatti, un luogo dove, secondo l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche cui aderiscono 192 Paesi, la quale visitò il luogo lo scorso novembre, non ci fossero prove dello sviluppo di armi chimiche o biologiche, né che lì fossero testate  o prodotte.

L’Organizzazione è lo stesso istituto che sta attualmente investigando sul presunto attacco con armi chimiche a Douma. “Se questo fosse un centro di ricerca di armi chimiche” dice al-Said, puntandomi l’indice verso il petto “saresti morto semplicemente per essertici avvicinato, oggi”. Tutto fuorché una certezza visto il tempo trascorso dal bombardamento, inoltre ovviamente avrebbero potuto aver usato il centro soltanto per la ricerca, piuttosto che per lo stoccaggio di armi chimiche, il che è parte delle dichiarazioni rilasciate dagli Americani. È sempre la stessa, vecchia domanda: cosa non si può fare con un bicchiere di latte?

Mi sono addentrato tra le rovine da solo per più di un’ora e ho trovato ben cinque edifici, in questo centro, completamente distrutti dal bombardamento. Ero libero di girovagare sotto al sole da solo, il che era anche un sollievo per al-Said, visto che ormai ha 64 anni. Ad ogni modo, erano ormai passati quattro giorni dagli attacchi Anglo-Franco-Americani. I politici occidentali accusano i loro avversari, il che ormai è una routine, di nascondere le prove incriminanti prima di aprire i siti dei bombardamenti ai giornalisti. E a me era stato imposto di aspettare per tre giorni.

Eppure quando alla fine ho potuto attraversare le porte d’ingresso, i documenti e gli archivi erano ancora incuneati nel cemento schiacciato e sventolavano, mossi dal vento. Le carte più interessanti che abbia potuto trovare riguardavano un progetto di desalinizzazione nell’entroterra rurale siriano e una dissertazione pubblicata in Inglese da scienziati del Kuwait sull’uso della gomma nella sigillatura cementizia dei ponti. Mentre ero lì, scavatori meccanici hanno iniziato a portare via grossi pezzi di muratura – alcuni con pezzi di carta ancora intrappolati tra le macerie – scaricandoli dentro ad alcuni camion per lo smaltimento. Quel centro poteva davvero essere il sito di un’elaborata copertura?

I Siriani erano in grado di rimuovere le prove in quattro giorni? E mentre non sono un esperto di armi chimiche, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche certamente lo è e nel 2013 aveva visitato più volte il centro di Barzeh. Ma che cosa è accaduto da allora?

“Hanno detto che il centro era privo di ogni prova sulla ricerca per le armi chimiche” ha detto al-Said. I rapporti pubblicati lo confermano, ma dallo scorso novembre non c’è stata nessun’altra visita. Eppure – e le domande qui si moltiplicano, il che è tipico di un centro di ricerca – non è da considerarsi che se l’organizzazione avesse sospettato di qualche cambiamento nell’attività a Barzeh, ne avrebbe fatto menzione nei suoi rapporti? C’era ancora un forte odore di plastica che bruciava che lui attribuiva ai resti ancora in fiamme dei computer intrappolati tra i detriti.

Mi sono incamminato più in profondità tra i detriti e né i lavoratori né il corpulento capo del centro si sono innervositi o mi hanno chiesto di fermarmi – il che generalmente è un segnale evidente del fatto che qualcuno si sta innervosendo. Mi era successo in Serbia, quando scoprii delle trincee scavate dietro ad un ospedale bombardato dalla Nato – i pazienti civili, come si venne poi a sapere, erano morti, i soldati iugoslavi che erano nascosti là contro tutte le leggi di guerra erano disarmati e avevano lasciato il posto da lungo tempo. Tra gli edifici non danneggiati nel campo siriano c’erano le stanze delle lezioni per gli studenti e una scuola per bambini con disegni di animali che chiaramente, data la pittura ormai deteriorata, erano stati dipinti molte estati prima.

Il dottor al-Said stesso ha studiato per diventare un chimico sperimentale, prima a Dresda (quando ancora era parte della Germania dell’Est) e poi a Dusseldorf. Aveva lavorato in quel centro siriano per 15 anni, mi ha detto, ma era a casa sua, a dieci miglia di distanza, quando i missili hanno colpito nel primissimo mattino. Gli ho domandato se si aspettasse di essere l’obiettivo dell’attacco: “Non sono un esperto di politica” mi ha risposto “ma con Americani, Britannici e Francesi ci si può aspettare qualunque cosa”.

I suoi studenti, ha insistito, stavano svolgendo ricerche sulla produzione di sostanze chimiche a fini medicinali e soprattutto sul DNA di scorpioni e serpenti per combattere leucemia e cancro. “Abbiamo continuato a fare ricerca su medicine per uso locale che però vengono vendute in tutto il Medio Oriente. Stavamo producendo particelle di gomma per l’industria del petrolio oltre a fare ricerche sull’uso della gomma nella costruzione dei ponti”. Quando al-Said mi ha detto ciò, non era al corrente del fatto che io avessi trovato un documento al riguardo nel mezzo dei detriti- un punto a suo favore. “L’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche ci ha rilasciati certificati positivi ben due volte”, ha poi aggiunto.

Ho anche notato che questo ampio centro si stende a meno di un miglio dal teatro di una terribile battaglia avvenuta 18 mesi fa tra le milizie governative e Nusrah (insieme ad alcuni militanti della “Armata Libera Siriana”). Fui testimone di parte di questo scontro all’epoca. Il regime siriano avrebbe davvero mantenuto un centro di ricerca sulle armi chimiche che sarebbe potuto cadere, da un momento all’altro, nelle mani del nemico? Se gli Americani avevano ragione quando dicevano, durante il fine settimana, che il centro di Barzeh viene utilizzato per la ricerca, lo sviluppo, la produzione e i test sulle armi chimiche e biologiche, allora il regime si era sicuramente preso rischi non indifferenti, prima o dopo le battaglie. Dato che gli Americano affermano di avere ragione, allora, un incredibile ammontare di lavoro deve essere stato svolto negli ultimi cinque mesi per modificare la natura di questo luogo – ovvero dall’ultima volta in cui gli ispettori dell’Organizzazione sono stati qui.

Ad oggi è generalmente accettato che la tristemente famosa azienda per la produzione del latte di Baghdad produceva soltanto latte – anche se il regime iracheno ha posto un’insegna fasulla in Inglese sulle porte abbattute cosicché, dopo il bombardamento, le telecamere potessero inquadrarlo. L’unica insegna, invece, nel centro di Barzeh è un ampio ritratto di Bashar al-Assad con la scritta “Tutto per voi” rigorosamente in Arabo.

Ma ritorniamo al leone. Il povero vecchio Muttanabi venne alfine ucciso da un uomo che aveva insultato in un poema. Il suo nome – rullo di tamburi – era Dabbah al-Assadi. Nessun legame di parentela col leader siriano, ovviamente.

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