Trial a campare e Di Maio lancia diktat per tacitare i malumori 5 Stelle

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Dagoreport / Massimo Franco
Fonte: Dagospia/ Il Corriere della Sera

DAGOREPORT – 19 settembre 2018

 

giovanni tria con il ministro dell'economia cinese liu kunGIOVANNI TRIA CON IL MINISTRO DELL’ECONOMIA CINESE LIU KUN

Di Maio sa benissimo che il ministro Tria è inamovibile, blindato da Mattarella, con l’appoggio  di Savona che lo indicò a Salvini dopo la bocciatura quirinalizia. Ma l’ex  bibitaro del San Paolo ha bisogno urgente di dare al suo elettorato, diviso tra governisti e attivisti, un segnale forte al limite dell’offesa (“Tria trovi i soldi, sia serio”). Così eventuali promesse elettorali, se saranno mantenute, saranno merito suo.

Da parte sua il limite imposto da Bruxelles del 1,6% di deficit, Tria lo supererà con una forbice che va dal 2 al 2,2% per poi scendere a trattativa. Intanto, il ministro del Tesoro sta aspettando i conti della Ragioneria di Stato per vedere quali possono essere i tagli e i risparmi da fare. Al prossimo consiglio dei ministri del 24 settembre, con Di Maio che tornerà dalla gita in Cina, Tria sarà in grado di poter finalmente scoprire le carte.

giovanni triaGIOVANNI TRIA

Possiamo già ora prevedere che tutte le promesse elettorali ci saranno, ma spalmate come Nutella nei prossimi anni (ciao core). Per quanto riguarda il Reddito di cittadinanza si troverà una soluzione aumentando di qualcosa il renziano Reddito di inclusione.

In questo bel casino, Grillo e Casaleggio sono scomparsi. Si sono dati appuntamento, per commentare la finanziaria, il 27 settembre. A quel punto ci sarà un riassetto all’interno del Movimento. Dove i 5stelle hanno governato e governano, i sondaggi li danno in discesa: a Roma perderebbero l’8%, a Torino il 10%. Appendino col suo pasticciaccio olimpico (prima no, poi sì, poi scaricata dal suo stesso governo), Raggi con gli altri innumerevoli pasticci. Le due donzelle hanno dimostrato che non sono in grado di governare nemmeno un condominio.

luigi di maio, giuseppe conte, lorenzo fontana e paolo savonaLUIGI DI MAIO, GIUSEPPE CONTE, LORENZO FONTANA E PAOLO SAVONA

Di Maio deve cominciare a combattere quello che lui teme veramente, il quartetto formato da Conte, Tria, Savona e Mattarella. L’ex direttore generale di Bankitalia è totalmente d’accordo con il suo allievo Tria. Supportato costantemente da Mattarella, Conte, da cartonato comincia a tirare cartoni: se devo assumere responsabilità (dal Consiglio Europeo al G7) ho anche delle prerogative. Dopo aver abbozzato sul caso Rocco Casalino, imposto come portavoce vanesio da Di Maio, per il ruolo di Segretario generale della presidenza del Consiglio ha scelto autonomamente Roberto Chieppa, pura espressione dell’establishment (era all’Antitrust).

rocco casalino giuseppe conteROCCO CASALINO GIUSEPPE CONTE

Ora Conte si è impuntato per la scelta del commissario per il ponte di Genova. I vicepremier si sono opposti. Risultato: i commissari saranno due, uno per Conte, uno per i pentaleghisti. Il premier pensa a un avvocato che conosca bene le regole, visto che Autostrade ha il coltello dalla parte del manico: revocare la concessione ai Benetton sarà durissima e finirà con un compromesso destinato a far infuriare i grillini che avevano bevuto le parole di Di Maio (“via la concessione”).

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di Massimo Franco per il “Corriere della Sera”

Un diktat per tacitare i malumori del movimento

Il diktat del vicepremier Luigi Di Maio al ministro dell’ Economia, Giovanni Tria, è a dir poco irrituale. Pretendere che «trovi i soldi», perché «un ministro serio i soldi li deve trovare», rivela una concezione singolare del ruolo di chi governa e deve tenere i conti in ordine. Forse, la sua uscita va letta in controluce e inquadrata nei malumori crescenti nel Movimento Cinque Stelle: malumori verso il suo leader e la subalternità alla Lega di Matteo Salvini. Solo il nervosismo per il timore di non mantenere le promesse può spiegare parole così ruvide.

«Nessuno ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Economia ma pretendo che trovi i soldi per gli italiani», lo ha strattonato il capo del M5S. «Non possono più aspettare». Di Maio, in partenza per la Cina, evidentemente sa che un’uscita di scena di Tria terremoterebbe il governo sul piano internazionale; e che un successore non potrebbe proporre ricette diverse: a meno di far saltare i conti pubblici e vedere schizzare alle stelle gli interessi sui titoli di Stato. Per questo ha aggiunto che «nessuno ha chiesto le dimissioni di Tria». Ma il tentativo di condizionarlo in vista della manovra sta assumendo toni parossistici.

«Il percorso bilanciato» tracciato dal ministro per conciliare «bisogni sociali e requisiti economici», non basta: soprattutto perché Di Maio soffre il protagonismo di Salvini; i rapporti freddi ma mai recisi con Silvio Berlusconi; e i sondaggi che danno i Cinque Stelle in calo a favore del Carroccio. Dunque, Di Maio alza la voce con Tria rivolto prima ancora a quei settori del Movimento che non digeriscono il sodalizio con Salvini; e ritengono poco incisivo il loro vicepremier.

Il colloquio dei giorni scorsi a casa Berlusconi ha rianimato tra i grillini il sospetto che Salvini sia pronto a accogliere alcune richieste in materia televisiva. Lo confermano le parole irritate del ministro per il Sud, Barbara Lezzi. «Salvini può dare le garanzie che vuole a Berlusconi». Ma «noi non gli faremo nessun regalo…». Si tratta di una durezza verbale che non prelude a rotture. Non esistono alternative visibili al governo tra M5S e Lega. La variabile è che i contrasti accumulati alla fine sfuggano di mano; e che le divisioni esplodano.

 

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