di Claudio Mezzanzanica – 8 dicembre 2018
“Dovrebbe essere una massima di governo cercare di elevare il livello della vita materiale del popolo…In questo indirizzo non è da ricercare uno speciale motivo “umanitario” e neppure una tendenza “democratica” anche il governo più oligarchico e reazionario dovrebbe riconoscere la validità “obiettiva” di questa massima….Ogni governo non può prescindere dalla possibilità di una crisi economica … cioè a dover superare la massima crisi a cui può essere sottoposta una compagine sociale”. Così scriveva Antonio Gramsci dal carcere, e questo suo pensiero ci aiuta a comprendere le ragioni della dissolvenza in atto del PD e più in generale dei partiti che sono stati protagonisti della vita politica europea negli ultimi 25 anni. Da una Europa, da una Italia con un terzo escluso siamo avviati ad una Europa e d una Italia dai due terzi esclusi. Inevitabile il declino e l’implosione dei partiti che hanno governato questa fase. Anche dalla Spagna è arrivato il suono della campana per il Partito Socialista. Ormai non manca più nessuno.
L’abbandono del PD da parte di Renzi è una conseguenza di questa lettura della fase politica. Con più lucidità rispetto a molti Renzi capisce che il PD è del tutto inattuale. Non gli interessa diventarne il padrone per interposta persona. Nell’immaginario popolare quel partito è il responsabile della decadenza del paese così come lo è stato Forza Italia, ormai anch’essa ridotta al lumicino. Non solo ma il suo tentativo di rianimarlo è fallito. A lui non resta che correre una nuova avventura a cui, tra l’altro, si sta preparando da oltre un anno. L’obbiettivo è svuotare quel che resta del centro ,accaparrandoselo per evitare che dopo le Eoropee Salvini portando il paese alle elezioni anticipate , si insedi come dominus. Quel che resta della sinistra non gli interessa.
- Ciò che avviene nel PD non è un chiarimento. E’ una dissoluzione di un mondo ormai privo di collante politico. Privo di cultura per affrontare l’oggi e costruire il domani, privo di istanze di rinnovamento. Solo due settimane fa cinquecento sindaci, tra cui Sala a Milano, erano scesi a fianco della candidatura Minniti. Un movimento apparente, in realtà inconsistente.
In questi momenti a qualcuno sembra si attui una liberazione. Finalmente la zavorra lascia la nave che ora potrà correre libera per i mari. Ovviamente in politica questo è illusorio. Chi resta, dopo la seconda scissione in diciotto mesi , è un agglomerato senza forza attrattiva, né dentro la sinistra né dentro il paese. Tutti quanti coloro che erano sulla nave sono responsabili di quel “tradimento” delle aspettative raccontato da Gramsci. Nessuno escluso. E al momento quei mondi non hanno aperto né una autocritica né una ricerca del nuovo.
La voragine a sinistra si allarga. Non facciamoci anche noi illusioni. Il senso di vuoto a sinistra è destinato a crescere e sbaglierebbe chiunque pensi che in questo vuoto ci si possa infilare con proposte di corto respiro, forzature, leaderismo d’accatto, basismo, scorciatoie organizzative. Bisogna prendere atto onestamente e pubblicamente dello stato di gravità della nostra crisi. Dichiariamo questo stato di crisi e smettiamo di coltivare orticelli tanto inconsistenti quanto sterili. Come fa Art1 a chiamare a congresso ciò che è il residuato di un gruppo di militanti generoso ma dalle molte sconfitte? Che strada è mai questa? Come può l’area che si è trovata con De Magistris pensarsi al centro di un processo così vasto come il re insediamento della sinistra nel nostro paese ? Come lìassemblea degli autoconvocati otto giorni prima anche quella di De Magistris è stato un atto generoso ma sterile. Senza un seguito nel paese. La domanda che viene dal popolo della sinistra sempre più orfano è molto più alta. E’ un popolo che non ha fretta, che non crede nei miracoli. Ha la coscienza che il cammino è lungo e sa che questi gruppi dirigenti non sono adeguati ma sono utili se danno il via al lavoro di ricostruzione. Vorrebbero trovare il Mosè che troverà con loro la strada ma che no arriverà con loro in Palestina. Può riprendere la marcia, in parte lo fa in forme inedite, ma ha una domanda politica forte: come stiamo insieme nei prossimi mesi per ricostruire una comunità’ ? Come usciamo dal particolare, dal piccolo, dalla testimonianza per opporci a questa destra?
E’ un popolo che non chiede risposte salvifiche. Chiede per ora delle pratiche e degli obbiettivi condivisi. Chiede che il suo sforzo di resistenza si sommi a quello degli altri come lui. Conosce bene le differenze al suo interno. E non ne ha paura né intende farne uso per divisioni intestine. Chiede di lavorare insieme per difendere i migranti e accoglierli, per migliorare le condizioni di lavoro, le condizioni materiali di vita ma anche per migliorare la scuola. Chiede di discutere se la repressione delle droghe leggere sia la strada per avere più sicurezza. Oppure il contrario. Si chiede dove e quando piangeremo i prossimi morti per “catastrofi naturali” in assenza di ogni piano di opere. Si chiede quali misure possano trasformare questa in una Europa per il lavoro. Sa che le domande son molte , che la ricerca è lunga ma deve iniziare. Sa che una nuova cultura politica richiede tempo e che nessun partito è nato in laboratorio. Il PCI non sarebbe esistito al nord senza la Resistenza e al sud senza l’occupazione delle terre. Più lontano ancora neppure il PSI sarebbe dato nel 1892 se prime non si fossero organizzate migliaia di Società di Mutuo Soccorso in tutta Italia. Il partito nasce da un humus che ora non c’è ma c’è spazio e possibilità per la politica. Poi, tutti insieme, si vedrà.


