Il bar cinese

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 19 dicembre 2018

Si deve alla straordinaria predisposizione dei cinesi la preservazione del bar marginale. Senza di loro questi tipi di bar sarebbero scomparsi dalle frazioni rurali della pianura e della montagna, ma anche dalle zone neglette delle città. Il bar cinese non indugia in alcuna esotica cineseria (non ha cioè alcunchè di cinese) e non ha nessuna altra pretesa che essere un comune bar. Gli arredi sono di risulta, gli infissi sono ordinari e gli alimenti persino rancidi. I gestori non hanno alcun interesse a imprimere al locale una qualche forma di originalità nè a socializzare coi clienti. Come li rilevano così li gestiscono, impassibili, all’insegna di una sorta di minimalismo estraneo.

I bar cinesi non sono neanche trasandati, non incorporano nessuna compiaciuta decadenza. Sono autenticamente squallidi ed è in questa carenza che si rivela la loro perfezione, e, si potrebbe dire, la loro poesia. La marginalità per sè. L’obsolescenza di un sistema ricettivo povero e desueto. Svuotato di ogni vita sociale conviviale. Sono entità eterotopiche, entrando nelle quali si può finalmente uscire dalla fatuità del mondo sociale con tutti i suoi gingilli, le amenità societarie e le pacchiane configurazioni di status per sostare nella propria atarassia. Al caso in compagnia di occasionali diseredati e alienati. Ci fosse un locale sul retro destinato a fumeria d’oppio, anche senza togliere spazio alla saletta con le slot a ridosso del cesso alla turca, il bar cinese sarebbe immaginazione pura, come il cinemascope.

Da qualche tempo, stanco della rozzezza, della taccagneria pretenziosa, della pelosa falsità e della crassa ignoranza dei gestori italiani, che vorrebbero diventare ricchi corrispondendo al decoro della classe media urbana e altra più chiassosa umanità spensierata, ho fatto del bar-tabaccheria “Il gatto e la volpe” perfettamente gestito da cinesi, il mio ricovero ascetico quotidiano. Ogni notte penso a come di buon mattino ne degusterò la rarefatta atmosfera e mi corico sereno. Finita almeno dai ’70 la grande epopea del bar popolare a sfondo filosofico e ludico-sociale, e perdurante l’assenza dell’agognata ‘casa di cura’ lenitrice d’ogni dolore, i cinesi, che non sono per nulla tagliati a fare i baristi ma che possono applicarsi a qualsiasi cosa, in ciò perfetti ‘lavoratori astratti’, ci offrono l’unico modo consono di vivere nel limo della solitudine.

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