Politica, teoria, bene comune e sinistra. Un vero rovello

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti

 Leggo in questi giorni molte analisi, tutte orientate a chiarire come andrebbe configurata oggi la battaglia politica dell’opposizione. Ognuno ha la propria proposta ma tutte o quasi si concentrano sulla necessità di ‘battere’ la destra, di riorientare l’opinione pubblica, di cogliere consensi ‘contro’. ‘Vincere’ insomma. Poi si vedrà. Nessuna sfiora nemmeno un po’ il tema di fondo oggi, ossia quello del ‘governo’. Non l’esecutivo, si badi, ma il ‘governo’ in senso largo, compresi il Parlamento e le altre forme istituzionali, ossia la capacità di porre concretamente mano agli infiniti problemi con soluzioni che siano all’altezza della propria rappresentanza e del bene comune.

La politica è fatta di idee, proposte, programmi, soluzioni, prassi. Il compito è quello di trascendere la semplice amministrazione (tappare le buche stradali, ad esempio) mutandola in politica (un programma di manutenzione urbana) adottando quindi specifico punto di vista (partire dalle periferie). Tutto ciò, con l’occhio sempre aperto all’unica ragione per cui si dà una polis, quella di risolvere assieme (ma conflittualmente!) i problemi legati al nostro vivere comune. Ovviamente da punti di vista e di rappresentanza anche opposti e rigidamente alternativi, ingaggiando una durissima lotta democratica. Ma questo è la politica: agone e prassi – e non tecnica (la soluzione è una sola) e nemmeno pura teoria (idee disincarnate). Una teoria che abbia la forma di una prassi concreta, istituzionale anche, attenta ai meccanismi effettivi di governo e trasformazione, insomma.

Il tema del governo è, dunque, la sfida insuperabile. Potrei quasi dire che la sinistra ‘perde’ anche quando ‘vince’, se poi dinanzi alla ‘macchina’ istituzionale conquistata quasi disdegnandola, dimostra di non saperla guidare e tanto meno riformare. Se le idee restano ‘disincarnate’, se tutto si riduce a un gioco di specchi, vuol dire che la politica è solo teoria o competizione per il potere, lasciando necessariamente inebetiti dinanzi al ‘governo’. Niente di dissimile rispetto a quel che accade in epoca di populismo, quando si infiamma la piazza con l’ideologia per ‘vincere’, magari col maggioritario, e poi approdare al governo scontando tutto l’abisso che separa il movimentismo antecedente dalla grettezza politica e insipienza amministrativa successiva.

Che cos’è il populismo, in fondo? Un pazzesco cortocircuito tra Capo e Popolo. Nessuno capisce, e scalda, e vezzeggia il popolo come il grande Capo populista. Così che, ogni qualvolta si “buca” il tema del ‘governo’, che poi è il tema delle istituzioni, il populismo ci sbrana. Perché il Popolo non va ‘riconquistato’ alla sinistra, al partito, alle teorie, alle strategie e alle tattiche della politica alta o bassa che sia, MA ALLE ISTITUZIONI, ai luoghi della mediazione (e dei conflitti), laddove le proposte prendono forma e si orientano alla risoluzione dei problemi e alla indicazione di un indirizzo politico. È questo il punto. Ma né la ‘nuova’ sinistra post muro, quella del maggioritario, né quella radicale che in questi anni si è ridotta al lumicino ed è parte della crisi (non la sua soluzione), lo hanno capito. Intorno a noi è solo il balbettio di chi propone la soluzione più dirompente, più identitaria o più radicale. Come se il metodo debba essere radicale e non gli obbiettivi.

Ci vuole pazienza, lo so.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

1 commento

Antonio Bruno 3 Novembre 2019 - 14:37

Alfredo Morganti scrive:
“Tutto ciò, con l’occhio sempre aperto all’unica ragione per cui si dà una polis, quella di risolvere assieme (ma conflittualmente!) i problemi legati al nostro vivere comune. Ovviamente da punti di vista e di rappresentanza anche opposti e rigidamente alternativi, ingaggiando una durissima lotta democratica.”

Non condivido che per addivenire ad una decisione si debba mettere in scena una vera e propria guerra che per Alfredo Morganti non è tra persone, ma tra diversi punti di vista.
Per giungere ad un progetto comune da diversi punti di vista basta una conversazione tra persone che partono da presupposti diversi e quindi ragionano da due domini cognitivi diversi. Appena avranno chiaro qual è il dominio cognitivo comune raggiungeranno anche il progetto comune. Quindi questo linguaggio con parole violente (ma conflittualmente! – ingaggiando una durissima lotta democratica) è assolutamente inadeguato al raggiungimento del progetto comune.
Quelle parole nascondono si un duro conflitto e una durissima lotta ma per la conquista del dominio attraverso il potere di sottomettere e rendere ubbidienti gli altri e giammai per la soluzione condivisa dei problemi.
Il senso dell’articolo ovvero di dare seguito a una gestione condivisa con tutti cittadini, cioè al governo del Paese, presuppone questo cambiamento culturale. Tutto il seguito dell’articolo diviene un orizzonte di senso se lo si fa diventare conseguenza di questo cambiamento culturale che prevede, al posto dei leader, la conversazione quale indicazione per governare. D’altro canto il nome dato all’assemblea non è forse PARLAMENTO, ovvero luogo in cui ci si coordina con le parole?

Rispondi

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.