Quando si dice “parlare a vanvera” (Renzi e Di Maio)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Fonte: i gessetti di Sylos

di Giovanni La Torre

1) Dopo le elezioni nel Regno Unito vi sono stati ovviamente diversi commenti, più o meno appropriati. Il meno appropriato mi è parso quello di Matteo Renzi. Il bulletto fiorentino è stato tra i primi a intervenire, come se lo desiderasse da tempo e non riuscisse a contenersi, e ha esclamato: “La sinistra radicale, quella estremista, quella dura e pura è la migliore alleata della destra”, alludendo evidentemente al fatto che la “sinistra” per vincere, secondo lui, deve avere un programma di “destra”. Ora, è arcinoto, lo ripetono anche i sassi, che invece la destra vince in diverse parti del mondo proprio perché si presenta come paladina dei ceti più deboli, che dalla svolta neoliberista degli anni ’80 sono stati abbandonati dalla sinistra democratica. Quindi se Corbyn ha perso, non è stato perché ha riabbracciato i valori tradizionali della sinistra, ma perché non viene ritenuto credibile, e questo, purtroppo, vale per tutta la sinistra, dopo le esperienze (alla Blair per intenderci) degli ultimi decenni.
Le parole non bastano più, e quindi fino a quando l’inganno della destra non sarà evidente, i ceti popolari continueranno a votarla. Poi ci sono state anche delle motivazioni domestiche, perché Corbyn non ha affrontato di petto la questione principale per cui si votava: la Brexit. Sul punto è apparso elusivo e titubante, non abbracciando esplicitamente né l’una posizione né l’altra, e questo non ha pagato. Addirittura pare che l’argomento Brexit fosse a pag. 80 del documento programmatico del labour, composto da un centinaio di pagine.
Comunque, quello che rende ridicola l’argomentazione di Renzi, è che proviene da una persona che ha preso in mano un partito che era al 30%, l’ha lasciato al 18% e ha costituito un partito che è al 4%.
2) In occasione delle recenti crisi di Alitalia e Popolare di Bari si è sentito di nuovo urlare da parte di esponenti politici che i dirigenti e gli amministratori che hanno causato i disastri debbono “pagare”, “andare in galera”, e che vengano fatti oggetto dell’ “azione di responsabilità”. Il più loquace in questo caso è stato, come era da aspettarsi, Luigi Di Maio. Trattasi però di dichiarazioni trombonistiche, perché in Italia mai nessuno ha pagato per queste cose: le leggi e le prassi giudiziarie sono state fatte apposta perché nessuno paghi, però le dichiarazioni vengono fatte ugualmente a beneficio del popolo bue.
La cosa più ridicola è la veemenza con cui viene minacciata l’azione di responsabilità. La gente pensa che con essa chissà cosa viene comminato agli ex vertici. E invece trattasi semplicemente di una causa di tipo “civile” che può essere avviata dai nuovi vertici, al termine della quale, se si vince, si può chiedere un risarcimento danni. Trattasi però, va detto subito, di cause difficilissime perché la lotta è di uno contro dieci/quindici persone le quali sono subdolamente tra loro coalizzate per far durare la causa decenni (uno si dà ammalato in un’udienza, uno in un’altra, uno accusa Tizio, Tizio accusa Caio, Caio accusa Sempronio, Sempronio accusa quello che era partito con lo scarica barile, insomma alla fine diventa difficilissimo raccapezzarsi e giungere al giudizio di condanna). Ma anche se si riuscisse a pervenire alla condanna, le persone coinvolte risultano quasi sempre nullatenenti (se hanno rubato i soldi li hanno fatto sparire), o comunque proprietarie di un patrimonio infinitesimale rispetto al danno provocato. Siccome è stata abrogata la schiavitù per debiti, vigente nell’antichità, alla fine di queste cause spesso ci hanno guadagnato solo gli avvocati.

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