PRIMA CHE SIA NOTTE.
L’ INFOSFERA E IL FASCINO DISCRETO
DELLA TECNOLOGIA
Il vero protagonista della nuova rivoluzione è l’informazione. Cos’è il mondo? È un mondo dominato dall’informazione, si sente dire da più parti. Una nuova lettura si sta facendo avanti, e mette l’accento sulla connessione globale che le nuove tecnologie dell’informazione permettono. Non siamo più entità isolate ma organismi interconnessi con altri agenti, biologici e artificiali, c’è una nuova sfera di interazione in cui l’essere umano sta entrando, l’infosfera. La Terra promessa è vicina e le tecnologie digitali sono le nostre guide sicure.
Il filosofo italiano Luciano Floridi* è uno degli esponenti più significativi di questa nuova corrente di pensiero.
Una prima osservazione: abbiamo la coscienza di essere in opposizione col mondo, contrapposti ad esso come esseri individuali: Io e il creato. Ma anche col muro divisorio che sentiamo emergere tra ciascuno di noi e il mondo, tuttavia non perdiamo il senso di appartenenza e ci poniamo il problema di ritrovare il legame che ci unisce. Siamo dentro e non fuori del mondo. Ecco allora che ci viene incontro la iper connessione per offrirci una soluzione tecnologica! Una illusione?
La sola percezione del mondo a noi esterno è qualcosa di incompiuto, non conchiuso. Perché? Inseriti in esso in quanto nati, noi lo scindiamo in due parti, nel mondo ideale nell’anima e nella percezione di ciò che è là fuori. Chi pensasse questa scissione come un abisso invalicabile, il mondo là ed Io qui, non sarà in grado di colmare la distanza. Come fare allora? A quell’universo di cose, oggetti e organismi manca il mio pensiero, manco Io. Io stesso provengo da quel mondo, che si presenta a me come percezione. Devo unire mediante la mia esistenza quello che è separato in due parti a causa della mia entrata sulla Terra. In quanto vivo e mi sviluppo, Io congiungo le due correnti della percezione e della idea, ed ottengo la realtà. Mi apro cammino nella realtà nella mia esperienza conoscitiva. Il mondo esterno mi stimola continuamente a pensare e il problema del conoscere acquista una valenza di evoluzione, il vero principio formativo a cui dedicare tempo ed impegno. La connessione si realizza unendo percezione ed idea.
Pure, l’inquietudine che sento è il bisogno inalienabile di una maggiore comprensione del mondo iper connesso, di fronte al dilagare pletorico delle conoscenze ed applicazioni che esso rende disponibile, qual fiume in piena. Sento anche da tempo una spinta sottile che vuole inscatolare e limitare la mia capacità di ragionare sulle cose, che è certamente divenuta più raffinata ed esatta ed attenta ai dettagli, ma allo stesso tempo più superficiale e meno tollerante verso ambiguità e sfumature che la vita presenta ogni momento. Quanto di questo sia dovuto alla rivoluzione dell’informazione rimane da scoprire.
Protagonista della rivoluzione…l’informazione?
Quel quid ineffabile e immateriale, unico comun denominatore soggiacente alla realtà? L’informazione ha delle proprietà quantitative: i dati informativi si possono sommare e sottrarre. Qual è l’origine dei dati? E’ il mondo della percezione sensoriale, allargato alla misura digitale di quanti parametri e variabili sia possibile immaginare con le sempre più sofisticate strumentazioni. Ogni qual volta c’è mancanza di uniformità, tutte le volte che sia possibile fare una distinzione, avere una differenza tra due valori, viene generata una informazione. Poi essa è codificata in una sequenza ordinata di 0 e 1. Di qui è breve il passo per affermare che l’Universo sarebbe composto da dati informazionali concepiti come vasti domini di differenze. Da qui si può proseguire con il modello computazionale dell’Universo, cioè l’idea dell’Universo come computer cosmico che processa dati.
Non dobbiamo meravigliarci che si ritenga cruciale il ruolo giocato dall’informazione nella genetica e in generale nella vita. Sarebbero istruzioni di informazione per guidare e controllare lo sviluppo degli organismi. Allora un sistema vivente sarebbe un ente informazionale capace di scambiare informazioni al fine di conservare la propria esistenza e riprodursi.
Tutto ciò è una visione unilaterale, le cui origini rimontano all’ideale scientifico di esprimere tutta la straordinaria ricchezza del mondo naturale mediante misura, peso e numero.
“Una collina di cui non si conosce l’altitudine è una offesa per la ragione e mi inquieta. Senza esaminare costantemente la propria posizione, nessun uomo può progredire. Non si lascia ai margini del proprio cammino un mistero, per quanto insignificante.” ** Ecco la visione romantica della scienza ai primi albori.
Comunque, nel secolo XIX il mondo da esplorare veniva considerato una varietà infinita di oggetti elementari su cui operare con operazioni intellettuali. Ora l’infosfera e la digitalizzazione riducono al minimo l’immagine di quella vasta diversità: due soli termini contrapposti. Indistinguibili in principio i bit della codifica del conto in banca, da quelli che codificano il battito cardiaco, o da quelli della navigazione satellitare. L’infosfera omologa e appiattisce la visione del mondo.
Protagoniste della cosiddetta rivoluzione, a mio parere, sono invece correnti spirituali ben delineate e già attive nella rivoluzione scientifica. Esse hanno ispirato il nostro pensare preciso, aguzzo, razionale. Grazie ai loro impulsi abbiamo sviluppato l’intelletto, il pensare astratto e la cognizione razionale basata solamente sui processi sensoriali.
Ma allo stesso tempo hanno promosso in noi l’illusione che la materia sia l’unica ed ultima realtà, rinforzata dalla magia delle tecnologie che si sono susseguite in una crescita inarrestabile, artefici delle varie rivoluzioni industriali.
L’intelligenza che oggi appare fredda e distaccata è il prodotto evolutivo maturo di quella che favorì la rivoluzione scientifica dei secoli XVI e XVII.
L’essere interattivo
Un aspetto dell’infosfera è quello di voler riscrivere ex novo la conformazione stessa del mondo a noi circostante, incluso la nostra propria organizzazione, in quanto ora le tecnologie digitali possono penetrare sempre più in ciò che è fuori dalla connessione. Una colonizzazione in piena regola, che cambierebbe lo status degli oggetti e degli enti, siano essi fisici, vitali o artificiali, per aggrupparli nella nuova categoria di essere interattivo. Spiegato in poche parole sarebbe l’internet delle cose, ovvero la possibilità che oggetti quotidiani, corpi, organismi e quant’altro vengano dotati di scambi informativi e messi in connessione. Oltre ai Cyborg che incorporano tecnologie in grado di migliorarne le capacità, si prevedono nuove sfere di interazione, nuovi elettrodi, nuovi chips e nuove onde a più non posso. Ci si può chiedere anche se il consumo di energia richiesto dagli sviluppi dell’Infosfera sia compatibile con i piani di riduzione delle emissioni nocive all’habitat della Terra, osservando come la nostra specie sia divenuta sempre più avida di energia a seguito delle rivoluzioni industriali, e considerando che l’intelligenza artificiale e le reti digitali oggi come oggi assicurano sì gratificazione sociale, ma a un costo energetico già ora molto elevato.
L’essere “interattivo” fa uso di dispositivi e tecnologie basati su un uso crescente di programmi ed applicazioni, e poi di interfacce artificiali per le connessione. Oggi non ci sorprendiamo più di tanto per le innovazioni tecnologiche, e nessuno può più rendersi conto del senso di novità assoluta che invenzioni passate suscitavano nei nostri antenati. Le invenzioni sono state come giochi di prestigio capaci di fascinazione durevole sulle coscienze. E di preparare il terreno.
Affidabili e stupefacenti.
Possiamo ricordare per esempio la macchina di stampa, un congegno meccanico ingegnoso ed ammirevole, in cui si apprezza lo spirito inventore che vi si è profuso. La stampa è una invenzione che ha contribuito a modificare la natura dell’intelligenza. Queste lettere riprodotte meccanicamente nei tipi, abilmente combinate nella sequenza stabilita, ad arte frammentate e continuamente ricomposte, contengono qualcosa che affascina, qualcosa che da secoli ha gettato un incantesimo sulla mente moderna. I caratteri mobili della stampa con le loro infinite combinazioni meccaniche sono lì e fanno capolino, quali araldi precursori della concezione meccanicistica. Le lettere sono intercambiabili nella composizione delle parole, la parole sono intercambiabili per la composizione delle frasi.
Qualcosa si guadagna con l’avvento del libro stampato, ma qualcosa si perde. La rivoluzione scientifica di Copernico, Bacone, Galileo, Keplero, Newton ne trarrà la spinta di cui ha bisogno per diffondersi. La diffusione della cultura ne trae una spinta poderosa, mentre processi sottili avvengono sotto la soglia della coscienza. La stampa a caratteri mobili annuncia la visione materialistica del mondo e la percezione meccanica dell’ordine delle cose, quell’ordine rigoroso e ripetitivo, basata sulla reiterazione dei movimenti della macchina.
Allora si comprende come di lì a poco Bacone chieda all’Umanità di vedere nella “parola” soltanto un idolo, non più lo spirito e il Verbo ormai spento del passato, ma un idolo. Il nostro linguaggio, insinua Bacone, è composto di sole parole, ed in esse si è perso lo spirito che ancora aleggiava nel passato. L’opacità e l’oscurità gradualmente si sono diffuse ed è necessaria una vasta riforma della scienza che parta da dati oggettivi.
Nella dottrina degli idoli si sancisce l’oscillazione che ha luogo all’inizio della rivoluzione scientifica, la inarrestabile tendenza ad avere fiducia nell’osservazione sistematica del mondo esterno. Bacone magistralmente riduce il pensiero a parole, le parole a lettere, e le lettere a sequenze ordinate di soli due digiti, ‘a’ e ‘b’, come egli usava fare nella crittografia delle sue missive private nella vita politica. E’ il principio basico della comunicazione digitale. Nelle macchine tessili della prima rivoluzione industriale se ne trova una iniziale applicazione con le schede perforate.
Oggi tutto ciò ci è divenuto familiare. Ma, per fare un esempio, la musica e la voce registrate non sono altro che una meccanizzazione di ciò che viene a noi, come ombra dello spirito. Il bambino impara a parlare attraverso una strabiliante prestazione animico-spirituale che si riflette nel petto, nel respiro. E’ tutto un processo che si svolge nella vita dei sentimenti e nei moti dell’anima. L’inizio del processo si dà con l’emissione del primo grido e poi dei successivi. Ecco l’inizio: gridare e dimenarsi. Si osserva la disposizione a parlare, poi l’esercizio e l’imitazione sviluppano la funzione, che l’educazione porterà a termine. Il linguaggio che usiamo quando parliamo porta con sé una conoscenza molto maggiore e una carica emotiva più ricca di quella che possediamo a livello cosciente. Ne moltiplica l’eco. L’arte drammatica e della parola, la musica e il canto ce lo insegnano. La registrazione e la trasmissione a distanza smorzano quell’eco e ci restituiscono una pallida ombra, siamo chiari. Il linguaggio è quello che ci fa sapere che parlando ci intendiamo col nostro simile. Intendersi è appunto tendere verso l’altro, prestare attenzione, non solo comprendere.
Il linguaggio esisteva molto tempo prima che si trovassero alfabeti atti a trascrivere le parole. Le parole sono convenzionalmente fatte di lettere, perché queste ultime sono solo una trascrizione per l’articolazione del linguaggio. Le lettere, vocali e consonanti, non sono altro che convenzioni simboliche. Ma noi tutti non parliamo della stessa forma, né ripetiamo parole con la stessa tonalità ed enfasi. Nel linguaggio confluisce il pensiero ma anche il sentimento, il linguaggio è un atto creativo infinitamente vario e vivente. Una parola pronunciata nella sua ricchezza non è riducibile ad una sequenza di lettere sul foglio o sullo schermo. Quello che facciamo con la scrittura è un assemblaggio fisso e convenzionale di segni dell’alfabeto. Un analfabeta può parlare molto bene, ma le lettere significano per lui solo segni. Quando apprendiamo a leggere e scrivere, impariamo ad associare le scheletriche sequenze di lettere con il linguaggio parlato. Quando leggiamo, noi stessi pronunciamo internamente parole che generiamo da noi, associandole alle sequenze.
Dal canto suo, la parola stampata fondata sull’alfabeto fonetico ha permesso alla lingua parlata di estendersi nello spazio e nel tempo, dunque ha dato il fondamento alla nascente concezione meccanicistica, ciò che appunto si svolge sulla trama dello spazio e del tempo. Cambia la geografia mentale.
La prima rivoluzione industriale di lì a poco si baserà sul motore a vapore e l’impulso al settore tessile, metallurgico ed estrattivo. I miglioramenti nell’arte di tessere realizzati nei telai del secolo XVIII condurranno al lettore di carta perforata per eseguire la tessitura voluta, dove la posizione di ogni riga ed ogni colonna sta ad indicare numeri diversi che informano la macchina-telaio sui movimenti da fare in sequenza. Questi dispositivi manipolano entità intellettuali quantificate, infatti non c’era nulla di analogo che potesse essere trovato in natura. Erano fabbricati con l’ausilio di componenti allora usuali come cilindri, ruote dentate, ingranaggi, quindi mossi con energia meccanica.
La prima macchina calcolatrice di Babbage (1815-1852) aveva lo scopo di rendere automatico il calcolo mediante polinomi delle funzioni matematiche per i calcoli astronomici. Il primo calcolatore risale al 1880 e fu usato per il censimento negli USA, si basava sulla rudimentale lettura del codice per mezzo di impulsi elettrici che stabilivano contatto quando nella scheda c’era un buco. Fu uno sviluppo basato nella tecnologia dei telai da tessitura, e la compagnia fu nel 1896 chiamata IBM.
La storia delle prime macchine da calcolo si va intrecciando con la storia delle invenzioni relative alla scoperta dell’elettricità, le prime applicazioni nella produzione di energia elettrica e la realizzazione dei motori elettrici. La disponibilità dell’elettricità permetteva superare le limitazioni dovute all’uso di energia meccanica per la enorme versatilità delle applicazioni. E’ interessante osservare come la tecnologia che porta al calcolatore computer e le prime applicazioni dell’elettricità appaiano indipendentemente l’una dall’altra, ma in simultaneità sorprendente, e vadano presto fondendosi.
L’elettricità quale fenomeno indagato risale alla fine del Secolo XVIII e passa per una serie di sviluppi preliminari nel secolo XIX, fino a presentarsi come una specie di “sostanza” a tutti gli effetti valida per unirsi alle funzioni richieste dai primi calcolatori elettrici e tante altre applicazioni, come il telegrafo, il telefono, il fonografo, la radio trasmissione senza fili e non ultima la lampadina a bulbo, ovvero la magica luce elettrica, come ancora oggi la chiamiamo. Lo stupore che accompagna tante applicazioni rafforza enormemente la ammirazione nell’intelligenza che vi è profusa, e non si può fare a meno di considerare il contenuto intellettuale chiaro e freddo che vi è stato impresso.
Quanta energia spirituale è stata convogliata nelle tecnologie! Enormi forze spirituali sono state impiegate nelle grandi scoperte ed invenzioni dell’epoca moderna. Quante forze sono state materializzate e cristallizzate per così dire, per realizzare benefici materiali ed accrescere commerci e scambi! Movendo dal suo pensiero l’essere umano ha costruito i meccanismi, ha disegnato i circuiti, ha programmato le macchine. Avendoli costruiti ha inserito il suo intelletto nei meccanismi, ha fatto fluire il suo spirito nella materia. E’ materia organizzata, per così dire.
Come altro esempio, il fonografo e il grammofono inventati negli anni ‘80 del secolo XIX ci mostrano la meccanizzazione del suono mediante la riproduzione acustica su disco o su cilindro.
Basti vedere in un Museo della Tecnica i primi fonografi ed i primi grammofoni ed ammirarne le membrane, le leve, gli imbuti, le punte, i solchi, i dischi ed i cilindri ruotanti, i movimenti rotatori e di traslazione, per convincersi del trionfo della meccanizzazione e contemplare l’ingegno dell’inventore, dunque del suo spirito profuso ed incarnato nella materia obbediente. Ben presto si ottenne la riproduzione udibile e fruibile. Alla fine del secolo XIX sembrò magia udire la musica riprodotta, un incantesimo emozionante che si aggiunse alla meraviglia precedente del telegrafo ed ora anche del telefono. La magia della trasmissione della voce a distanza! La registrazione sonora iniziò come una serie di processi meccanici e rimase tale fino a quando una serie di invenzioni nel campo dell’elettronica rivoluzionò le tecniche, senza modificarne gli aspetti.
Ci si può chiedere ingenuamente a questo punto: L’uso di tante forze spirituali ha significato progresso spirituale? Non è cresciuta invece a dismisura l’illusione pertinace di essere circondati esclusivamente dalla materia, immersi in essa ed ad essa devoti? Se è così, se tanta energia spirituale è stata impiegata e viene continuamente investita per farci immergere sempre più nella materia, dovremmo cercare di impiegare altrettanta energia spirituale per ristabilire coscientemente il contatto con lo spirito.
A loro volta, i film hanno un effetto in particolare sul sistema sensorio. E’ un fatto che l’intera costituzione umana animico-spirituale ne viene stimolata ritmicamente. In un certo senso, il film è un mezzo esterno che intesse sottilmente il materialismo nelle abitudini percettive degli spettatori. Una esagerazione?
La cinepresa è una macchina che registra una sequenza di immagini fotografiche in rapida successione temporale su una pellicola. Lo spettatore percepisce come una scena in movimento la sequenza di immagini. Il cervello esegue un’operazione di “assemblaggio” dei singoli fotogrammi, interpretandolo come un movimento. Il movimento viene frantumato in tanti fotogrammi che scorrono nella ragione di 18 o 24 al secondo in rapida successione, e percepito come “naturale”. Nel caso dei filmati video, con tecniche sofisticate ogni fotogramma viene suddiviso in due semi quadri interlacciati, cioè vengono visualizzate prima solo le righe dispari dell’immagine, poi solo le righe pari. Anche se ogni riga è aggiornata tante volte al secondo dipendendo dello standard televisivo, ogni zona è tracciata due volte.
Una visione unilaterale
Sembrerebbe una riprogrammazione del nostro sistema sensoriale e del cervello questo spezzettamento costante dei movimenti, impercettibile alla nostra coscienza ordinaria ma non meno pregiudiziale, quando guardiamo la televisione o assistiamo a una proiezione. Da almeno tre o quattro generazioni c’è questa esposizione. Le tecnologie hanno tutti gli aspetti di una discreta, sottile manipolazione. E’ ora di comprendere come riportarci alla realtà, senza rifiutarle, senza esaltarle. La storia esterna delle tecnologie è solo una visione unilaterale.
Quello che concepiamo come scienza si mette in relazione col mondo così come un fantasma si mette in relazione alla realtà. Infatti in epoche remote gli esseri umani si formavano una certa concezione del mondo spirituale attraverso i fantasmi. I fantasmi non erano il mondo spirituale, ma un suggerimento a ricordarsi di esso e a ritrovarlo. Ma oggi non è più il mondo spirituale che interessa, ma il mondo della materia. Ora abbiamo dei concetti scientifici che sono appunto dei fantasmi, ed essi non posseggono la realtà completa ma sono solo dei segnali stradali che indicano il cammino verso una meta ancora da raggiungere.
Il ponte tra ordinamento fisico e mondo spirituale.
Una prima conclusione riguarda le reti vegetali***, paradigma che si fa strada da pochi decenni e contrasta col precedente della macchina. Due aspetti delle reti vegetali sono la riproduzione e l’atto cognitivo come fondamenti della vita vegetale. In particolare, nel processo diffuso di cognizione tutte le cellule di un organismo vegetale sono coinvolte nella generazione e produzione di segnali naturali. Le piante potrebbero, secondo queste ricerche, essere considerate come una specie di cervello diffuso. In questa rete cooperativa, la cognizione diffusa come si sviluppa? Ammessa la sua esistenza, la rete non è una cosa in sé conclusa, ma va studiata nella sua evoluzione, con il fine di conoscere la sua origine. Ci appare allora come un mondo unitario, ma non uniforme. E che si osserva? Il continuo scambio di segnali riflessi nella struttura della rete, volto alla sua sostenibilità nell’ambiente. Qualcosa di generale che si esplica nel particolare e gli conferisce l’aspetto unitario.
E’ la Creazione.
Questa generalità si chiama volontà operante e saggezza operante, quale collaborazione di forze diverse, cosmiche e terrestri, sottili ed eteree eppur capaci di sostenere la vita. Quello che veniva visto emergere dalla Terra, già nei tempi antichi veniva chiamato “vigore”, forza. Vi agisce come volontà. Si chiamava invece “bellezza” ciò che ci forma dal Cosmo. Dalla feconda combinazione dei due principi si vedeva sorgere la “saggezza”.
La scoperta della cognizione diffusa non può sorprenderci, in quanto l’osservatore si avvale di un metodo rigoroso ed esatto che non contraddice quel genere di conoscenze che fu proprio del passato, ma lo reinterpreta nel linguaggio contemporaneo. Sono gli stessi scienziati che lo rivelano nel loro lavoro abnegato, anche se non ne hanno spesso coscienza. Infatti contemplare a fondo come fa lo scienziato il mondo vegetale, quel prato, quel bosco, quella foresta o piantagione, significa per lui una specie di attivazione interiore, di mobilità, al momento della osservazione. Quel mondo dei sensi con l’aspetto del vegetale rigoglioso, esuberante, o pur in ripiegamento e deperimento, diviene per lui una marea di volontà differenziata nel modo più vario, un vigore che invade la sua anima mentre contempla e pensa. Non è percepita così quella esuberanza, quel germogliare, non è difetto e ripiegamento di volontà quel rinsecchire, quel marcire?
Non è un frammento della Volontà generale quello sbocciare della gemma, quella tenera fogliolina, quel timido fiore, quel frutto carico di semi, dunque di futura vita? E quella volontà, quel vigore che anima i gesti del ricercatore mentre svolge i suoi riti, non è sorella maggiore e individualizzata di quella che agisce nella rete?
Egli contempla le sue reti vegetali e scopre per mezzo dei suoi concetti che la rete è pervasa da saggezza operante. Proprio così! Di fronte al mondo dei sensi egli penetra nel mondo del nascere, crescere e deperire, e contempla la saggezza che è attiva dietro ai fenomeni. E’ quello che viene scoperto, la miriade di processi che vengono definiti col nome suggestivo di atti cognitivi.
Qui nuovamente va afferrato il fattore generale che agisce e ordina i fenomeni manifesti che il neuro biologo scopre e descrive. In un certo senso lo scienziato già accenna all’occulto che c’è dietro i fenomeni, quando ci parla di intelligenza diffusa e di atti cognitivi. C’è stato bisogno di riverenza davanti al fluire dell´anno, al cospetto dei processi naturali, ai cicli ed ai ritmi. La meraviglia, il sentimento di riverenza e consonanza davanti ai fenomeni del mondo vegetale. Scoprire i processi cognitivi, descriverli, parlarne, è frutto di una postura che di per sé accetta la possibilità della Creazione, lasciando che i fatti parlino da soli e aggiungendo i concetti corrispondenti.
Va detto che la saggezza che lo scienziato introduce nei suoi concetti non è però la saggezza operante là fuori, ma è saggezza pensata, astratta. Essa è collegata con la vita vegetale, ma lì si distacca dalla realtà. Vediamo come succede. Oltre al rapporto dello scienziato col mondo vegetale che si dà nel sensibile, ce ne è un altro, che non entra nella sua coscienza abituale ma esiste come vivente connessione super sensibile tra la sua anima e l’oggetto osservato. Ma ciò che di vivente esiste nello scienziato a causa di questa connessione viene smorzato e indebolito a concetto nella sua organizzazione razionale. Quello che ci racconta lo scienziato, l’atto cognitivo e quant’altro, è una rappresentazione astratta, seppur carica di significato. E’ il reale che si è spento per essere presente come immagine nella sua coscienza abituale in cui vive con la percezione dei sensi.
In altre parole, la realtà dà allo scienziato e a noi come lui qualcosa di vivente. Noi soffochiamo di questa realtà vivente quella parte che cade nella coscienza abituale. Lo facciamo perché se dovessimo sperimentare in tutta la vitalità il rapporto col mondo esteriore non potremmo giungere all’auto coscienza. Senza l’indebolimento di questa vitalità ci sentiremmo membri di una unità più grande, organi di un organismo più grande. Sono le attuali condizioni di sviluppo della nostra anima che esigono lo smorzamento nei concetti astratti del rapporto vivente col mondo. Questo smorzare si dà con ogni percezione sensibile, e si ha a che fare quindi con rappresentazioni spente, ma la vita di rappresentazione non viene perduta, perché conduce la sua esistenza nelle sfere non coscienti dell’anima, fino ad essere ritrovata dagli organi spirituale attraverso l’immaginazione spirituale.
Per un ente solamente sensoriale esiste appena il lato esterno della Natura, mentre la vera forma di essa si rivela nella mente umana. In altre parole, la Scienza ha qui un ruolo fondamentale, quello di essere in qualche modo la conclusione dell’opera della Creazione. Il pensiero è l’ultimo componente nella sequenza di processi che formano la Natura. Una concezione del mondo deve prendere le mosse dall’essere umano. Non un inizio astratto, ma proprio l’ultimo elemento sorto fornisce il giusto principio di conoscenza del mondo. E’ proprio del Creatore incominciare dall’inizio. Chi invece vuole conoscere come si propone lo scienziato, incomincia con qui ed ora. Il suo pensiero e la sua volontà trovano eco nella saggezza e nella volontà operante nella Natura, non potrebbe essere altrimenti. C’è una profonda affinità.
Etica ed infosfera
La seconda riguarda la sconcertante idea che nell’infosfera l’informazione sia il punto di partenza per riconsiderare l’etica. Il dovere e il bene sarebbero intesi come contributo attivo e cosciente alla crescita dell’infosfera, e ogni condizionamento negativo sull’infosfera, ogni perplessità, ogni critica sarebbero il male. L’idea è sconvolgente perché ipotizza che la tecnologia di punta possa dettare regole morali. La posizione centrale assegnata agli esseri connessi in rete prevarrebbe per esempio sulle azioni volte alla cura e la conservazione dell’ambiente globale per preservare gli ecosistemi e le specie viventi del Pianeta. Le posizioni critiche rispetto alle tecnologie da parte di chi difende l’ambiente globale dovrebbero retrocedere nella ipotesi che i problemi ambientali siano risolubili con il progresso dell’infosfera. Qui c’è in ballo il difficile approccio a ciò che consideriamo autentica dimensione della vita umana, in che misura essa debba essere mediata dalla tecnologia, viste le tante conseguenze pregresse delle precedenti rivoluzioni industriali.
Si tratta di un goffo tentativo di inversione di marcia rispetto alla tradizione culturale che vuole separate la sfera naturale da quella morale. Finora le scienze naturali hanno cercato di eliminare l’elemento morale dal loro studio, e la moralità si è abituata a sentirsi confinata in una sfera che non si sostiene su elementi fisici materiali. Le confessioni religiose sono finora generalmente venute ad un tacito compromesso con le scienze naturali, per mantenere separate le due sfere.
Nell’ottavo Concilio Ecumenico del 869 di Costantinopoli fu abolito lo spirito, e da allora in poi si insegnò che l’essere umano è solo corpo e anima, e che l’anima ha solo alcuni attributi spirituali. La corporeità fu poi consegnata alla libera scienza e la Chiesa Cattolica pretese con successo che le anime restassero sotto il suo esclusivo dominio e tutela. La scienza completamente relegata a considerare il corpo diventò materialista. Se si porta alle ultime conseguenze la concezione materialista del mondo, da una esplosione primordiale la quale poi per successive evoluzioni e differenziazioni avrebbe fatto derivare i vari Regni fino all’essere umano ci si ritroverebbe alla fine del mondo con qualcosa di puramente materiale.
Ma allora quello che l’Umanità ha generato come ideali e morale andrebbe perduto e cancellato e vi sarebbe solo il vasto cimitero del mondo fisico, una scoria in cui si sarebbe smarrito quanto è sorto nelle anime. Finora il mondo naturale e quello morale si sono tenuti distanti e separati, da un lato un ordinamento del mondo che esclude la morale, dall’altro la fede di chi ammette l’esistenza di un potere supremo a cui affidare la ricompensa futura del bene e la punizione del male.
Ci sono alcuni scienziati, è vero, che nelle loro ricerche intravedono il passaggio dalla conoscenza materiale a quella spirituale, proverò in un prossimo articolo a parlarne.
Ma la proposta di considerare l’infosfera fulcro della morale tecnologica appare paradossale e rozza per certi aspetti. E’ indicatrice di una tendenza che vuole affermare il primato dell’intelligenza artificiale e della manipolazione della materia; appare quindi futile ogni tentativo di comprendere questa strategia con la mentalità materialistica. Ci troviamo di fronte a un gioco sulle condizioni umane e c’è necessità del consenso umano. Le mutate condizioni dell’anima fanno sì che non siamo più vittime innocenti e inconsapevoli della illusione, ma possiamo scegliere la nostra affiliazione e la nostra etica da soli a partire dalla libertà dell’Io. Prima che sia notte.
Abbiamo crescenti poteri cognitivi. Abbiamo raggiunto lo sviluppo della individualità, solo le forze coscienti della individualità e dell’Io ci possono guidare verso la comprensione del momento attuale. Se continuiamo a fantasticare sull’orgoglio tecnologico e sui poteri che abbiamo, sugli altri pianeti da raggiungere e colonizzare-dopo aver quasi distrutto la Terra- siamo liberi di farlo, ma saremo aperti ad invasioni su altri piani. Personalmente diffido delle posizioni filosofiche che promuovono una logica stringente di necessità materiale ed orgoglio tecnologico. Non voglio andare più a fondo nella materia, più di quanto non lo sia nella mia incarnazione, e proprio nel momento in cui è richiesto un atteggiamento opposto. Ripudio una sopposta morale che discrimini sull’appoggio o meno alle tecnologie di punta. Una motivazione della moralità si può trovare soltanto nel mondo spirituale, prendendo parte della vita spirituale per mezzo della intuizione nel pensiero puro e portando a coscienza questa partecipazione.
Libertà e moralità
Accenno brevemente al tema dell’individualismo etico. Libero è l’essere umano quando in ogni momento è in grado di ubbidire a sé stesso. Io non domando a nessuno, e neppure a un codice morale, se debba compiere quell’azione, ma la compio appena ne ho concepito l’idea. Mentre agisco, mi muove la linea di condotta viva e a me rivelata intuitivamente; essa è legata con l’amore per l’oggetto che voglio realizzare per mezzo della mia azione. Se una persona agisce soltanto perché riconosce determinate norme morali e di comportamento, la sua azione risulta da principi inseriti nel suo codice morale. Egli è a ben vedere un esecutore, un automa di ordine superiore. Appena stimolato, l’ingranaggio dei suoi principi morali si mette in moto e compie il suo corso regolarmente per compiere un’azione cristiana, musulmana, umanitaria, altruistica, o per il progresso della civiltà, o a favore dell’infosfera.
Soltanto quando seguo il mio amore per l’oggetto della mia azione sono Io stesso che agisco. Qui non riconosco nessun principio sopra di me, né autorità esterna. La mia azione sarà buona se la mia intuizione immersa nell’amore si trovi situata nel giusto modo nel mondo delle idee da sperimentarsi intuitivamente. Altrimenti sarà cattiva. Agisco come Io, quale individualità, mi vedo stimolato a volere. Mi guida il mio amore per quell’azione, non il costume generale, o una massima umana, o una norma morale. Non sento la costrizione della Natura che mi vuole dirigere con i suoi impulsi inferiori, né la costrizione del comandamento morale.
Solo un atto volitivo che nasce dall’intuizione può essere individuale. L’impulso cieco che spinge la persona al delitto non nasce dall’intuizione e non appartiene a quello che è più individuale, ma invece a quanto in lui vi è di più generale nella natura inferiore. Per i miei istinti e impulsi Io sono un essere come tanti altri; per la forma particolare dell’idea per cui mi designo come un Io, sono un individuo. Mi distinguo Io stesso dagli altri per il riconoscimento dell’elemento ideale che vive in me. L’intuizione consiste nel domandare dell’essere umano e del rispondere del mondo spirituale; solo che si deve reimparare continuamente a porre le domande e a comprendere le risposte. L’infosfera va valutata momento per momento e caso per caso. Questo scritto non è frutto di nessuna costrizione ma è di libera scelta.
FILOTEO NICOLINI
(Studio basato sull’intera opera di Rudolf Steiner)
*Luciano Floridi, La rivoluzione dell’informazione, Codice Edizioni, Torino 2012; Pensare l’Infosfera, Raffaello Cortina Editore, 2020)
**Daniel Kehlmann, La Misura del Mondo, Feltrinelli 2019. La citazione è attribuita ad Alexander Von Humboldt (1769-1859)
***Fritjof Capra e Stefano Mancuso, Discorso sulle erbe. Dalla botanica di Leonardo alle reti vegetali, Aboca Edizioni 2019.
Illustrazione: Remedios Varo, Magic Flight or Zamfonia.


