Fonte: Globalist
Perché Elly Schlein è l’ultimo metrò per il partito democratico
Il programma di Elly Schlein va dalla lotta alle diseguaglianza, al salario minimo, alla tutela dei diritti, alla vicenda dei migranti, al superamento del precariato e all’attenzione speciale per le generazioni giovani
Il ciclone Schlein è entrato nel convento del partito democratico. E di convento pagano si tratta, visto che non sono ammesse laggiù eresie se non organizzate in correnti di sua maestà. Negli ultimi anni, dopo il sogno originario di Romano Prodi e Walter Veltroni, e il tentativo non riuscito di Pier Luigi Bersani di tornare ad un’organizzazione di ispirazione socialdemocratica, la parabola si è curvata verso il basso.
Nei giorni costituenti ci furono posizioni diverse, tese a proporre alternative (una federazione o cose simili), che non spegnessero a tavolino storie, memorie, identità.
Con brillante definizione, è stato detto che si passò dalla necessaria cultura di governo – volta a rompere con le vecchie routine estremiste- al governo come cultura. Infatti, persino al di là di ogni pur funerea previsione, il partito democratico è riuscito a stare nelle stanze del potere esecutivo comunque: gialli, verdi o tecnici che fossero i partner.
La giovane deputata ed ex vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, in cui governa il principale antagonista Stefano Bonaccini, entra in scena con il fioretto ma con disinvolta durezza.
I contenuti manifesti sono netti: dalla lotta alle diseguaglianza, al salario minimo, alla tutela dei diritti, alla vicenda dei migranti, al superamento del precariato e all’attenzione speciale per le generazioni giovani. Un’assenza: il capitolo cruciale della guerra, appena lambito, forse per la presenza vigile di non pochi esponenti di un partito schierato con la Nato senza soverchie differenze tra le cosiddette aree.
Comunque, per chi fosse interessato, l’elaborazione della Schlein si ritrova in un interessante libro (La nostra parte, 2022), in cui si sintetizzano le proposte. Certamente, pur con tanta simpatia, è lecito sottolineare che, fuori da ogni sciocco dogmatismo, si sente la mancanza di Marx. Va sottolineato non per spirito settario o retrogado, bensì per una considerazione attualissima.
Proprio la forza d’urto della candidatura, il suo essere possibile riferimento dell’universo digitale inteso come campo conflittuale lontano dalle coordinate del novecento, ha bisogno di declinare innovazione e modernità con la realtà del capitalismo delle piattaforme e dei modelli aggiornati dell’accumulazione. Se no, il dramma del precariato, dell’odierno schiavismo e della solitudine individuale rischia di apparire una mera – fredda- diagnosi di una crisi.
Insomma, citiamo Marx come criterio analitico, per evocare l’urgenza di una teoria politica adeguata a cercare di sovvertire l’ordine esistente. Il buon movimentismo non basta.
Comunque, per chi voterà o solo assisterà interessato, tanti sinceri auguri: occupy pd, questa volta sul serio.


