Il giusto posto di Ratzinger

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Joseph Ratzinger
Le macchine che sono state costruite impongono la stessa legge che era adottata nei campi di concentramento. Secondo la logica della macchina, secondo i padroni della macchina, l’uomo deve essere interpretato da un computer, e questo è possibile solamente se l’uomo viene tradotto in numeri. La Bestia è un numero, e ci trasforma in numeri. Ci sono tentativi di costruire il futuro che assumono una configurazione sempre più definita, che va sotto il nome di Nuovo Ordine Mondiale. Trovano espressione sempre più evidente nell’ONU e nelle sue conferenze internazionali che lasciano trasparire una vera e propria filosofia del mondo nuovo. Questa filosofia non ha più il carattere utopico del Marxismo, al contrario fissa i limiti del benessere raccomandando ad esempio di non preoccuparsi della cura di coloro che non sono più produttivi. Questa filosofia non si aspetta che gli uomini siano pronti a fare sacrifici per raggiungere un benessere generale. Al contrario, propone strategie per ridurre il numero di commensali alla tavola dell’umanità affinché non venga intaccata la pretesa felicità di taluni. Il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Non si possono minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha a disposizione».
– Joseph Ratzinger –
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Quel ragazzo che voleva farsi prete. Il giusto posto di Ratzinger

di Marco Tarquinio su Avvenire

Per lui, ragazzo che voleva farsi prete, non doveva proprio «esserci posto» nel mondo nuovo progettato dai nazisti. Joseph Ratzinger, quasi ottant’anni fa, se lo sentì dire in modo sprezzante da un ufficiale hitleriano. Si sbagliava quell’uomo, mentre quel ragazzo sapeva dove andare e Chi seguire.

Nelle ultime ore terrene, mentre si accingeva all’incontro, faccia a faccia, con il Signore della vita, di tutta la sua vita, è possibile che anche questo ricordo abbia fatto compagnia a Benedetto XVI. Da sereno e forte oppositore di ogni relativismo assoluto, proprio lui ci ha insegnato che nulla c’è di più relativo, cioè di più fragile, della titanica pretesa di “uccidere” Dio e di sostituirlo con l’arrogante e spesso violenta ambizione dei poteri di questo mondo. Per questo da gran teologo e da pontefice ha sempre invitato tutti a vivere etsi Deus daretur, come se Dio ci fosse, smisurata «misura» che ci aiuta contenere e convertire il male, anche orribile, di cui siamo capaci e a fare il bene che ci sospinge a realizzare la nostra personale e comunitaria umanità. E a farlo con coraggio, sapendo anche stare creativamente in minoranza, oltre gli slogan, il cinismo, ogni strumentalizzazione e manipolazione dell’umano.
Già, non doveva «esserci posto» per lui, e per quelli come lui, seguaci non di orgogliose e terribili croci uncinate o di altre feroci esaltazioni totalitarie, ma dell’Uomo della Croce. E, invece, per lui c’è stato posto, e che posto! C’è stato posto nella Chiesa che ha amato con gioia senza riserve ma anche con dolore per «tradimenti» e «sporcizia» (dalla pedofilia al carrierismo) . E c’è stato posto nel mondo a cui ha saputo parlare, nonostante incomprensioni e pregiudizi culminati nelle porte incredibilmente sbarrategli dall’Università di Roma, usando la sua immensa e gentile forza intellettuale, dedita alla chiarezza e al dialogo. C’è stato posto nella decisiva stagione conciliare, prima, e poi nel lunghissimo e fedele servizio accanto a Giovanni Paolo II. C’è stato posto, come padre e maestro di coloro che sono tenaci nella Speranza che salva e innamorati dell’Amore che è Dio e senza il quale non c’è Verità. I capisaldi, per il Papa che si definì «umile lavoratore nella vigna del Signore», di una fede cristiana per sempre giovane e che sarebbero diventati anche titoli di sue Encicliche, culmine di un lungo e straordinario magistero. Già perché quel giovane, giudicato, con “profezia” lugubre, «fuori posto» nella società perfetta che i senza-Dio volevano edificare imprigionando l’Altissimo nella fibbia dei cinturoni delle loro divise e in campi e laboratori di distruzione sistematica dell’Altro, il suo posto nel mondo l’ha scelto, onorato e illuminato con ogni parola e ogni atto della propria esistenza. Fino all’appartato studio e all’incessante preghiera degli ultimi dieci anni vissuti al monastero Mater Ecclesiae, nel cuore del Vaticano. Come un’essenziale cripta – vien da pensare – nella gran cattedrale che ha saputo costruire da uomo di fede e di pensiero.

Joseph Ratzinger è stato laico fedele, sacerdote, vescovo, cardinale e Papa della Chiesa cattolica. Il primo, da secoli, a rinunciare al pontificato. E a promettere «reverenza e obbedienza» al proprio successore: parole potenti, su cui forse non tutti hanno riflettuto a dovere, emblematicamente identiche a quelle usate da san Francesco d’Assisi nell’incipit – filiale nei riguardi del «signor Papa» – della regola che stava dando a sé e ai suoi frati minori. Quasi un preannuncio dello spirito che, dopo papa Benedetto e a partire dal suo lascito centrato sulla certezza che la Chiesa serve, e dunque vive e cresce «per attrazione», sta segnando la stagione di papa Francesco.

«Il posto del Papa – confidò Benedetto XVI all’amico giornalista Peter Seewald – è la croce». Joseph Ratzinger ha saputo affrontare il potere e rinunciare a esso, pur in quella forma spirituale e specialissima a cui era stato eletto e che per otto anni ha incarnato. Ma la Croce di Cristo sino all’ultimo istante, ne siamo certi e grati, è stata e restata il “suo” posto sulla nostra Terra senza pace e affamata di giustizia e di verità.

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