Vorrei trattare di ciò che ha radici nell’anima quando si accenna all’idea di dovere e all’idea di diritto. Come orientarci fra questi due campi opposti? Essi evidentemente costituiscono una polarità. Se penso al dovere, e lo intendo come compito, incombenza, responsabilità, sto rivolgendo la mia attenzione a qualcosa fuori di me che mi invade, una norma rigida, un obbligo.
Se mi sottometto al dovere, per esempio un corso di studi intrapreso a scuola, un compito assegnato da finire, un orario da rispettare, ebbene quell’obbligo mi irrigidisce, raffredda la mia anima, mi contrae. Se lo prendo così com’è quel dovere mi intristisce. Lo subisco, divento schiavo, sento il disequilibrio.
Che fare allora? Devo alleggerirmi, trovare una cura per questo squilibrio. Per il dovere vissuto così la cura c’è: consiste…..nell’amare quel dovere. Niente di più complicato a prima vista, perché l’amore è qualcosa difficile da maneggiare e ancor più da riconoscere. Sembra una parola vuota che allude all’inesistente. Eppure, di amore abbia una riserva inesauribile, perché ne siamo stracolmi e pieni a più non posso.
Noi ci amiamo moltissimo, siamo la cosa che più amiamo al mondo anche se non ce ne rendiamo conto. Finché l’amore lo rivolgiamo solo al nostro essere e alla nostra esistenza siamo degli egoisti ben realizzati. Quando allora portiamo fuori questa enorme forza, almeno una parte tanto la riserva è inesauribile, e amiamo il dovere, amiamo quel compito che ci attende, con una intensità pari almeno a quella che dedichiamo a noi stessi, ebbene quel dovere si alleggerisce, il fardello perde peso e rigidità, si allenta la tensione su di noi.
Se invece continuiamo a seguire ciecamente il dovere, se esso arriva a pesarci e ci perseguita, diveniamo vuoti e freddi, nervosi, predisposti all’odio. Ma se al dovere portiamo la forza del nostro amore in sacrificio troviamo l’equilibrio necessario. Qui vediamo all’opera le stesse forze contrapposte a cui si accennava nell’articolo precedente sulle due nostre nature, ora in una modalità diversa facilmente riconoscibile. Sono le forze che contraggono e raffreddano e quelle che dilatano e infiammano.
Tutto ciò è facile e comprensibile, ma ora il problema si sposta sull’educazione all’amore, sul riconoscimento dell’amore come forza primaria e ampiamente disponibile. Dobbiamo educarci a riconoscerlo ben presente nella nostra anima e farne uso. La nostra educazione sia familiare che scolastica amorevolmente potrebbe mettere in prima piano questo mistero dell’amore.
Per quanto concerne il diritto non c’è bisogno di imparare ad amarlo, lo amiamo già ed è assolutamente naturale amarlo. Nel momento in cui rivendichiamo i diritti si fa sentire con forza quella voce che ringiovanisce la volontà, quel fuoco che infiamma. Anche qui c’è uno squilibrio se il fuoco non è compensato dal raziocinio. La dichiarazione universale dei diritti umani è frutto di ponderazione e calma. Se i diritti sono disattesi è un altro discorso.
Se l’amore è fuoco interiore il suo opposto è la calma, la ponderazione. All’agitare un diritto è necessaria la ponderazione e il raziocinio per comprendere ciò che è stato disatteso. Nel comprendere ciò che abita nel mondo e per il quale si infiammano i nostri reclami e i nostri diritti, uniamo quel calore alla freddezza che pur vive nel mondo e comprendiamo ciò che essa è divenuta.
Da un lato sentiamo bruciare la spinta a suscitare qualcosa di nuovo, dall’altra parte impariamo a comprendere le situazioni e il modo in cui esse si sono determinate. L’importante è riconoscere sempre le forze in gioco.


