Fonte: Il Fatto Quotidiano
Sgarbi e il Manetti rubato: “In mostra finì la copia Hd”

L’IPOTESI DI UN’ULTERIORE TRUFFA – I creatori della super-riproduzione: “La foto dell’opera esposta ha alcune linee che nell’originale non c’erano, è la nostra”. I carabinieri lo accerteranno
Come ci hanno anticipato i titolari del G-Lab di Correggio, dove Sgarbi si faceva fare le copie di opere d’arte, i carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio di Roma lunedì busseranno allo stabilimento. Lì infatti Vittorio Sgarbi si era fatto produrre una perfetta riproduzione della famosa Cattura di San Pietro, il dipinto di Rutilio Manetti che Vittorio Sgarbi fece esporre come inedito a Lucca nel 2021. Diceva di averlo trovato nella sua villa a Viterbo, ma risulta invece essere rubato nel 2013. Ieri il Fatto ha rivelato che il confronto tra “l’impronta digitale”, la scansione in altissima definizione utilizzata per la copia commissionata da Sgarbi, e le foto del restauratore cui la fece consegnare tre mesi dopo il furto, lascia pochi dubbi: il dipinto portato a Correggio è lo stesso portato al restauratore, e lo stesso che fu rubato al castello di Buriasco.
Ma allora, tra l’originale e la riproduzione in alta definizione e tre dimensioni fatta produrre, alla fin della fiera, quale avrà esposto a Lucca nel 2021? Il dubbio viene proprio ai titolari dello stabilimento notando un dettaglio che giusto loro potevano riconoscere: alcune righe dovute a un difetto di stampa che nessuno noterebbe, e sono assenti sia nelle foto del restauratore che nelle foto del catalogo della mostra. Si vedrà anche questo nella seconda puntata dell’inchiesta Il valzer della candela realizzata dal Fatto insieme a Report, in onda domenica su Rai3. Questi i fatti.
Durante il sopralluogo, i cronisti chiedono ai titolari di ripetere il procedimento utilizzato per clonare il Manetti ma non sulla scansione dell’originale ma utilizzando direttamente una foto scattata alla mostra “I pittori della luce”, tenutasi nel 2021 e corredata di catalogo. Samuele e Cristian De Pietri replicano tutti i passaggi, avviano la stampa. Quando il carrello si ferma, l’effetto è di un realismo sbalorditivo. I fratelli sono abituati, ma sono increduli pure loro. La guardano, si guardano, e allora offrono un elemento in più. Indicano un punto, il gradino più basso del pulpito su cui si erge il giudice di San Pietro: “Queste sottili linee orizzontali, le vedete? Sono imperfezioni dovute a un difetto di impostazione della nostra macchina che sovrappone alcune linee di stampa in maniera parallela. Le rilevammo subito ma decidemmo di lasciarle perché solo un test doveva essere, non un articolo da esporre o vendere”. In effetti, nessuno le noterebbe. Il motivo di tanto stupore è che il “marchio di fabbrica” si ritrova uguale anche nella foto di Lucca. “A noi quelle linee una cosa sola dicono, che il soggetto esposto non era l’originale, ma la copia fatta qui”. Nei loro occhi corre un lampo di esultanza misto a panico. “Se è davvero così, e nessuno se ne è accorto, vuol proprio dire che facciamo ottime riproduzioni, certo. D’altra parte questa cosa è anche spaventosa, per gli usi distorti che se ne possono fare”.
Vittorio Sgarbi, come al solito, potrebbe obiettare: “Nossignori, non è la foto della mia opera esposta, è un’altra”, ma anche stavolta prenderebbe una cantonata. A lui e al manager della mostra avevamo ufficialmente richiesto di inviarci una foto del dipinto in mostra, senza successo. Giovanni Lettini è il direttore di “Contemplazioni Srl”, la società che l’ha organizzata, allestita e promossa. Risponde via mail escludendo categoricamente che sia stata esposta la riproduzione al posto dell’originale, e tuttavia la foto richiesta non la manda: è arrivato il veto del sottosegretario. “Non possiamo girarvi il materiale fotografico richiesto perché non siamo autorizzati dalla proprietà”, cioè da Vittorio Sgarbi.
Peccato che i cronisti se la fossero procurata da soli. In stampa, infatti, va uno scatto in alta risoluzione (3.480 × 3.132 pixel, 4Mb) fatto il 22 gennaio 2022 alla Cavallerizza di Lucca. L’autore è Francesco Bini, un fotografo dilettante col pallino dei musei. Lo avevamo incontrato a Firenze per recuperare l’immagine e confermare paternità e circostanza dello scatto (“In caso, è a disposizione della magistratura”).
Ma insomma, possibile che Vittorio Sgarbi abbia esposto una riproduzione a Lucca e sia riuscito a ingannare allestitori, critici e visitatori? Sarebbe lo scherzo del secolo o una truffa colossale, secondo i punti di vista. Ma perché farlo? I motivi possono essere diversi, ma una delle ipotesi è che una riproduzione a stampa in altissima definizione come quella fatta produrre avrebbe attenuato i vistosi rattoppi e le manipolazioni che l’originale aveva subito, compresa la candela posticcia, per sembrare quindi meno identificabile con quello rubato. L’indirizzo per scoprirlo i carabinieri lo hanno.
Quella foto in hd che incastra Sgarbi: la sua tela è rubata

Il quadro di Manetti “scoperto” da Sgarbi è lo stesso rubato al Castello di Buriasco. Lo suggeriscono un’infinità di dettagli che combaciano, lo confermano gli esperti. Nel 2021 Vittorio Sgarbi mette in mostra a Lucca la “Cattura di San Pietro”, una preziosa tela che presenta come “inedito” di Rutilio Manetti di sua proprietà. Dice di averla trovata nella sua villa di Viterbo “per un colpo di culo”. Il Fatto scopre però che un identico dipinto era stato rubato al Castello nel 2013, e il testo curatoriale della mostra che ne indicava la provenienza faceva acqua da tutte le parti. “Sono diversi, nel mio c’è una candela, l’altro è solo una copia”, replica il sottosegretario. Quello che non dice, però, è che le copie le faceva fare lui. Ma c’è di più. Proprio il confronto tra la scansione utilizzata per quella riproduzione dell’opera e le foto del restauratore cui l’affidò tre mesi dopo il furto, indica con ragionevole certezza che si tratti proprio della stessa: tela, pigmenti, lacerazioni, rattoppi. Ma la prova regina è il frammento rivenuto sul luogo del furto: si incastra “a pennello” nella versione esposta a Lucca. Tutto questo si vedrà nella seconda puntata dell’inchiesta “Il ritratto di Vittorio” realizzata dal Fatto insieme Report, in onda domenica sera su Rai3.
L’indagine riparte da un piccolo laboratorio nella zona industriale di Correggio, mezz’ora d’auto da Reggio Emilia, in grado di sfornare una sorprendente riproduzione su tela della “Cattura di San Pietro”. Una è stata fatta proprio per Vittorio Sgarbi, che utilizzò lo stabilimento come la sua personale “fabbrica dei cloni”. Lo raccontano foto, video e fatture. Eccolo, infatti, Sgarbi che si aggira nel laboratorio tra il vero Rutilio Manetti e la riproduzione fresca di stampa, ne scruta i dettagli con una torcia. Ma che ci faceva lì? Quali altre opere ha riprodotto e a che scopo? E perché ha taciuto tutto questo?
Siamo andati a Lucca a chiederglielo. Il sottosegretario risponde: “l’ho venduto”. E per levarsi i giornalisti dai piedi chiama la polizia, li fa identificare accusandoli di stalking e si congeda augurando loro una morte prematura. In tutto questo però non acconsente a mostrare il dipinto. In assenza di un’analisi fisica e chimica, l’unico confronto possibile tra le due versioni è di tipo tecnico-fotografico. Anche così, il verdetto è schiacciante: c’è un solo Manetti, ed è quello rubato.
LA FABBRICA DEI CLONI
Lo stabilimento ha l’insegna “G-Lab”, e i titolari sono Samuele e Cristian De Pietri, due giovani imprenditori partiti da una piccola copisteria che stampava tesi che ora gestiscono un centro tipografico all’avanguardia. Hanno investito un milione di euro in macchinari di ultima generazione: uno scanner con braccio di tre metri che monta ottiche a 16k, collegato a una stampante a piano fisso che consente fino a cinque stratificazioni d’inchiostro in un solo passaggio. Da quelle macchine, direttamente su tela e già con il telaio, escono “riproduzioni materiche”, vale a dire a tre dimensioni, così fedeli agli originali che è quasi impossibile distinguerle. Vittorio Sgarbi era di gran lunga il loro cliente più importante. I fratelli esibiscono 20mila euro di fatture pagate da lui. Le ultime a dicembre 2023, da sottosegretario ai Beni culturali.
L’INCONTRO E IL “TEST”
L’incontro con Sgarbi era avvenuto in epoca pre-Covid. Condividono il progetto di stampare una pellicola che resista al virus per applicarla ai banchi di scuola. Lui li porta in Parlamento, si parla di appalti milionari con Arcuri, ma alla fine non se ne fa nulla e la collaborazione prosegue su un’altra strada. “Facevamo stampe per allestimenti fieristici, grafiche e brochure aziendali”, racconta Cristian De Pietri, “con Sgarbi abbiamo iniziato a sperimentare il potenziale dei nostri macchinari nell’ambito dei grandi formati per l’arte. Si avvale anche di una società spagnola, ma il nostro procedimento tutto digitale è più rapido e preciso”.
Il “primo test”, raccontano, fu proprio la Cattura di San Pietro, il dipinto incriminato. “Abbiamo fatto copie digitali anche di altre opere, finché abbiamo percepito che con lui si andava in una direzione della riproduzione che non ci piaceva, per questo abbiamo chiuso i rapporti”, spiega Samuele De Pietri. La conferma arriva oggi: “Per noi erano dipinti qualsiasi, solo quando ho visto la foto del dipinto sul vostro giornale ho realizzato di cosa si trattava davvero, e mi sono venuti i brividi: mai avrei immaginato d’avere tenuto per mesi, qui, un quadro che si sospetta rubato”.
TUTTI AL LABORATORIO
I titolari di G-Lab lo ritirano a nome di Sgarbi ai primi di ottobre del 2020 presso lo studio di una affermata restauratrice di Padova, Valentina Piovan, che l’aveva ricevuta da un incaricato di Sgarbi ad aprile 2019 “già corredato di candela”, precisa. La scansione in laboratorio avviene il 13 ottobre 2020. Un mese dopo, il 22 novembre, Sgarbi si presenta lì di persona. La visita del più acclamato critico d’Italia era la consacrazione del loro lavoro. “Lui invece era interessato a capire il potenziale dei nostri macchinari, fin dove si poteva arrivare. Da lì poi facciamo tanti altri lavori, per diversi musei e in giro per l’Italia”. E mostrano foto e video di quella sera.
Si vede Sgarbi che vagola tra le due versioni dell’opera, l’originale e la copia, posizionate una di fronte all’altra dagli imprenditori proprio per agevolare il confronto. Le scruta da vicino, con la pila in mano, prima una e poi l’altra. A un certo punto guarda dietro il telaio, “l’unico modo certo per distinguere quella fresca di stampa”. Il test è ampiamente superato. Il 12 gennaio 2021 Sgarbi paga una fattura di 6.100 euro a titolo di “consulenza”. “Un prezzo di costo, perché una prova doveva essere, non un articolo da esporre o vendere”. La copia e l’originale finiscono a Ro Ferrarese, sede della Fondazione Cavallini Sgarbi. Nello stabilimento resta però il file della scansione 3D con risoluzione a 1600Dpi. Pesa 52 gigabyte, è l’impronta digitale dell’opera.
L’IMPRONTA E LA CANDELA
Ai titolari chiediamo di ricaricarla a monitor per confrontarla con le foto della versione esposta a Lucca e con quella del restauratore che ci mise mano per primo. Gli strumenti di analisi delle immagini sono armi a doppio taglio. Il software abbinato allo scanner consente il controllo dinamico dell’illuminazione. Aumentandolo, riesce a far risaltare il dettaglio della “cracchettatura”, vale a dire la rete di sottili fratture della vernice antica che nessun copista saprebbe riprodurre alla perfezione, tanto fitta e complessa è la trama.
L’immagine zoomata mostra questi “fili” bianchi ovunque. Attorno alla candela non ci sono, si notano invece in altre parti ugualmente chiare, come il braccio del giudice. “Le conclusioni tiratele voi”, taglia corto Cristian De Pietri, per il quale l’unica spiegazione è che proprio in quell’area la pittura sia recente. La scansione incolore a più livelli evidenzia poi la parte “materica” della pittura che il tempo assottiglia: si notano le pennellate in rilievo, il tratto che sovrasta il fondo, indizio ulteriore di un probabile ritocco. Altri dettagli sembrano innesti posticci.
Il restauratore che per primo ci mise mano è Gianfranco Mingardi. L’8 maggio 2013, tre mesi dopo la denuncia di furto, riceve il dipinto al casello di Brescia. A consegnarlo è Paolo Bocedi, l’ex autista e amico di Sgarbi che nella denuncia della proprietaria viene indicato come potenziale acquirente, al quale però si rifiuta di venderlo. Mingardi conferma ai carabinieri di averlo ricevuto “senza telaio, tagliato e arrotolato come un tappeto”. Al momento di stenderlo per velinarlo, diverse parti risultavano rotte, altre addirittura mancanti. Anche dal confronto tra le foto che fece allora e la scansione in 16k dell’originale balzano all’occhio gli elementi comuni: la vistosa linea orizzontale che corre lungo tutto il dipinto, che è poi la congiunzione tra le tele che il pittore ha utilizzato in origine per fare il quadro, un foro all’altezza del collare del cane, una crepa su una tunica e tanti altri elementi “rattoppati”.
GLI ESPERTI
E allora, è lo stesso quadro? Mostriamo le immagini a due esperti. “Con questi elementi faticherei a dire il contrario, dovrei proprio mettermi le fette di prosciutto sugli occhi” dice Jacopo Carli, restauratore di opere, specializzato nei dipinti su tela dal 300 all’800, che ha sempre lavorato per la Sovrintendenza di Siena. “L’opera risulta ritoccata in più parti, se non proprio ripitturata e con interventi quantomeno discutibili: il restauro mostra lacune riempite e restituzioni imitative perché si nascondano le perdite”. Alessandro Bagnoli, storico dell’arte, ex funzionario della Soprintendenza e docente all’Università di Siena, sul senese Manetti fece pure la tesi. “ll restauratore ha integrato i buchi con rifiniture ‘a imitazione’, in modo da far sembrare l’opera completa perfetta. La famigerata fiaccola ha una stesura pittorica grossolana e diversa da quella antica che si vede nelle parti circostanti. Sembra davvero un’aggiunta fatta apposta per diversificare il quadro presentato alla mostra di Lucca da quello rubato nel Castello piemontese”.
IL FRAMMENTO
La prova regina è però il frammento, il brandello di tela che i cronisti hanno rinvenuto a Buriasco, incastrato tra la foto sostitutiva in plastica e la cornice lasciati sul “luogo del delitto”. Acquisito dal Nucleo Tutela dei Carabinieri di Roma il 20 dicembre scorso, quel reperto può collegare direttamente la copia di Sgarbi al quadro trafugato. Il lembo di tela, di forma triangolare bianco e nero, sembra provenire da un’area in basso a destra, una delle tre punte dell’alabarda posata a terra. L’immagine in alta risoluzione del reperto gira sul monitor cercando l’incastro sia nelle foto di Mingardi che in quella esposta a Lucca. Gira gira gira finché… “zac”, si incastra a pennello in un’area dove un rattoppo copre un vistoso buco. Le lacerazioni si saldano, il vuoto corrisponde perfettamente al frammento. E in quel vuoto rischia ora di cadere un sottosegretario.
Quadro “rubato”, Sgarbi incolpa il restauratore (a cui deve un sacco di soldi)

SGARBI TENTA DI SCREDITARE IL SUO RESTAURATORE – Fino al 2018, nel suo laboratorio di Brescia, Mingardi deteneva gran parte delle opere che Sgarbi gli aveva affidato, tra le quali il famoso Concerto con bevitore, è in credito di 221 mila euro
Resta la pensione Inps, da circa 2 mila euro lordi, ma tocca mettersi in coda tra i diffamati in attesa di risarcimento. Fino al 2035 l’esecuzione di pignoramenti è “impegnata” dall’istanza riconosciuta all’ex sindacalista aquilano della Uil Beni Culturali, Gianfranco Cerasoli: 127 mila euro che sta recuperando con 137 euro al mese per i prossimi 12 anni, oltre interessi. Dietro di lui, in attesa d’ordinanza di assegnazione, altre 5 istanze: quella di Antonio Di Pietro per 280 mila euro, dello storico dell’arte Daniele Benati (60 mila), altri 187 mila su istanza dell’Agenzia delle Entrata e l’ultima, promossa a gennaio, dall’ex enfant prodige di FI Giovanni Terzi, per 13 mila euro.
“Sgarbi a me è simpaticissimo”, dice il legale del restauratore, Fabrizio Pelizzoni. “Però anche l’onore dell’istituzione è importante. Mingardi ha dimostrato grande disponibilità, l’altro ne ha approfittato prendendolo in giro”. Il suo cliente, precisa, mai ha ricevuto contestazioni sui lavori eseguiti, tanto che Sgarbi ha continuato a portargli opere. “Parlassimo di un poveretto che non prende una lira pazienza, si cercano soluzioni e dilazioni ulteriori. Ma siamo davanti a un membro del governo che pare ribalti denari dalla mattina alla sera. Peraltro Mingardi sugli importi che mai ha ricevuto ha pure pagato le tasse, perché il corrispettivo di un contratto d’opera deve essere fatturato e tassato. E l’altro niente, ma non è una vergogna?”.


